ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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La Consulta si esprime sulla portata e sul significato del principio di offensività desumibile dall’art. 25 della Costituzione.

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Corte Costituzionale, sent. del 17 ottobre 2022, n. 211.

Questa Corte ha, in più occasioni, affermato che il rispetto del principio di offensività (nullum crimen sine iniuria), desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza n. 354 del 2002), comporta che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, può reprimere sul piano penale, come fattispecie di reato, soltanto condotte che, nella loro descrizione tipica comunque rispettosa del principio di legalità, consistano, altresì, in comportamenti dal contenuto offensivo di beni meritevoli di protezione, anche sotto il profilo della loro mera esposizione a pericolo.

Con orientamento costante (ex multis, sentenze n. 225 del 2008, n. 265 del 2005, n. 519 e n. 263 del 2000) si è, altresì, precisato che il principio di offensività opera su due piani distinti: da un lato, come precetto rivolto al legislatore, diretto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività «in astratto»); dall’altro, come criterio interpretativo-applicativo per il giudice comune, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività «in concreto»).

Quanto al primo aspetto, il principio di offensività «in astratto» non implica che l’unico modello, costituzionalmente legittimo, sia quello del reato di danno. Rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore la scelta per forme di tutela anticipata, che colpiscano l’aggressione ai beni giuridici protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, nonché, correlativamente, l’individuazione della soglia di pericolosità alla quale riconnettere la risposta punitiva (sentenza n. 225 del 2008); prospettiva nella quale non è precluso, di norma, il ricorso al modello del reato di pericolo presunto (sentenze n. 133 del 1992, n. 333 del 1991 e n. 62 del 1986). In tale ipotesi, tuttavia, affinché il principio di offensività possa ritenersi rispettato, occorrerà «che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit» (sentenza n. 225 del 2008; analogamente, sentenza n. 333 del 1991 e, più recentemente, sentenze n. 109 del 2016, n. 141 e n. 278 del 2019).

Insomma, anche i reati di pericolo presunto, ai quali va ascritta la previsione di cui all’art. 73 cod. antimafia, devono essere connotati dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa (sentenza n. 360 del 1995).

Il principio di offensività del reato, anche nella sua configurazione come fattispecie di pericolo, postula che le qualità personali dei soggetti o i comportamenti pregressi degli stessi non possono giustificare disposizioni che attribuiscano rilevanza penale a condizioni soggettive, salvo che tale trattamento specifico e differenziato rispetto ad altre persone non risponda alla necessità di preservare altri interessi meritevoli di tutela.