Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. del 2 aprile 2020, n. 2225
La validità del provvedimento impugnato non viene scrutinata dal giudice amministrativo nel suo complesso – ovvero per qualsiasi ipotetico vizio, anche non apertamente sollevato nel processo –, bensì solo in relazione agli specifici vizi motivi esposti nel ricorso. In ragione del carattere necessariamente «frammentario» della cognizione, l’azione amministrativa si ri-espande su tutti gli spazi non coperti dalla parentesi giurisdizionale: si conferma così l’impostazione di fondo secondo cui l’efficacia oggettiva del giudicato amministrativo non esclude in assoluto la possibilità di riedizione sfavorevole del potere, anche in assenza di sopravvenienze.
Quando è impugnato un provvedimento discrezionale, i limiti oggettivi del giudicato amministrativo sono saldamente ancorati agli specifici argomenti di fatto e di diritto che integrano la violazione accertata dal giudice. Occorre quindi isolare il «dispositivo sostanziale» della motivazione, che nel processo amministrativo oltrepassa la funzione meramente giustificativa della decisione, in quanto può conformare la successiva attività amministrativa.
La sentenza amministrativa costituisce titolo per l’azione esecutiva e non per la “prosecuzione” del giudizio di cognizione. Il giudizio di ottemperanza è volto a tradurre in atto le statuizioni contenute nella sentenza definitiva.
Le regole fissate in sede di cognizione aventi carattere condizionato o incompleto possano essere integrate nel giudizio di ottemperanza solo quando il loro ulteriore svolgimento sia comunque già desumibile nei suoi tratti essenziali dal giudicato. Solo entro questi limiti è predicabile una sorta di «cognizione esecutiva».
Al di fuori di queste ipotesi, resta il fatto che non sempre il contenuto ordinatorio della sentenza di accoglimento consente una definizione della fattispecie sostanziale.
Ove l’attività amministrativa contestata involga ampi margini di discrezionalità tecnica, il giudice non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Amministrazione, dovendo piuttosto verificare se l’opzione prescelta da quest’ultima rientri o meno nella ristretta gamma di soluzioni plausibili del conflitto di interessi che l’Ordinamento ha inteso delegare ai pubblici poteri.