Ultimissime

Condannato al risarcimento del danno chi propone un ricorso confuso e privo di specificità.
Corte di Cassazione, Sezione III, ordinanza n. 16898 del 25 giugno 2019.
Con l’ordinanza in esame la Suprema Corte di Cassazione ha richiamato il principio secondo cui “è inammissibile la censura generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito.".
Nella fattispecie l’attore ricorreva per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello che, confermando la pronuncia del Tribunale, aveva respinto la domanda di risarcimento danni da lui avanzata nei confronti di un quotidiano e di un giornalista per la diffamazione a mezzo stampa.
Il Supremo Collegio ha ritenuto inammissibile il primo motivo di ricorso motivando che il giudizio di cassazione postula una critica vincolata, delimitata e cristallizzata dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito; ne consegue che il motivo di ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato oltre a rientrare nelle categorie logiche previste dall'art. 360 cod. proc. civ., contenga critiche mirate e comprensibili rispetto al percorso argomentativo della motivazione censurata.
La Corte ha ritenuto che nel caso in esame le censure proposte mancassero del tutto di specificità e che nella parte argomentativa il ricorrente proponeva la mescolanza di tutti i fatti già esaminati in sede penale e civile dal Tribunale mascherando la richiesta di un terzo grado di merito, notoriamente non consentito.
La Corte ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente, ex art. 96 u. co. cpc, al risarcimento del danno nei confronti dei contro ricorrenti.