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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa delle Corti Supreme
  A cura di Anna Laura Rum



Ordine di demolizione e nuda proprietà: anche la mancata ottemperanza da parte del nudo proprietario comporta l’acquisizione del bene al patrimonio comunale.

Di Anna Laura Rum
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Ordine di demolizione e nuda proprietà: anche la mancata ottemperanza da parte del nudo proprietario comporta l’acquisizione del bene al patrimonio comunale.

L’ordine di demolizione costituisce il factum principis che impone al nudo proprietario di attivarsi, per ripristinare l’ordine giuridico violato dall’usufruttuario responsabile dell’abuso, qualora intenda mantenere il proprio diritto reale.

NOTA A CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA 11 OTTOBRE 2023, N. 16

Di Anna Laura Rum

 

Sommario: 1. I fatti di causa 2. L’ordinanza di rimessione 3. Le argomentazioni delle Sezioni Unite i) La ricostruzione del quadro normativo in tema di conseguenze dell’illecito edilizio; ii) La posizione del nudo proprietario; iii) L’illegittimità derivata dell’accertamento di inottemperanza che recepisce i vizi dell’ordinanza di demolizione; iv) La sanzione pecuniaria 4. I principi di diritto

 

  1. I fatti di causa

I fatti di causa hanno origine da un ricorso al TAR Campania, al fine di ottenere l’annullamento di un atto di accertamento di inottemperanza edilizia con annesse sanzioni pecuniarie. L’odierna appellante, in particolare, acquisiva dal padre, per donazione, la nuda proprietà di un fondo, mentre l’usufrutto restava a quest’ultimo.

A seguito di un sopralluogo nella predetta proprietà, il Servizio Urbanistica del Comune redigeva un accertamento tecnico, in cui rilevava che per il riferito immobile risultava trasmessa una s.c.i.a. per lavori di manutenzione ai muri di contenimento in pietrame calcareo, e registrava che i suddetti lavori, finalizzati al ripristino ed al completamento in sommità di un tratto di muro di sostegno in pietrame calcareo, interposto tra preesistenti tratti di muratura prospiciente la pubblica strada, erano ancora in corso al momento del sopralluogo. In quell’occasione veniva acclarato che l’appellante era la nuda proprietaria e si dava atto che all'interno del fondo agricolo erano state accertate opere risalenti ad un’epoca passata, nessuna delle quali risultava assentita da titoli edilizi. In ragione di ciò, veniva adottata un’ordinanza di demolizione sia nei confronti dell’usufruttuario, che nei confronti della nuda proprietaria.

L’odierna appellante, quindi, deducendo di non avere alcuna responsabilità nella realizzazione degli abusi commessi in epoca antecedente la donazione, impugnava l’ordinanza di demolizione innanzi al TAR Campania, che lo respingeva. Conseguentemente, l’odierna appellante proponeva appello avverso la sentenza del TAR innanzi al Consiglio di Stato, il quale, con la pronuncia n. 2769 del 17 marzo 2023 della Sesta Sezione, respingeva il gravame, rilevando – tra l’altro - che l’ordinanza di demolizione poteva essere emanata nei confronti del nudo proprietario dell’immobile abusivo.

Durante la pendenza del giudizio avente per oggetto l’ordinanza di demolizione, il Comune accertava l’inottemperanza alla medesima, rilevava che l’Amministrazione aveva acquisito il bene al suo patrimonio indisponibile e irrogava – nei confronti di entrambi i titolari dei diritti reali - la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, per la realizzazione di interventi edilizi in assenza di titolo edilizio, in aree soggette a vincolo paesaggistico, ai sensi del d.lgs. n. 42/2004.

L’usufruttuario, allora, impugnava autonomamente il provvedimento, con ricorso innanzi al TAR Campania, che, tuttavia, lo respingeva. L’interessato, dunque, interponeva appello, il quale è stato respinto dalla Settima Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 10087 del 16 novembre 2022.

A sua volta, con ricorso dinanzi al TAR Campania, l’odierna appellante impugnava lo stesso provvedimento, lamentando l’illegittimità dell'accertamento di inottemperanza edilizia con annesse sanzioni pecuniarie, sulla base di tre distinti motivi: a) la violazione del principio di irretroattività delle sanzioni amministrative, per avere il Comune irrogato la sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione ad un abuso commesso prima dell’entrata in vigore della disposizione di legge che ha introdotto tale sanzione pecuniaria; b) la violazione dell’art 31, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere il Comune irrogato la sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale nei confronti di un soggetto non autore e non responsabile dell’abuso. L’appellante sosteneva, infatti, di essere la nuda proprietaria del fondo ove gli abusi erano stati realizzati e di non avere in alcun modo contribuito alla loro realizzazione, circostanza peraltro non contestata dal Comune. Ebbene, a differenza della sanzione demolitoria, che ha natura reale e può essere disposta anche nei confronti del proprietario non responsabile, l’acquisizione dell’opera al patrimonio comunale – sosteneva sempre parte appellante - potrebbe essere irrogata esclusivamente nei confronti del responsabile dell’abuso; c) l’illegittimità derivata del provvedimento impugnato, in ragione dei vizi inficianti il provvedimento presupposto, ovvero l’ordinanza di demolizione.

Il TAR, tuttavia, respingeva il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni: a) l’irrogazione della sanzione non poteva dirsi adottata in violazione del principio di irretroattività, perché l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione va considerata alla stregua di un illecito permanente, che non esaurisce i propri effetti alla scadenza del termine di novanta giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione. In altri termini, la parte ricorrente avrebbe potuto ottemperare anche successivamente alla scadenza di tale termine, mentre era rimasta inerte anche successivamente alla scadenza del termine e all’entrata in vigore del comma 4-bis. Sicché, legittimamente l’Amministrazione aveva inflitto alla ricorrente anche la sanzione pecuniaria: non poteva, infatti, sostenersi che fosse stata punita una condotta compiuta prima che entrasse in vigore la norma sanzionatoria, posto che la condotta da sanzionare aveva continuato a perpetuarsi anche dopo la sua entrata in vigore; b) la sanzione demolitoria ha natura oggettiva: essa colpisce il bene abusivo, indipendentemente da chi abbia commesso l’abuso, e dunque il proprietario (anche il nudo proprietario) ne subisce gli effetti indipendentemente dal suo ruolo di responsabile; c) risultando legittima l’ordinanza di demolizione, non sussiste il vizio di illegittimità derivata.

L’appellante, dunque, impugnava la sentenza del TAR n. 4033 del 2017, lamentandone l’erroneità per le seguenti ragioni: a) l'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, ex art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, sarebbe normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limiterebbe a formalizzare l'effetto istantaneo dell’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale, già verificatasi alla scadenza del termine assegnato con l'ingiunzione stessa. Pertanto, la scadenza del termine per ottemperare determinerebbe in modo istantaneo il trasferimento al patrimonio comunale indisponibile del manufatto che sarà demolito o conservato in caso di accertati e prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento, e la conseguente perdita della disponibilità dell’area interessata da parte del privato. La privazione della disponibilità dell’area allo scadere del termine di 90 giorni farebbe sorgere anche il divieto per il destinatario inadempiente di manomettere o demolire il manufatto abusivo, stante, altresì, la possibilità, in astratto, che il Comune, sussistendo un interesse pubblico, si determini, non per la demolizione, ma per l’acquisizione definitiva ai sensi del comma 5 dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001. Pertanto, l’inottemperanza all’ingiunzione ex art. 31 non avrebbe natura di illecito permanente, sicché l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 4 bis nei confronti dell’appellante violerebbe il divieto di irretroattività dell’applicazione di una sanzione ad una fattispecie omissiva istantanea maturata prima della sua introduzione legislativa, in violazione di quanto statuito dall’art. 25 Costituzione, dall’art. 1 della legge n. 689/1981 e dall’art. 11 delle disp. prel. del c.c. Ai fini della legittima irrogazione delle sanzioni pecuniarie de quibus, occorrerebbe, dunque, che l’inadempimento all’ordine di demolizione si fosse verificato dopo l’entrata in vigore del comma 4 bis dell’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, diversamente da quanto accaduto nella fattispecie; b) la tesi sostenuta dal primo giudice, secondo la quale la sanzione demolitoria, ex art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, è una sanzione repressiva di natura reale, volta a ripristinare l’ordine urbanistico violato dall’abuso edilizio, che può essere indirizzata nei confronti del proprietario indipendentemente dalla sua responsabilità, dovrebbe trovare adeguato contemperamento, in alcuni casi limite, con altri imprescindibili principi di garanzia della proprietà privata, ogni qual volta l’ordine di demolizione è adottato a carico di un soggetto che non è nelle condizioni giuridiche di adempierlo. Nella fattispecie il nudo proprietario, in quanto tale, non avrebbe alcuna disponibilità, né facoltà d’uso sul bene gravato da usufrutto, né alcuna potestà negoziale o processuale per costringere l’usufruttuario ad eseguire un ordine pubblico di ripristino. In assenza di un’espressa previsione di legge, porre un obbligo o un onere di attivazione in capo al proprietario, sprovvisto per legge o per contratto o per factum principis, della disponibilità della res, per conseguire la demolizione dell’abuso edilizio, si tradurrebbe in una chiara lesione delle garanzie previste dall’art. 23 della Costituzione, che detta una riserva di legge per ogni genere di obbligo o prestazione imposta anche in via indiretta. Inoltre, il mancato accertamento della responsabilità dell’appellante nella commissione degli abusi impedirebbe di irrogare la sanzione dell'acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Una sanzione prevista per l'ipotesi di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione dovrebbe riferirsi esclusivamente al responsabile dell'abuso, non potendo operare nella sfera giuridica di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell'area. Ciò sarebbe conforme ai principi formulati con la sentenza n. 345 del 15 luglio 1991 dalla Corte Costituzionale, nonché ai principi della CEDU, così come ritenuti applicabili dalla Corte di Strasburgo in materia di sanzioni di confisca e di acquisizione nella sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, decisione 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. Pertanto, l’atto di accertamento di inottemperanza all’ingiunzione di ripristino, con acquisizione della res al patrimonio comunale, andrebbe notificato al proprietario, solo quando sia rilevabile una sua connivenza rispetto al commesso abuso edilizio; c) a fronte dell’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, il primo giudice avrebbe dovuto concludere per l’illegittimità derivata del provvedimento impugnato.

 

  1. L’ordinanza di rimessione

Con l’ordinanza n. 3974/2023, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, avendo ravvisato la presenza di contrasti giurisprudenziali circa la natura dell’illecito edilizio sanzionato che è destinato a riflettersi anche sulla questione dell’applicazione temporale del comma 4-bis dell’art. 31, rimetteva il ricorso all’esame dell’Adunanza Plenaria.

In particolare, la Sezione remittente ricostruisce il quadro normativo e giurisprudenziale nei seguenti termini.

Il decreto legge 12 settembre 2014 n. 133, convertito con modifiche dalla legge 11 novembre 2014 n. 164, ha modificato l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, inserendovi i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater che così recitano: “4-bis. L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.

4-ter. I proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all'acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico.

4-quater. Ferme restando le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, le regioni a statuto ordinario possono aumentare l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 4-bis e stabilire che siano periodicamente reiterabili qualora permanga l'inottemperanza all'ordine di demolizione”.

Dopo l’entrata in vigore della legge 11 novembre 2014, n. 164, un primo orientamento (Consiglio di Stato, Sez. II, 14 febbraio 2023, n. 1537; Sez. VI, 16 aprile 2019, n. 2484; Sez. VI, 9 agosto 2022, n. 7023) ha sostenuto che l’illecito in esame sanzioni il mancato ripristino dell’abuso edilizio e quindi sia applicabile anche agli abusi posti in essere prima dell’entrata in vigore della normativa e tali rimasti anche successivamente, in quanto gli abusi edilizi sono considerati illeciti permanenti.

Un secondo orientamento, invece, ha offerto una diversa interpretazione dell’art. 31 comma 4-bis, ritenendo che esso sanzioni segnatamente l’inottemperanza all’ordine di demolizione, ossia punisca una condotta omissiva specifica, consistente nel non provvedere alla rimessione in pristino dopo aver ricevuto il relativo ordine (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 luglio 2019, n. 5242; Sez. VI, 25 luglio 2022, n. 6519).

Quanto, invece, alla questione dell’applicabilità della sanzione pecuniaria in esame alle situazioni createsi per effetto di ordinanze di demolizione che hanno fissato per l’ottemperanza il termine di 90 giorni già scaduto prima della entrata in vigore della legge n. 164 del 2014, si è formato un orientamento giurisprudenziale quasi unanime che ha ritenuto che la sanzione in esame sia applicabile anche a tali situazioni, purché l’inottemperanza all’ordine di demolizione si sia protratta anche dopo la sua entrata in vigore: si è osservato che l’inottemperanza all’ordine di demolizione costituisce un illecito avente natura permanente, che si protrae fino alla cessazione della situazione di illiceità, in quanto lo scadere del termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione non determina il venir meno dell’obbligo di rimuovere le opere abusive (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 luglio 2019, n. 5242; Sez. VII, 28 dicembre 2022, n. 11397; Sez. VI, 25 luglio 2022, n. 6519; cfr. Cass. Civ., Sez. II, 19 luglio 2022, n. 22646).

A sostegno di quest’impostazione viene, talvolta, utilizzato un argomento letterale tratto dall’art. 31, comma 4-quater, del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale prevede il potere delle Regioni a statuto ordinario di “aumentare l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 4-bis e stabilire che siano periodicamente reiterabili qualora permanga l'inottemperanza all'ordine di demolizione”, previsione questa che sarebbe compatibile solo con la configurazione dell’illecito come illecito permanente e che confermerebbe come l’obbligo di ripristino permanga, a carico del privato, anche allo scadere del termine indicato nell’ordine di demolizione.

Un orientamento giurisprudenziale minoritario (Consiglio di Stato, Sez. VI, ord. n. 178 del 2018), invece, in ragione della natura istantanea dell’illecito, sostiene che il principio di irretroattività non consenta di imporre il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria laddove la disposizione legislativa (l’art. 31, comma 4-bis, cit.) che ha introdotto la previsione punitiva sia entrata in vigore in epoca successiva rispetto al momento in cui si è maturata la trasgressione.

La Sezione remittente, nel dettaglio, ritiene che l’illecito sanzionato dall’art. 31, comma 4-bis, sia autonomo e distinto rispetto all’abuso edilizio di base, constando di una condotta omissiva specifica, consistente nel non provvedere al ripristino dello stato dei luoghi nei termini indicati nella ordinanza di demolizione: la differenza tra i due illeciti andrebbe, infatti, ravvisata nella loro natura giuridica. Mentre l’abuso edilizio dovrebbe essere qualificato in termini di illecito permanente, la mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione raffigurerebbe un illecito istantaneo con effetti permanenti, trattandosi di una condotta omissiva che è legata alla scadenza di un termine, il quale deve considerarsi perentorio in considerazione degli effetti, di natura sostanziale, assai gravi che scaturiscono dalla violazione di esso e che, secondo l’orientamento di gran lunga prevalente, sono stabiliti al comma 3, ovvero l’automatica acquisizione del bene e dell’area di sedime al patrimonio del Comune. A conferma di questa convinzione, la Sezione richiama la giurisprudenza penale relativa ai reati omissivi legati alla scadenza di un termine (Cassazione penale, Sez. III, 28 febbraio 2019, n. 25541; Sez. V, 14 febbraio 2020, n. 12929; Sez. III, 14 dicembre 2010, n. 615; Sez. III, 12 giugno 2019, n. 36387) e, in particolare, quella riguardante il reato di cui all’art. 650 c.p., qualora l’esecuzione dell’ordine sia legata alla scadenza di un termine perentorio (Cassazione penale, sez. IV, 28 aprile 2022, n. 30805).

Inoltre, secondo la Sezione remittente la natura perentoria del termine di 90 giorni si evince dalla circostanza che: a) il suo decorso comporta l’automatico trasferimento della proprietà del bene abusivo e dell’area di sedime al patrimonio comunale; b) il provvedimento che dispone l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale in via automatica - ex lege senza necessità di un formale atto scritto di trasferimento - ha natura meramente dichiarativa; c) è irrilevante l’eventuale adempimento tardivo al fine di evitare il trasferimento della proprietà a favore del Comune; d) è illecita la demolizione posta in essere dal privato successivamente a tale passaggio di proprietà, in quanto il Comune potrebbe decidere di non demolire l’opera, esercitando le prerogative attribuitegli dal comma 5 dell’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, in base al quale l'opera acquisita è demolita salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici; e) l’art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 consente di presentare istanza di sanatoria di conformità “fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative”.

La Sezione, infine, ha osservato che, anche se la legge dispone l’acquisizione di diritto del manufatto e dell’area di sedime, diversamente dovrebbe concludersi per l’area ulteriore, necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, la cui estensione non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

Per l’area ulteriore, l’atto di accertamento avrebbe efficacia costitutiva traslativa della proprietà, atteso che l’individuazione di tale area implica l’esercizio di un potere di valutazione, sia tecnica che discrezionale, in senso proprio, dell’Amministrazione, pertanto, si potrebbe inquadrare l’acquisizione gratuita nei termini di una fattispecie a formazione progressiva, ovvero di una sequenza di fatti e di atti, non tutti ad effetti dichiarativi, attraverso i quali dall’inottemperanza si giunge per distinte fasi procedimentali all’acquisizione al patrimonio comunale e un bene in origine privato diventa (può diventare) di proprietà pubblica.

Ad avviso della Sezione remittente, quindi, se il privato non può più demolire l’opera abusiva decorso il termine di 90 giorni, questi manterrebbe interesse a collaborare con l’Amministrazione, poiché l’adempimento tardivo all’ordine di demolizione varrebbe ad evitargli conseguenze più gravi, quali la perdita anche dell’area ulteriore rispetto a quella di sedime.

A sostegno della tesi dell’illecito istantaneo ad effetti permanenti, militerebbero, infine, due ulteriori argomenti: a) la non ostatività dell’argomento letterale di cui al comma 4 quater, in quanto ai fini della definizione del giudizio è solo la disposizione statale ad applicarsi, che non prevede la possibilità di reiterazione della sanzione pecuniaria, non risultando che la Regione Campania abbia disciplinato l’esercizio del relativo potere; b) la natura afflittiva e non ripristinatoria della sanzione, con conseguente applicazione del regime previsto per le sanzioni pecuniarie dalla legge n. 689/1981.

In definitiva, la Sezione formulava all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

I) se, e in che limiti, l’inottemperanza alla ingiunzione di demolizione adottata ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, abbia effetti traslativi automatici che si verificano alla scadenza del termine di novanta giorni assegnato al privato per la demolizione;

  1. II) se l’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 sanzioni l’illecito costituito dall’abuso edilizio o, invece, un illecito autonomo di natura omissiva, id est, l’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione;

III) se l’inottemperanza all’ordine di demolizione configuri un illecito permanente ovvero un illecito istantaneo ad effetti eventualmente permanenti;

  1. IV) se la sanzione di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 possa essere irrogata nei confronti di soggetti che hanno ricevuto la notifica dell’ordinanza di demolizione prima dell’entrata in vigore della L. n. 164 dell’11 novembre 2014, quando il termine di novanta giorni, di cui all’art. 31, comma 3, risulti a tale data già scaduto e detti soggetti più non possano demolire un bene non più loro, sempre sul presupposto che a tale data la perdita della proprietà in favore del Comune costituisca un effetto del tutto automatico”.

 

  1. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria
  2. i) La ricostruzione del quadro normativo in tema di conseguenze dell’illecito edilizio

L’Adunanza Plenaria, preliminarmente, ricostruisce il quadro di regole applicabili quando l’Amministrazione comunale esercita i propri poteri di vigilanza e repressione degli abusi edilizi disciplinati dagli articoli 27 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, come modificato dalla legge n. 164 del 2014.

Innanzitutto, rimarca come la commissione di un illecito edilizio comporti la sussistenza del reato previsto dall’art. 44, comma 1, lettere a) e b), del d.P.R. n. 380 del 2001 e la lesione dei valori tutelati dagli articoli 9, 41, 42 e 117 della Costituzione: la realizzazione di opere edilizie, in assenza del relativo titolo e in contrasto con le previsioni urbanistiche, incide negativamente sul paesaggio, sull’ambiente, sull’ordinato assetto del territorio e sulla regola per la quale il godimento della proprietà privata deve svolgersi nel rispetto dell’utilità sociale.

Sotto il profilo penale, il reato edilizio è caratterizzato da una condotta attiva che perdura nel tempo sino alla ultimazione nel manufatto: il termine di prescrizione del reato comincia a decorrere dalla data dell’ultimazione delle opere (Cass. penale, n. 24407 del 2022; n. 7889 del 2022; n. 7407 del 2021; n. 30147 del 2017; Sez. Unite n. 17178 del 2002), inclusi i lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Cass. penale, n. 7404 del 2021, n. 48002 del 2014; n. 32969 del 2005) e le parti che costituiscono pertinenze dell’abitazione (Cass. penale, n. 8172 del 2010).

Per le opere abusive disciplinate dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, ai sensi del suo comma 9, il giudice, con la sentenza di condanna, ordina la demolizione, se ancora non sia stata altrimenti eseguita.

Sotto il profilo amministrativo, a seguito della commissione di un illecito edilizio, il Comune è titolare dei poteri previsti dagli articoli 27 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.

L’articolo 27, al comma 2, dispone che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale” “provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi”, “quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Sulla base del comma 2, sin da quando cominciano i lavori abusivi e anche dopo la loro esecuzione, l’Autorità amministrativa può immediatamente disporre ed effettuare – senza la previa intimazione al proprietario - la materiale demolizione delle opere e il ripristino dello stato dei luoghi, anticipando le relative spese e ponendole a carico dei soggetti indicati dall’art. 29, comma 1.

Il comma 2 dell’art. 27 disciplina un peculiare e semplificato procedimento, volto all’immediata repressione dell’abuso, con il quale l’Amministrazione dispone la demolizione materiale senza alcun differimento, verosimilmente quando non vi sia bisogno di particolari accertamenti sull’abusività dei lavori e vi siano le relative risorse tecniche e finanziarie.

L’articolo 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, al comma 2, disciplina la diversa ipotesi in cui il Comune - anziché procedere esso stesso senz’altro alla demolizione o dopo avere attivato il procedimento previsto dall’art. 27 senza concluderlo – accerta “l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32” e “ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”.

I successivi due commi dell’articolo 31 dispongono che:

“3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

  1. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”.

Ai sensi dell’articolo 31 (che contiene disposizioni in parte riproduttive dei commi dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985), dunque, il Comune, qualora non abbia effettuato esso stesso la demolizione materiale delle opere abusive e la rimessione in pristino, deve ordinare al responsabile la loro demolizione.

Se il responsabile non ottempera all’ordine di demolizione entro il termine perentorio di 90 giorni, si verificano le conseguenze previste dai commi 2, 3 e 4 del testo originario dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed aventi per oggetto le opere abusive, nonché quelle previste dai commi 4-bis, 4-ter e 4-quater, introdotti nell’articolo 31 con la legge n. 164 del 2014, relative all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie.

L’art. 31 struttura l’intervento repressivo del Comune in quattro distinte fasi: una prima fase è attivata dalla notizia dell'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, sfocia in un accertamento istruttorio e si conclude, in caso di verifica positiva dell’esistenza dell’illecito, con un’ordinanza che ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto in caso di inottemperanza all’ordine. La mancata individuazione della detta area non comporta l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, potendo la sua individuazione avvenire con il successivo atto di accertamento dell’inottemperanza (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 maggio 2023, n. 4563).

Entro il termine perentorio di 90 giorni, il destinatario dell’ordine di demolizione può formulare l’istanza di accertamento di conformità prevista dall’art. 36, comma 1, del testo unico n. 380 del 2001.

L’art. 36, comma 1, infatti, consente la presentazione di tale istanza “fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative” e dunque prima della scadenza del termine indicato per demolire o ridurre in pristino, ovvero - nel caso in cui ciò non sia possibile - prima dell’irrogazione delle sanzioni previste in alternativa dagli articoli 33 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Il Collegio precisa, altresì, che l’art. 36 è entrato in vigore prima dell’introduzione del comma 4 bis dell’art. 31 e ovviamente non poteva far riferimento anche a quest’ultimo. Pertanto, la disposizione non può che essere interpretata nel senso che l’accertamento di conformità può essere richiesto prima della scadenza del termine indicato per demolire o ridurre in pristino ovvero - nel caso in cui ciò non sia possibile - prima dell’irrogazione delle sanzioni previste in alternativa dagli artt. 33 e 34 d.P.R. n. 380 del 2001.

Non può invece ritenersi che l’istanza ex art. 36 comma 1, possa essere presentata fino all’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 4 bis dell’art. 31, facendo leva sul riferimento generico contenuto nell’art. 36 alla locuzione “fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”. Infatti, la situazione del proprietario, che lascia trascorrere inutilmente il termine per demolire, è quella del soggetto non più legittimato a presentare l’istanza di accertamento di conformità, avendo perduto ogni titolo di legittimazione rispetto al bene.

Entro il termine di 90 giorni, il destinatario dell’ordinanza di demolizione può anche chiedere una sua proroga, qualora dimostri la sua concreta volontà di disporre la demolizione e sussistano ragioni oggettive che rendano impossibile il completamento della restitutio in integrum entro tale termine.

Una seconda fase si attiva decorso il termine di 90 giorni dalla notifica del provvedimento di demolizione agli interessati (o il diverso termine prorogato dall’Amministrazione su istanza di quest’ultimi) con un sopralluogo sull’immobile, che si conclude con l’accertamento positivo o negativo dell’esecuzione dell’ordinanza di ripristino.

Nel caso di accertamento positivo, l’autore dell’abuso mantiene la titolarità del suo diritto, non potendo l’Amministrazione emanare l’atto di acquisizione.

L’ordinamento, dunque, incentiva l’autore dell’illecito a rimuovere le sue conseguenze materiali, con la prospettiva del mantenimento del suo diritto reale nel caso di tempestiva esecuzione dell’ordinanza di demolizione.

Nel caso di accertamento negativo, l’Amministrazione rileva che vi è stata l’acquisizione ex lege al patrimonio comunale (salvi i casi previsti dal comma 6) del bene come descritto nell’ordinanza di demolizione (ovvero come descritto nello stesso atto di acquisizione con l’indicazione dell’ulteriore superficie nel limite del decuplo di quella abusivamente costruita).

Alla scadenza del termine di 90 giorni, l’Amministrazione è dunque ipso iure proprietaria del bene abusivo ed il responsabile non è più legittimato a proporre l’istanza di accertamento di conformità.

A seguito dell’entrata in vigore del comma 4-bis dell’art. 31, l’Amministrazione deve anche irrogare la sanzione amministrativa pecuniaria (anche con atto separato, qualora tale sanzione per una qualsiasi ragione non sia stata contestuale all’accertamento dell’inottemperanza).

Il Collegio riprende, poi, i principi espressi dalla Corte Costituzionale, secondo la quale, l’ordine di demolizione e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale costituiscono due distinte sanzioni, che rappresentano “la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla” (sentenza n. 140 del 2018, § 3.5.1.1.; sentenza n. 427 del 1995; sentenza n. 345 del 1991).

Dunque, il Collegio evidenzia che la sanzione disposta con l’ordinanza di demolizione ha natura riparatoria ed ha per oggetto le opere abusive, per cui l’individuazione del suo destinatario comporta l’accertamento di chi sia obbligato propter rem a demolire e prescinde da qualsiasi valutazione sulla imputabilità e sullo stato soggettivo (dolo, colpa) del titolare del bene. Invece, l’acquisizione gratuita, quale conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e della relativa omissione, ha natura afflittiva (così come la correlata sanzione pecuniaria).

In considerazione di tale natura afflittiva, l’Adunanza Plenaria ritiene che vada affermato in materia anche il principio per il quale deve esservi l’imputabilità dell’illecito omissivo della mancata ottemperanza: pertanto, l’atto di acquisizione delle opere abusive al patrimonio comunale non può essere emesso quando risulti la non imputabilità - per una malattia completamente invalidante - della mancata ottemperanza da parte del destinatario dell’ordine di demolizione (salvi gli obblighi del suo eventuale rappresentante legale).

Il Collegio aggiunge, ancora, che per il principio della vicinanza alla fonte della prova, è specifico onere per il destinatario dell’ordine di demolizione – o, in ipotesi, del suo rappresentante legale - dedurre e comprovare la sussistenza di tale non imputabilità: l’Amministrazione, in assenza di comprovate deduzioni, deve emanare l’atto di acquisizione.

Ancora, la Plenaria aggiunge che una terza fase – già disciplinata dal testo originario dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 e poi disciplinata anche dalla legge n. 164 del 2014, che ha ivi aggiunto i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater - si apre con la notifica dell’accertamento dell’inottemperanza all’interessato e concerne l’immissione nel possesso del bene e la trascrizione dell’acquisto nei registri immobiliari. Quest’ultimo adempimento, che deve essere compiuto con sollecitudine, rappresenta un atto indispensabile al fine di rendere pubblico nei rapporti con i terzi l’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà e consolidarne gli effetti, sicché ai sensi di quanto disposto dal comma 4 bis dell’art. 31 deve ritenersi che rappresenti un elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente, al pari della tardiva o mancata adozione della stessa sanzione che con l’atto di accertamento viene irrogata.

In sostanza, con tale notifica, il bene si intende acquisito a titolo originario al patrimonio pubblico – con decorrenza dalla scadenza del termine fissato dall’art. 31, salva la proroga eventualmente disposta - e di conseguenza eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti vengono caducati unitamente al precedente diritto dominicale, senza che rilevi l'eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione (cfr. Cons. St., Sez. VII, 8 marzo 2023, n. 2459).

Il Collegio, quindi, afferma che l’accertamento dell’inottemperanza certifica il passaggio di proprietà del bene al patrimonio pubblico e costituisce il titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente.

Ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 già nel suo testo originario, l’acquisto ipso iure del bene abusivo da parte dell’Amministrazione comporta la novazione oggettiva dell’obbligo ricadente propter rem sull’autore dell’abuso e sui suoi aventi causa.

Infatti, l’obbligo di demolire il proprio manufatto entro il termine fissato dall’Amministrazione dopo la scadenza di tale termine viene meno (non potendo più il responsabile demolire un bene che non è più suo) ed è sostituito ex lege dall’obbligo di rimborsare all’Amministrazione tutte le spese che essa poi sostenga per demolire il bene abusivo.

La Plenaria cita, poi, la legge n. 164 del 2014, che integra l’art. 31 con i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater: l’art. 31, comma 4-bis, dispone che: “L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria”. Esso ha dunque previsto una ulteriore sanzione di natura afflittiva, nel caso di inottemperanza all’ordinanza di demolizione: alla tradizionale previsione dell’acquisizione di diritto al patrimonio comunale del bene abusivo e dell’area ulteriore, la riforma del 2014 ha aggiunto la doverosa irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, che deve essere disposta senza indugio (col medesimo atto di accertamento dell’inottemperanza o con un atto integrativo autoritativo successivo).

Anche la ratio di tale ulteriore previsione si basa sull’esigenza di salvaguardare i valori tutelati dagli articoli 9, 41, 42 e 117 della Costituzione.

Poiché il responsabile dell’illecito ha cagionato un vulnus al paesaggio, all’ambiente ed all’ordinato assetto del territorio, in contraddizione con la funzione sociale della proprietà, il legislatore ha inteso sanzionarlo – oltre che con la perdita della proprietà - anche con una sanzione pecuniaria, qualora non abbia ottemperato all’ordinanza di demolizione.

In considerazione della scarsità delle risorse economiche di cui sono ordinariamente dotati i Comuni e della complessità delle procedure in base alle quali le Amministrazioni possono disporre la demolizione in danno e porre le spese a carico del responsabile, il legislatore ha inteso in questo modo stimolare il responsabile ad eliminare le conseguenze dell’illecito edilizio, con la previsione di una sanzione pecuniaria.

Sotto il profilo civilistico, l’acquisto ipso iure da parte del Comune comporta l’applicabilità dell’art. 2053 del codice civile, sulla responsabilità del proprietario nei confronti dei terzi per i danni derivanti dalla rovina dell’edificio, salva l’applicazione dell’articolo 2051 dello stesso codice, sulla responsabilità di chi continui a possedere l’edificio abusivo, fin quando l’Amministrazione si sia immessa nel possesso, in esecuzione dell’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione.

L’Adunanza Plenaria, poi, si sofferma sulla quarta (ed eventuale) fase, che riguarda il come l’Amministrazione intenda gestire il bene ormai entrato nel patrimonio comunale. A seguito della perdita ipso iure del bene, pur se accertata successivamente, chi lo possiede ormai senza idoneo titolo giuridico non può né demolirlo, né modificarlo, ed è tenuto a corrispondere un importo all’Amministrazione proprietaria per la sua disponibilità che avviene sine titulo.

In alternativa alla demolizione del bene, il Consiglio comunale può, ai sensi del secondo periodo del comma 5 dell’art. 31, deliberare il mantenimento in essere dell’immobile abusivo, che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost., n. 140 del 2018) è una via del tutto eccezionale, che può essere percorsa per la presenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.

In assenza di tale motivata determinazione del Consiglio comunale, va senz’altro disposta, ai sensi del primo periodo del comma 5, la materiale demolizione del bene abusivo a spese del responsabile dell'abuso e dei suoi eventuali aventi causa, fermo restando che la demolizione non comporta il riacquisto dell’area di sedime, ormai definitivamente acquisita al patrimonio comunale.

Anche in tal caso, l’Amministrazione può consentire che la demolizione possa essere effettuata dal responsabile (o dal suo avente causa), il quale può averne uno specifico interesse, per contenerne le spese, che altrimenti sarebbero anticipate anche in misura superiore dall’Amministrazione, con rivalsa nei suoi confronti.

Il Collegio conclude, quindi, che, salvo il caso eccezionale in cui l’Amministrazione ritenga di evitare la demolizione dell’immobile ormai entrato nel suo patrimonio per soddisfare interessi pubblici, l’esito finale ordinario dell’abuso edilizio è costituito dalla demolizione del manufatto abusivo.

Viene poi evidenziato che il responsabile dell’illecito, il proprietario ed i suoi aventi causa hanno sempre il dovere di rimuoverne le conseguenze, sicché vanno distinte le seguenti fasi temporali: a) fino a quando scade il termine fissato nell’ordinanza di demolizione, questi hanno il dovere di effettuare la demolizione, che, se viene posta in essere, evita il trasferimento della proprietà al patrimonio pubblico; b) qualora il termine per demolire scada infruttuosamente, i destinatari dell’ordinanza di demolizione commettono un secondo illecito di natura omissiva, che comporta, da un lato, la perdita ipso iure della proprietà del bene con la conseguente e connessa irrogazione della sanzione pecuniaria e, dall’altro, la novazione oggettiva dell’obbligo propter rem, perché all’obbligo di demolire il bene si sostituisce l’obbligo di rimborsare l’Amministrazione, per le spese da essa anticipate per demolire le opere abusive entrate nel suo patrimonio, risultanti contra ius (qualora essa non abbia inteso eccezionalmente utilizzare il bene ai sensi dell’art. 31, comma 5, del d.P.R.n. 380 del 2001); c) decorso il termine per demolire, qualora l’Amministrazione non decida di conservare il bene, resta la possibilità di un’ulteriore interlocuzione con il privato per un adempimento tardivo dell’ordine di demolire, che non comporta il sorgere di un diritto di quest’ultimo alla retrocessione del bene, né fa venire meno la sanzione pecuniaria irrogata, ma può evitargli, da un lato, la perdita dell’ulteriore proprietà sino a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita se non è già stata individuata in sede di ordinanza di demolizione, nonché gli eventuali maggiori costi derivanti dalla demolizione in danno. Il proprietario non ha dunque alcun diritto a porre in essere la demolizione dopo la scadenza del termine dei 90 giorni, spettando alla discrezionalità dell’Amministrazione di valutare se coinvolgerlo ulteriormente nella demolizione.

Il Collegio prosegue la disamina normativa e afferma che, per quanto riguarda la natura degli illeciti edilizi previsti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, va evidenziata la diversità delle qualificazioni rilevanti nel diritto penale e nel diritto amministrativo.

Come accade sotto il profilo penale, il termine di prescrizione del reato edilizio comincia a decorrere dalla data di ultimazione delle opere.

La Plenaria osserva che, talvolta la giurisprudenza e la dottrina richiamano la nozione di reato permanente, ma più propriamente – poiché il legislatore non ha disciplinato la condotta in modo bifasico e non ha inserito nel fatto tipico alcun richiamo alla mancata demolizione delle opere abusive - si tratta di reati caratterizzati unicamente da una condotta attiva frazionata e perdurante nel tempo, quella di realizzazione delle opere abusive: quanto alla condotta punibile e alla decorrenza del termine di prescrizione del reato, non rileva che dopo l’ultimazione delle opere perduri la violazione dei valori tutelati dagli articoli 9, 41, 42 e 117 della Costituzione.

Quindi, pur se il responsabile dell’abuso ha l’obbligo (ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001) di demolire le opere abusive e sotto il profilo amministrativo risponde della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione con la perdita del diritto di proprietà, sotto il profilo penale, la legge non ha attributo di per sé rilevanza alla fase omissiva della mancata demolizione di quanto realizzato.

Si è dunque in presenza non di un reato permanente a condotta mista (dapprima commissiva e poi omissiva), ma di un reato commissivo caratterizzato dalla condotta costruttiva perdurante nel tempo, che termina o con l’interruzione o con l’ultimazione dei lavori (o il sequestro del bene, se non seguito dalla prosecuzione dei lavori).

La Plenaria afferma la nota diversità della natura amministrativa dell’illecito edilizio: infatti, l’articolo 31 del testo unico n. 380 del 2001, proprio perché la realizzazione delle opere abusive comporta un perdurante vulnus ai valori tutelati dagli articoli 9, 41, 42 e 117 della Costituzione, ha previsto, da un lato, l’obbligo dell’autore dell’illecito di demolire le opere abusive entro il termine fissato con l’ordinanza di demolizione (cui segue l’obbligo di rimborsare gli oneri sostenuti dall’Amministrazione, per la demolizione del bene nel frattempo divenuto suo) e, dall’altro, il dovere del Comune di reprimere l’illecito.

Quindi, l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione comporta un secondo illecito di natura omissiva, che si aggiunge a quello di natura commissiva (insito nella realizzazione delle opere abusive) e comporta la perdita del diritto di proprietà.

In sostanza, la perdurante situazione contra ius – caratterizzata dalla novazione oggettiva dell’obbligo del responsabile, che dapprima è quello di demolire l’immobile abusivo ancora suo e poi diventa quello di rimborsare all’Amministrazione le spese sostenute per la demolizione d’ufficio - viene meno o quando è emesso un provvedimento con effetti sananti (l’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001 o il condono in passato previsto dalle leggi speciali) o quando le opere abusive sono materialmente demolite.

Sotto il profilo amministrativo, dunque, l’abuso edilizio ha una peculiare natura di illecito con effetti permanenti, in quanto la lesione dei valori tutelati dagli articoli 9, 41, 42 e 117 della Costituzione si protrae nel tempo sino al ripristino della legittimità violata (col rilascio di un titolo abilitativo o con la materiale demolizione delle opere), mutando nel tempo l’obbligo del responsabile (poiché all’obbligo di demolire il proprio bene abusivo si sostituisce ex lege l’obbligo di rimborsare le spese sostenute dall’Amministrazione per la demolizione, salva la possibilità per l’Amministrazione di emanare nuovamente l’ordinanza di demolizione e di disporre un’ulteriore sanzione pecuniaria nel caso di ottemperanza, qualora la competente Regione dia attuazione all’art. 31, comma 4-quater).

Al riguardo, l’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 9 del 2017, ha già chiarito che l’ordine di demolizione di una costruzione abusiva deve comunque essere emanato senza alcuna rilevanza del decorso del tempo, proprio perché la presenza del manufatto abusivo comporta una lesione permanente ai valori tutelati dalla Costituzione e l’eventuale connivenza o la mancata conoscenza della loro esistenza da parte degli organi comunali non incide sul dovere di disporne la demolizione.

Inoltre, la medesima sentenza dell’Adunanza Plenaria ha rimarcato come la sanzione amministrativa consistente nell’ordine di demolizione, avendo carattere reale, prescinda dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, dovendo esso essere emanato anche nei confronti di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento della sua emanazione in un rapporto con la res tale da consentire la restaurazione dell’ordine giuridico violato.

Dunque, il Collegio conclude la ricostruzione del quadro normativo, affermando che, con l’acquisto del diritto reale da parte dell’avente causa, si verifica una novazione soggettiva cumulativa dell’obbligo propter rem di demolire il bene.

 

  1. ii) La posizione del nudo proprietario

Ricostruito il quadro normativo in tema di conseguenze dell’illecito edilizio, l’Adunanza Plenaria procede all’esame della posizione del nudo proprietario che sia stato coinvolto nella commissione dell’illecito edilizio, ancorché in nessuno dei quesiti formulati dalla Sezione Sesta vi è un espresso richiamo a tale posizione. Tuttavia, la motivazione dell’ordinanza di rimessione e la motivazione della sentenza del TAR impugnata si sono soffermate sulle peculiarità che caratterizzano il diritto reale della nuda proprietà.

Nell’esaminare la posizione del nudo proprietario, l’Adunanza Plenaria ritiene che vadano distinte due fattispecie.

La prima, quando l’illecito edilizio sia stato commesso dal proprietario anche possessore del bene, il quale – dopo la commissione degli abusi – ponga in essere un atto a titolo derivativo in favore di un avente causa (sia esso una compravendita, una donazione o un altro contratto avente effetti reali). In tale frequente ipotesi, come ha evidenziato la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato ed ha già rimarcato la sentenza della stessa Adunanza Plenaria n. 9 del 2017, l’acquirente – tenuto secondo l’ordinaria diligenza ad informarsi della situazione giuridica in cui si trova l’immobile oggetto del contratto - subentra nella medesima posizione giuridica del suo dante causa ed è, quindi, obbligato propter rem ad effettuare la demolizione e il Comune deve emanare gli atti previsti dagli articoli 27 e 31 del testo unico n. 380 del 2001, così come li avrebbe potuti emanare nei confronti del dante causa e cioè deve emanare sia l’ordinanza di demolizione che il successivo atto di accertamento dell’inottemperanza.

La seconda fattispecie si ha quando l’usufruttuario, all’insaputa del nudo proprietario, commetta abusi edilizi sul bene oggetto del proprio diritto reale in re aliena e dunque quando il bene – al momento della commissione dell’illecito - sia già nella contitolarità del nudo proprietario e dell’usufruttuario.

In relazione a tale ipotesi, il Comune deve emanare l’ordinanza di demolizione anche nei confronti del nudo proprietario. Sul punto, la Plenaria condivide le argomentazioni del Consiglio, rese con sentenza n. 2769 del 2023: - “il nudo proprietario di un terreno non perde la disponibilità del bene, sebbene concesso in usufrutto a terzi” e “l'usufruttuario, ancorché possessore rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il nudo proprietario, mero detentore del bene”; - “la giurisprudenza riconosce la legittimazione del nudo proprietario ad agire in giudizio contro tutti coloro che mettono in atto ingerenze sulla cosa oggetto di usufrutto” (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 21 febbraio 2019, n. 5147); - “il nudo proprietario non si trova in posizione tale da non potersi opporre alla realizzazione, sull’immobile concesso in usufrutto, di opere abusive, né gli è precluso di agire direttamente, o per via giudiziale, per procedere al ripristino dello stato dei luoghi” e “argomenti in tal senso si ricavano prima ancora dal diritto positivo: sia dall’art. 1005 c.c. che pone a carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie, sia dall’art. 1015 c.c., che – con un’elencazione di comportamenti ritenuta per lo più esemplificativa e non tassativa - annovera gli abusi dell’usufruttuario tra le cause di decadenza dell’usufrutto e prevede una serie di rimedi attivabili dal nudo proprietario”; - risulta “legittima l’ordinanza di rimozione di opere abusive diretta anche al nudo proprietario”, poiché egli può attivarsi per recuperare il pieno godimento dell’immobile e provvedere direttamente alla rimozione delle opere abusivamente realizzate, potendo, in particolare, in caso di opposizione dell’usufruttuario, agire in giudizio a tale scopo: ed è evidente che la domanda giudiziale con cui il nudo proprietario chieda accertarsi il suo diritto/dovere di rimuovere opere edilizie abusivamente realizzate sull’immobile concesso in usufrutto, essendo idonea a prenotare gli effetti scaturenti dalla futura sentenza, potrebbe precludere l’acquisizione del bene al patrimonio dell’Amministrazione, a seguito del vano decorso del termine assegnato per la demolizione.

E, infatti, l’ordine di demolizione – allorquando sia emesso nei confronti del nudo proprietario, oltre che nei confronti dell’usufruttuario autore dell’illecito - radica un dovere in capo allo stesso nudo proprietario, consentendogli di attivarsi per ripristinare l’ordine giuridico violato dal responsabile dell’abuso e per evitare di perdere il proprio diritto reale a causa dell’illecito comportamento altrui.

L’ordine di demolizione costituisce quel factum principis che impone al nudo proprietario di attivarsi, qualora intenda mantenere il proprio diritto reale.

Il Collegio ribadisce anche un altro principio formulato dall’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 9 del 2017, per il quale “gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile (l’estraneità agli abusi assumendo comunque rilievo sotto altri profili), applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato”.

Quindi, il Collegio, rilevato che nel caso di abuso commesso dall’usufruttuario il Comune deve emanare l’ordinanza di demolizione anche nei confronti del nudo proprietario, prosegue ad approfondire l’ulteriore questione se – nel caso di inottemperanza – l’atto di acquisizione vada anch’esso emanato nei confronti del nudo proprietario, risolvendola nel senso affermativo.

Secondo la Plenaria, infatti, l’ordinanza di demolizione contiene non solo l’ordine di ripristino, ma anche l’avviso che la sua mancata ottemperanza comporterà la perdita del diritto di proprietà secondo un meccanismo che comporta l’estinzione ex lege del diritto in capo al proprietario e la sua acquisizione al patrimonio pubblico.

La regola della acquisizione di diritto con la scadenza del termine di 90 giorni si applica nei confronti di tutti coloro che siano stati destinatari dell’ordinanza di demolizione e dunque anche nei confronti del nudo proprietario che abbia in precedenza avuto la notifica della medesima ordinanza.

Il Collegio osserva che, peraltro, anche nei confronti del nudo proprietario si applica il principio per il quale l’atto di acquisizione non può essere emesso quando risulti la non imputabilità della mancata ottemperanza da parte del destinatario dell’ordine di demolizione: anche il nudo proprietario, dunque, può dedurre e comprovare di essere stato impossibilitato ad effettuare la demolizione, in ragione di una malattia completamente invalidante, che non gli consente di compiere gli atti giuridici necessari all’uopo, né direttamente, né per interposta persona.

Secondo l’Adunanza Plenaria, i principi per i quali l’atto di accertamento dell’inottemperanza va emesso anche nei confronti del nudo proprietario destinatario dell’ordine di demolizione, salva la sua possibilità di dedurre e di comprovare la non imputabilità della mancata ottemperanza, non si pongono in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo.

In definitiva, dunque, l’Adunanza Plenaria respinge il secondo motivo di appello.

 

iii) L’illegittimità derivata dell’accertamento di inottemperanza che recepisce i vizi dell’ordinanza di demolizione

Soffermandosi sul terzo motivo di appello, l’Adunanza Plenaria ne decide il rigetto per infondatezza. Con tale motivo, in particolare, si deduceva l’illegittimità derivata dell’accertamento di inottemperanza, che recepirebbe i vizi dell’ordinanza di demolizione.

Il Collegio, in particolare, ribadisce il principio secondo il quale qualora l’ordinanza di demolizione dell’opera abusiva diventi inoppugnabile, gli atti ad essa consequenziali possono essere impugnati solo per vizi propri (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3565).

 

  1. iv) La sanzione pecuniaria

Da ultimo, il Collegio si sofferma sul primo motivo di appello, con il quale si contesta, nella sostanza, l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 4-bis del citato art. 31 in capo all’appellante per violazione del principio di irretroattività, poiché il suo illecito – consistente nella mancata ottemperanza all’ordine di demolizione - è stato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 164 del 2014.

La Plenaria ritiene il motivo fondato, rilevando che il comma 4 bis del citato art. 31 prevede che: “L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria”, dunque, la formulazione della disposizione non lascia adito a dubbi quanto al fatto che la sanzione pecuniaria è irrogata in ragione dell’inottemperanza all’ordine di demolizione: l’accertamento deve necessariamente precedere l’irrogazione della sanzione e la condotta colpevolmente omissiva del destinatario dell’ordine di demolizione comporta, quindi, per il proprietario una duplice sanzione: a) la perdita della proprietà del bene; b) una sanzione pecuniaria variabile da 2.000 a 20.000 euro.

Il Collegio evidenzia che tali sanzioni vengono irrogate a causa del mancato adempimento all’ordine di demolire, ossia in ragione di un illecito ad effetti permanenti, che si consuma con lo scadere del termine di 90 giorni assegnato dall’autorità amministrativa con l’ordine di demolizione: il loro presupposto è l’accertamento dell’inottemperanza dell’ordine di demolizione. Pertanto, conclude che si è in presenza di un illecito ad effetti permanenti, in quanto la perdita del bene abusivo e dell’area di sedime consegue all’inerzia nel demolire protrattasi oltre il termine di 90 giorni assegnato dall’autorità e che l’acquisto del bene avviene ope legis, sicché l’atto di accertamento dell’inottemperanza ha natura dichiarativa.

La Plenaria prosegue l’argomentazione, tenendo conto dei principi nazionali e dei principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi 8 giugno 1976, in forza dei quali la sanzione pecuniaria in questione ha la finalità di prevenzione generale e speciale, mirando a dissuadere dalla commissione degli illeciti edilizi e a salvaguardare il territorio nazionale: il comma 4-bis sanziona chi non si è adoperato per porre rimedio alle conseguenze derivanti dagli abusi realizzati direttamente o a causa della mancata vigilanza sui propri beni.

Quindi, a dire del Collegio, rilevano tre principi: a) il principio di irretroattività, desumibile nella materia sanzionatoria dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, oltre che dall’articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile; b) il principio di certezza dei rapporti giuridici, perché chi non ha ottemperato all’ordine di demolizione, facendo decorrere il termine di 90 giorni prima dell’entrata in vigore della legge n. 164 del 2014, ha compiuto una omissione in un quadro normativo che prevedeva ‘unicamente’ la conseguenza della perdita della proprietà e non anche quella dell’irrogazione della sanzione pecuniaria; c) il principio di tipicità ed il principio di coerenza, poiché – come si è sopra evidenziato - col decorso del termine di 90 giorni il responsabile non può più demolire il manufatto abusivo, poiché non è più suo, sicché non è più perdurante l’illecito omissivo (in quanto si è consumata la fattispecie acquisitiva), sicché l’applicazione dell’art. 31, comma 4-bis, anche alle ipotesi in cui il termine di 90 giorni era già decorso prima della sua entrata in vigore, comporterebbe l’applicazione di una sanzione per una omissione giuridicamente non più sussistente, essendo preclusa ogni modifica del bene in assenza di ulteriori determinazioni del Comune sulla gestione del bene divenuto ormai suo.

 

  1. I principi di diritto

In conclusione, l’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 16/2023, accoglie il primo motivo di ricorso, respinge il secondo e il terzo ed afferma i seguenti principi di diritto:

a) la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione entro il termine da esso fissato comporta la perduranza di una situazione contra ius e costituisce un illecito amministrativo omissivo propter rem, distinto dal precedente illecito – avente anche rilevanza penale - commesso con la realizzazione delle opere abusive;

 

  1. b) la mancata ottemperanza – anche da parte del nudo proprietario - alla ordinanza di demolizione entro il termine previsto dall’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, impone l’emanazione dell’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, tranne il caso in cui sia stata formulata l’istanza prevista dall’art. 36 del medesimo d.P.R. o sia stata dedotta e comprovata la non imputabilità dell’inottemperanza;

 

  1. c) l’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, emesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura dichiarativa e comporta – in base alle regole dell’obbligo propter rem - l’acquisto ipso iure del bene identificato nell’ordinanza di demolizione alla scadenza del termine di 90 giorni fissato con l’ordinanza di demolizione. Qualora per la prima volta sia con esso identificata l’area ulteriore acquisita, in aggiunta al manufatto abusivo, l’ordinanza ha natura parzialmente costitutiva in relazione solo a quest’ultima (comportando una fattispecie a formazione progressiva);

 

  1. d) l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione comporta la novazione oggettiva dell’obbligo del responsabile o del suo avente causa di ripristinare la legalità violata, poiché, a seguito dell’acquisto del bene da parte dell’Amministrazione, egli non può più demolire il manufatto abusivo e deve rimborsare all’Amministrazione le spese da essa sostenute per effettuare la demolizione d’ufficio, salva la possibilità che essa consenta anche in seguito che la demolizione venga posta in essere dal privato;

 

  1. e) la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere irrogata nei confronti di chi – prima dell’entrata in vigore della legge n. 164 del 2014 – abbia già fatto decorrere inutilmente il termine di 90 giorni e sia risultato inottemperante all’ordine di demolizione, pur se tale inottemperanza sia stata accertata dopo la sua entrata in vigore”.