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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Il CGARS si esprime sulla natura della concessione di pubblico servizio e il conseguente riparto di giurisdizione.

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CGARS, Sez. Giurisd., sent. del 16 ottobre 2020, n. 935.

1) La concessione di servizio pubblico instaura un rapporto di diritto pubblico fra Amministrazione concedente e concessionario, che riveste (la prima) una posizione autoritativa che si compendia in una situazione di interesse legittimo (del secondo); tale rapporto si connota anche di profili patrimoniali, che sono regolati nell’ambito della convenzione stipulata fra i due soggetti.

2) La giurisdizione sulle controversie relative alla fase esecutiva di una concessione di servizio nel senso di attribuirla al giudice ordinario quando hanno a oggetto l’adempimento e la correlata determinazione dei diritti e degli obblighi dell'amministrazione e del concessionario, nonché la valutazione “in via incidentale, [del]la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione del corrispettivo” e al giudice amministrativo nei casi in cui l'amministrazione, successivamente all'aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d'ufficio, o comunque adotti atti autoritativi in un procedimento amministrativo disciplinato dalla l. n. 241 del 1990, oltre che nei casi previsti dalla legge; rientra pertanto nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto la dichiarazione di decadenza senza indennizzo alcuno di una concessione e diritti connessi relativa alla gestione di un parcheggio interrato.

1) Ha chiarito il C.g.a. che il provvedimento concessorio è un provvedimento amministrativo posto che, come tutti i provvedimenti amministrativi, costituisce il risultato del bilanciamento fra gli interessi coinvolti, fra i quali si rinvengono gli interessi pubblici sottesi alla riserva o comunque alla necessità di assumere l’erogazione del servizio, e si connota per il fatto che attribuisce al privato prerogative che, nell’ordinamento generale, sono proprie soltanto del soggetto pubblico, essendo il portato della posizione di autorità che lo connota, e nel contempo esclude altri da quella posizione.
Il connubio che, a seguito della concessione, si instaura fra soggetto pubblico e privato è tale da coinvolgere quest’ultimo nel programma pubblico facendolo partecipe della posizione, a volte anche autoritativa, che lo connota e comunque utilizzando proprio quella posizione per implicarlo.
La concessione, pertanto, instaura un rapporto di diritto pubblico fra Amministrazione concedente e concessionario, che rivestono (la prima) una posizione autoritativa che si compendia in una situazione di interesse legittimo (del secondo). Tale rapporto si connota anche di profili patrimoniali, che sono regolati nell’ambito della convenzione stipulata fra i due enti. Per lungo tempo si è parlato di concessioni-contratto.
La suddetta connotazione, e quindi la sottostante riserva, da intendersi nel senso sopra delineato, costituisce anche il limite dell’istituto di diritto pubblico, nel senso che, in mancanza dei suddetti requisiti, si è al di fuori della categoria pubblicistica della concessione amministrativa.
In tale prospettiva la concessione, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non esaurisce la sua funzione pubblica nel momento in cui, attraverso il provvedimento amministrativo, a seguito di una procedura, viene individuato il concessionario e affidato al medesimo il servizio. Essa, infatti, affondando le proprie radici in una riserva di amministrazione (quindi in un settore di interesse pubblico) è tesa alla regolamentazione e al controllo dell’esercizio della prerogativa concessa. La sua missione pubblicistica è proprio quella di garantire l’implementazione di quella prerogativa e, nel caso di concessione di servizio pubblico, l’esercizio del servizio.
Non fa venir meno la connotazione pubblicistica del rapporto concessorio, quando essa è presente nei termini sopra delineati, la circostanza che debba applicarsi la procedura a evidenza pubblica per addivenire alla scelta del concessionario.
I contratti a evidenza pubblica, infatti, sono una categoria procedimentale, che dal punto di vista sostanziale può essere applicata a contratti diversi, ordinari, speciali e a oggetto pubblico.
L’aspetto procedimentale, e l’imposizione di regole che garantiscano concorrenza fra gli aspiranti, trova il proprio ancoraggio, nell’ambito dell’ordinamento italiano, nel principio di uguaglianza e di libertà economica e, nell’ambito del diritto UE, nei principi del mercato comune e di libera prestazione dei servizi, oltre che nelle direttive di settore (dir. 89/440/CEE, direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e direttive n. 2014/23, 2014/24 e 2014/25/UE, attuate con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).
L’imposizione di regole procedimentali ai fini della stipulazione della concessione (di servizi) trova storicamente e sistematicamente la propria ragion d’essere nella distinzione che intercorre rispetto al contratto d’appalto.
Quest’ultimo è un contratto di diritto civile, con annessi alcuni elementi di specialità. Esso è disciplinato da norme di diritto pubblico quanto alla scelta del contraente al fine di garantire quella concorrenza per il mercato di ascendenza eurounitaria.
In tale prospettiva la fase pubblicistica si esaurisce nella procedura di aggiudicazione, cioè nella gara di scelta del contraente. Ciò in quanto le norme di diritto pubblico sono volte a garantire l’uguaglianza (concorrenziale) fra gli aspiranti al contratto in ragione della rilevanza della risorsa pubblica nella creazione del mercato unico e anche quale strumento di superamento dei cicli economici avversi.
L’oggetto del contratto che si va a stipulare infatti non viene regolamentato dal diritto eurounitario se non per alcune norme di esecuzione, volte principalmente a declinare in maniera uniforme il rapporto esecutivo nell’ambito degli Stati membri, spesso declinazione di tipiche facoltà civilistiche.
Nell’impostazione dell’Unione europea è stato importante distinguere l’appalto dalla concessione, rispetto alla quale mancava in origine una regolamentazione della disciplina procedimentale e per la quale anche oggi è prevista una regolamentazione in parte differente.
La diversità fra appalto e concessione è stata individuata ed è individuata, nell’ottica di un ordinamento, quello dell’UE, fortemente improntato, specie all’inizio, all’implementazione delle libertà economiche nel mercato comune, nella diversa allocazione dei rischi. Nel senso che vi è concessione, nell’ottica europea, allorquando il concessionario assume su di sé il rischio operativo che controbilancia la posizione particolare che esso assume in seguito all’ottenimento della concessione.
Nondimeno la distanza tra le figure dell'appalto e della concessione, nella prospettiva del diritto europeo, si è andata riducendo.
Tale riduzione della distanza si misura peraltro soprattutto in relazione all’oggetto specifico della disciplina UE, cioè la fase della gara, che, per entrambi gli istituti, diventa la ragione prima dell’imposizione di regole imperative (di diritto pubblico, per differenza rispetto alla libertà precontrattuale di stampo privatistico, e quale portato della scarsità e rilevanza della risorsa pubblica nel mercato unico europeo) per la scelta del contraente. 

Tale circostanza si specchia in una previsione di giurisdizione esclusiva limitata alla fase procedurale dell’affidamento, in sintonia con la funzione della regolamentazione, concentrata, come si è detto, sulla gara, e estesa, solo in minima parte, anche alla fase esecutiva.
In tal senso non coglie nel segno il richiamo a quell’orientamento della Corte di cassazione che afferma la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi ad oggetto il provvedimento di decadenza dall’aggiudicazione di un pubblico appalto (per inadempimento contestato in sede di anticipata esecuzione del contratto), giungendo alla conclusione che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo arriva sino al limite invalicabile dell’atto di aggiudicazione definitiva, non potendo estendersi al segmento procedimentale successivo (Cass. civ., ss.uu., 5 ottobre 2018, n. 24411). Per lo stesso motivo (si tratta comunque di un appalto) è parimenti inconferente il richiamo alla giurisprudenza amministrativa che si pone nel senso di demandare alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie che hanno ad oggetto il provvedimento di risoluzione anticipata del contratto per grave inadempimento disposto ex art. 163, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (ora art. 108, comma 3, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), e ciò “dovendo l'atto risolutivo essere qualificato come una forma di autotutela contrattuale riconosciuta alla Pubblica amministrazione che incide sul diritto soggettivo del contraente privato; allo stesso modo, qualora l'amministrazione pubblica ottenga la risoluzione del contratto invocando la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ., ivi contenuta, la controversia tra le parti contraenti appartiene alla giurisdizione ordinaria per essere l'atto risolutivo esercizio di diritto potestativo governato dal diritto comune e non di poteri autoritativi di matrice pubblicistica dell'amministrazione pubblica nei confronti del privato”.
Risulta inconferente anche il richiamo alla giurisdizione in materia di concessione di lavori, che non può essere ricompresa nella fattispecie concessoria, essendo piuttosto assimilabile alla categoria degli appalti, così inquadrandosi quella giurisprudenza che intesta al giudice ordinario la relativa giurisdizione (Cass. civ., ss. uu., 25 febbraio 2019, n. 5453). 
L’istituto della concessione, così come concepito e costruito nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano, non soffre smentita da parte del diritto UE, che si pone nella diversa ottica di garantire, nella fase precontrattuale, la concorrenza fra gli operatori e, nella fase esecutiva, le posizioni, specie economiche, dei contraenti.
Ciò non esclude che il rapporto che integra la fattispecie concessoria di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 possa rivestire i connotati dell’istituto pubblicistico italiano, con le relative conseguenze nella regolamentazione della fase esecutiva.
Del resto, lo stesso legislatore Ue non sembra ignorare la funzione pubblicistica che può svolgere la concessione allorquando si preoccupa di assicurare l’equilibrio economico finanziario del concessionario nel corso del tempo attraverso il PEF, che consente all’Amministrazione di valutare la sostenibilità dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione.
Potrebbe peraltro anche verificarsi il contrario, cioè che un rapporto contrattuale che si qualifica, sulla base del trasferimento del rischio operativo, in termini di concessione per le finalità del d.lgs. n. 50 del 2016, e quindi nella prospettiva del diritto UE, non assuma i connotati dell’istituto pubblicistico italiano. 

2) Ha chiarito il C.g.a. che a  fronte della duplice prospettiva nella quale può interpretarsi la fattispecie della concessione la regola processuale relativa all’ampiezza della giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. si riferisce, proprio in ragione della sopra illustrata ratio dell’istituto concessorio di diritto pubblico, che comprende la fase esecutiva, a quell’istituto laddove la disciplina della concessione di servizi di derivazione UE esaurisce la propria missione nella procedura di aggiudicazione, non meritando quindi di essere ricompreso nella giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. e rientrando così nel più limitato ambito di applicazione della successiva lett. e).
Nel caso all’esame del Consiglio di Giustizia per la regione siciliana la qualificazione in termini di concessione di servizio pubblico, non contestata (si è detto che il relativo capo di sentenza è passato in giudicato), è stata effettuata in termini generali, basandola sul concetto di servizio pubblico, non sui parametri economici del rischio operativo che connotano la nozione di concessione di servizi pubblici di origine eurounitaria. Pertanto essa si sostanzia nell’attribuzione del connotato concessorio tipico della tradizione italiana.
Quanto sopra potrebbe rivelarsi sufficiente a affermare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., che comprende tutta la fase esecutiva del rapporto, a eccezione soltanto delle controversie di contenuto meramente patrimoniale, senza alcuna implicazione sul contenuto della concessione la estende.
Tanto è pertanto sufficiente per affermare la giurisdizione nel caso di specie.
Del resto le ragioni dell’individuazione di materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si rinvengono nella difficoltà intrinseca di distinguere i due tipi di situazione giuridiche soggettive, diritti e interessi legittimi.
Negli ambiti devoluti alla giurisdizione esclusiva, pertanto, non ponendosi in discussione la diversità di relazioni intercorrenti tra singolo e amministrazione che interesse legittimo e diritto soggettivo esprimono si prescinde, quanto meno ai fini di individuare il giudice dotato di giurisdizione, dall’indagine sulla natura degli atti che le fronteggiano.
L’introduzione della giurisdizione esclusiva risale, infatti, al r.d. 30 dicembre 1923, n. 2840 – nel quale furono inserite anche normative più antiche e successivamente venne trasfuso nel testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con il r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 – e riguardava originariamente, in modo particolare, le controversie di pubblico impiego, settore in cui venivano in rilievo “figure” nelle quali tali situazioni giuridiche apparivano così connesse e di tanta incerta qualificazione da rendere difficile identificarne la natura . Il legislatore dell’epoca decise, pertanto, di attribuire in blocco al giudice amministrativo tutte le controversie ricadenti in tale ambito, incluse quelle, quali quelle relative all’adempimento delle obbligazioni patrimoniali del datore di lavoro, che, secondo la regola del riparto fondata sulle situazioni soggettive del richiedente giustizia, sarebbero rientrate nella giurisdizione del giudice ordinario.
Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva si caratterizzano, quindi, per la compresenza di interessi legittimi e diritti soggettivi strettamente connessi tra loro, cioè per “la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime” (Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204).
E, anzi, la compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie alla detta giurisdizione richiede proprio che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse (Corte cost. 15 luglio 2016, n. 179).
Ciò in quanto i poteri che connotano l’autorità amministrativa possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, così interagendo con variegate e sovrapponibili situazioni giuridiche soggettive.
Ne deriva che non è la natura dell’atto a delimitare l’ambito della giurisdizione esclusiva, appunto in quanto essa si configura anche rispetto ad atti paritetici, ma la circostanza che l’Amministrazione spenda un potere pubblico.
La giurisprudenza della Corte costituzionale, che si è misurata in particolare con l’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in vasti settori dell’agire pubblico a opera degli artt. 33 e ss. d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, identifica, infatti, i criteri che legittimano tale giurisdizione in riferimento esclusivo alle materie prescelte dal legislatore e all’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di un potere pubblico (Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191), così escludendo i “meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio” (Corte cost. 15 luglio 2016, n. 179).
Nondimeno il Collegio ritiene necessario indagare anche la natura giuridica dell’atto impugnato, sulla base della quale è stato dichiarato il difetto di giurisdizione da parte del giudice di primo grado.
L’orientamento in base al quale la giurisdizione amministrativa esclusiva riguarda tendenzialmente tutta la fase esecutiva del rapporto sarebbe stato, infatti, “superato” secondo quanto argomentato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con ordinanza 8 luglio 2019, n. 18267.
La giurisprudenza più recente ha ripartito la giurisdizione sulle controversie relative alla fase esecutiva di una concessione di servizio nel senso di attribuirla al giudice ordinario quando hanno a oggetto l’adempimento e la correlata determinazione dei diritti e degli obblighi dell'amministrazione e del concessionario, nonché la valutazione “in via incidentale, [del]la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione del corrispettivo” e al giudice amministrativo nei casi in cui l'amministrazione, successivamente all'aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d'ufficio, o comunque adotti atti autoritativi in un procedimento amministrativo disciplinato dalla l. n. 241 del 1990, oltre che nei casi previsti dalla legge (Cass. civ., ss. uu., 8 luglio 2019, n. 18267 e 18 dicembre 2018, n. 32728). Ciò in quanto il potere autoritativo “non è ravvisabile in linea di principio quando, esaurita la fase pubblicistica della scelta del concessionario, sia sorto il "vincolo" contrattuale e siano in contestazione la delimitazione del contenuto del rapporto, gli adempimenti delle obbligazioni contrattuali e i relativi effetti sul piano del rapporto, salvo che l'amministrazione intervenga con atti autoritativi che incidono direttamente, seppure successivamente all'aggiudicazione, sulla procedura di affidamento mediante esercizio del potere di annullamento d'ufficio o comunque nella fase esecutiva mediante altri poteri riconosciuti dalla legge” (Cass. civ., ss. uu., 8 luglio 2019, n. 18267 e 18 dicembre 2018, n. 32728).
Anche la giurisprudenza amministrativa è orientata nel senso che la giurisdizione del giudice ordinario è ancorata alle questioni inerenti l’adempimento e l’inadempimento della concessione stessa, nonché alle conseguenze risarcitorie, relativi ai rapporti paritetici, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nei casi in cui l’amministrazione eserciti poteri autoritativi tipizzati dalla legge (Cons. St., sez. V, 9 aprile 2020, n. 2348, emessa proprio in materia di giurisdizione sulla determina di un Ente territoriale di risoluzione per grave inadempimento di un contratto di affidamento del servizio di gestione parcheggi).
Si tratta quindi di esaminare il caso di specie al fine di valutare se i provvedimenti impugnati costituiscano esercizio di pubblico potere nel senso di cui alla giurisprudenza della Corte costituzionale (“la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo”, Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204).
Il C.g.a. ha ritenuto che, al di là della specifica definizione del potere esercitato (che attiene alla successiva fase di merito) l’Amministrazione abbia fatto uso di potere autoritativo, che si giustifica ed è finalizzato ad assicurare la continuità nell’espletamento del servizio pubblico e quindi del pubblico interesse, con la conseguenza che non vi sono motivi per ritenere che non operi l’ipotesi di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. Infatti, in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, possono residuare in capo all'autorità procedente poteri pubblici riferibili, tra l'altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva (Corte cost. n. 43 del 2011), in relazione ai quali è prevista la giurisdizione esclusiva, a norma dell'art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., sempre che detti poteri (in particolare, di autotutela) siano tipizzati dalla legge nazionale in senso compatibile con la legislazione eurounitaria.
​​​​​​Del resto la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di specificare, in relazione alla diversa fattispecie di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a., che non contempla la fase esecutiva del rapporto, che la risoluzione anticipata del contratto disposta autoritativamente è di competenza del giudice ordinario solo se incide su un rapporto di natura privatistica in cui le parti sono in condizione di parità, come nel caso dell’inadempimento delle obbligazioni poste a carico dell’appaltatore, non implicando l'esercizio di poteri discrezionali dell'Amministrazione (Cass. civ., ss. uu., 10 gennaio 2019, n. 489). Invece, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo allorché, come nella fattispecie, “venga esercitato un potere autoritativo di risoluzione contrattuale che implichi o valutazioni di carattere discrezionale circa la convenienza per l’Amministrazione di proseguire nel rapporto già in essere, o la rilevazione in autotutela dell’esistenza di una causa di nullità dell’aggiudicazione, anche successivamente alla stipula del contratto”.