Ultimissime

Il TAR Lazio si esprime sul carattere ingannevole dei messaggi pubblicitari diffusi.
TAR Lazio - Roma, Sez. I, sent. del 23 dicembre 2020, n. 13953.
Sul contenuto dei messaggi diffusi. La liceità di un messaggio pubblicitario discende non solo (come è ovvio) dalla veridicità delle informazioni in esso contenute, ma anche dalla loro completezza. L’omissione di informazioni ‒ censurabile nella misura in cui riguardi elementi fondamentali e necessari a comprendere esattamente il contenuto della comunicazione pubblicitaria per poi poter effettuare la scelta del prodotto o del servizio ‒ va sanzionata tanto quanto la non corrispondenza al vero delle stesse.
L’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario può risiedere anche nell’utilizzo di termini inappropriati il cui significato non corrisponda fedelmente al bene o servizio offerto.
La comunicazione pubblicitaria ‒ oltre che sotto il profilo della veridicità dei suoi contenuti ‒ va valutata anche con riguardo alla sua veste esteriore. Il carattere ingannevole, in particolare, può riguardare le modalità con cui un messaggio veicola un determinato bene o servizio, quando incidono sulla capacità dello stesso di comprendere l’esatta natura di ciò che gli viene offerto, manipolandone artificialmente il processo selettivo.
In questi casi, il giudizio di ingannevolezza riguarda la stessa forma espositiva del messaggio, indipendentemente dal contenuto veritiero dello stesso, e si incentra sulla valutazione del primo impatto che la comunicazione ha sul consumatore considerando tutti gli elementi (grafici e di contesto) che possono distogliere l’attenzione del professionista.
Al concetto di ingannevolezza va ricondotta altresì la pubblicità occulta che si sostanzia in una condotta insidiosa fondata su un’informazione apparentemente neutrale e disinteressata. Qui ad essere occultato non è il contenuto del messaggio bensì la sua funzione, che viene fatta apparire estranea all’ambito concorrenziale e quindi non strumentale alla vendita del prodotto. Il carattere insidioso della pubblicità occulta risiede evidentemente nella sua capacità di intaccare le risorse critiche alle quali il pubblico è solito ricorrere dinanzi ad una pressione pubblicitaria palese.
Nell’ambito del divieto di pubblicità occulta va ricondotta, sia l’ipotesi di c.d. «product placement» ‒ che si concreta nella ripetuta esibizione, in modo apparentemente casuale, all’interno di un film o di una trasmissione televisiva, di prodotti o di servizi i cui marchi risultano ben riconoscibili ‒, sia la pubblicità c.d. «redazionale», quella cioè rivolta al pubblico con le ingannevoli sembianze di un normale servizio giornalistico.
L’effetto provocato dalla pubblicità redazionale consiste nell’influenza sulla credibilità del messaggio prodotta dalle intenzioni che il lettore attribuisce a chi comunica. Infatti, mentre il consumare è consapevole del fatto che le intenzioni dell’impresa che pubblicizza i propri prodotti o servizi sono di condizionarne il comportamento spingendolo all’acquisto, viceversa al giornalista o alla redazione di un giornale non viene associato alcun vantaggio personale derivante dalla decisione del consumatore di orientarsi verso l’acquisto di un determinato prodotto.
Si comprende quindi la scelta legislativa, dettata dall’art. 23, comma, 1, lettera m), del Codice del consumo, di considerare in ogni caso ingannevole la pratica commerciale consistente nell’«impiegare contenuti redazionali nei mezzi di comunicazione per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga dai contenuti o da immagini o suoni chiaramente individuabili per il consumatore».