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Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale. Relazione della Corte di cassazione.
Corte di Cassazione, relazione n. 56 del 14 luglio 2020.
Oggetto: Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale. CONTRATTI IN GENERE - ESECUZIONE DI BUONA FEDE FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - ESECUZIONE DEL CONCORDATO
SOMMARIO: 1.Impostazione dei problemi. 2.Le norme sull’impossibilità sopravvenuta. 3.Le norme sull’eccessiva onerosità sopravvenuta. 4.Inadempimento della prestazione e impotenza finanziaria. 5. Le norme sostanziali “anti-Covid”. 6. Le norme “emergenziali” per le imprese in crisi. 7. L’esecuzione delle procedure concorsuali minori. 8. Il principio di conservazione del contratto. 9. La rinegoziazione del contratto squilibrato. 10. Rilievi conclusivi.
- Impostazione dei problemi. Lo shock economico da pandemia mette sul tavolo due problematiche interconnesse: quella della gestione delle sopravvenienze perturbative dell’equilibrio originario delle prestazioni contrattuali; quella dei correlati rimedi di natura legale e convenzionale1 . Le problematiche attengono alla fase esecutiva di tutti i contratti sinallagmatici, che in quanto tali ottemperano ad una funzione di scambio nel cui quadro una prestazione è in funzione dell’altra ed il vizio o difetto che colpisce la prima incide sulla seconda. Il legame fra le due prestazioni – il c.d. sinallagma – è essenziale poichè qualora una delle prestazioni venga a mancare, l’altra diviene sproporzionata vanificando il senso dell’operazione programmata. Invero, se il contratto è commutativo, lo scambio è fra prestazioni economicamente equivalenti, di talché le vicende successive alla formazione del negozio che influiscono sul valore di una prestazione innescandone uno squilibrio economico rispetto all’altra, sono suscettibili di ripercuotersi sulla sorte del contratto. Nel cimentarsi con le ripercussioni della pandemia sull’universo delle imprese e dei debitori civili, il Governo italiano ha fatto ricorso a più riprese allo strumento del decreto-legge: il primo, il d.l. 2 marzo 2020; il secondo, il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 c.d. “Cura Italia”2 ; il terzo, il d.l. 8 aprile 2020, n. 23 c.d.. “Decreto Liquidità”3 ; il quarto, il d.l. n. 28/2020. Sul piano del diritto sostanziale, ne è venuta fuori una trama fitta di norme emergenziali e transitorie, tese, nel complesso, ora a sterilizzare alcune disposizioni di diritto societario e concorsuale avvertite come stridenti rispetto alla specialità della crisi, ora a concedere moratorie generalizzate, ora, infine, a congelare la situazione, fermando le lancette dell’orologio dei rapporti negoziali tendenzialmente per l’anno in corso, nell’attesa (o nell’auspicio) di tempi migliori o perlomeno prevedibili.
- Le norme sull’impossibilità sopravvenuta. Il legislatore non si è inventato nuovi rimedi alle tensioni proiettate dal lockdown sulla solvibilità dei debitori e sull’esecuzione dei loro rapporti contrattuali. Sul piano dei mezzi regolati dalla disciplina generale dei contratti del codice civile, stretto è lo spazio della risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c.). Questa sembra avere agio solo quando l'emergenza epidemiologica rende la prestazione dedotta in negozio completamente e definitivamente ineseguibile o inottenibile. Fisiologico che le obbligazioni pecuniarie tali non divengano mai4 , non essendo esposte ad una materiale o giuridica oggettiva impossibilità, ma solo ad una soggettiva inattuabilità, connessa all'indisponibilità o alla penuria dei flussi di cassa. In linea di massima, peraltro, le prestazioni oggi irrealizzabili potranno tornare ad essere concretamente possibili alla cessazione dell'emergenza. Al più potrà darsi il caso del contratto che debba inevitabilmente essere eseguito entro un termine, stabilito come essenziale dalle parti o connotato come tale dalla natura stessa dell'interesse che il negozio è volto a soddisfare5 . In detti casi, a venire in rilievo è l'art. 1256, comma secondo, c.c., a tenore del quale il debitore non è responsabile del ritardo per tutto il tempo in cui la prestazione è temporaneamente impossibile, ma “l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”. L'estinzione dell'obbligazione per impossibilità definitiva della prestazione, o per impossibilità temporanea “protratta”, nei casi stabiliti dal secondo comma dell'art. 1256 c.c., comporta l'applicabilità dell'art. 1463 c.c., a’ sensi del quale “la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta”. Sovente la prestazione negoziale si mostrerà solo parzialmente6 o provvisoriamente impossibile7 senza che ciò determini l'estinzione dell'obbligazione. In siffatte ipotesi a porsi in evidenza è l’art. 1464 c.c. in punto di impossibilità parziale: il contratto non si risolve, ma la parte creditrice della prestazione parzialmente impossibile viene messa davanti a ben tre opzioni: ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione che a sua volta la grava; può recedere dal contratto allorché non abbia interesse all'adempimento parziale8 ; in ogni caso, a fronte della prestazione temporaneamente impossibile può sospendere l'esecuzione di quella da lui dovuta9 . Significativo che alcune pronunce di legittimità abbiano, peraltro, evidenziato che “l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione” 10 . Nelle fattispecie vagliate dalla Suprema Corte si constatava, peraltro, l’integrale venir meno dell'interesse di una parte contrattuale a ricevere la prestazione dedotta in contratto, divenuta inidonea ad assolvere la sua finalità essenziale, quindi a realizzare la sua causa concreta del negozio. Con maggiore difficoltà entro l’alveo applicativo dell’art. 1464 c.c. possono ricondursi i contratti di locazione, anche di beni produttivi, incisi dallo scotto della pandemia, dal momento che la prestazione di concessione in godimento rimane possibile e continua a essere eseguita quand’anche per factum principis le facoltà di godimento del bene risultino momentaneamente affievolite. Nel contratto di durata, la prestazione del locatore continua ad essere resa benchè l'utilità che il conduttore ne ricava sia allo stato depressa. Fare perno sulle disposizioni in materia di impossibilità sopravvenuta per smarcare in tutto o in parte il locatario dal pagamento del canone vuol dire correggere l’alterazione dell’equilibrio contrattuale, dislocando una porzione delle conseguenze finanziarie del Covid da una parte all'altra del contratto, ma sulla base di una considerazione che appare ispirata al buon senso, più che al rigore giuridico.
- Testo completo in allegato.