Ultimissime

Il Consiglio di Stato sulle vendite piramidali e la violazione della concorrenza.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 321.
Si viola la concorrenza perchè si crea non una rete di vendita multilivello, bensì un sistema piramidale di acquisto da parte dei consumatori che vengono fittiziamente reclutati come incaricati alle vendite nel caso in cui ci sia una assoluta prevalenza dei proventi connessi al reclutamento e all’autoconsumo su quelli derivanti dalle vendite dirette e l’incaricato sia principalmente indotto a reclutare nuovi consumatori anche per recuperare quanto inizialmente versato (1).
(1) Nella specie la Sezione ha rilevato che la società sanzionata commercializzava bevande a base di caffe per il tramite di un sistema di vendita che prevede un accordo d’intermediazione alle vendite con incaricati, ai sensi della l. n. 173 del 2005; gli incaricati intermediano la vendita dei prodotti della società a fronte di una commissione sostanzialmente parametrata al volume di vendite realizzate; il prodotto viene direttamente venduto dalla società al cliente; il sistema prevede che un incaricato possa favorire l’ingresso di altro incaricato; a fronte di tale ingresso, l’incaricato “reclutante” potrà ricevere una commissione anche dalle vendite effettuate dall’incaricato reclutato e dagli incaricati da quest’ultimi reclutati fino a un certo limite; il sistema d’incentivo prevede che gli incaricati, sia in sede di reclutamento, sia successivamente, possono acquistare i prodotti della società;- per l’acquisto di tali prodotti il soggetto reclutante può avere una commissione sugli acquisti dell’incaricato reclutato; il sistema di remunerazione della società non prevede alcun bonus realizzato per il solo reclutamento di un incaricato, ma bonus sempre collegati alla vendita dei prodotti;
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato nei confronti della società un procedimento istruttorio, per presunta violazione degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b) e c), e 23, lett. p) e s), d.lgs. n. 206 del 2005. In particolare, la condotta contestata consisteva nella creazione e gestione di un articolato sistema con caratteristiche piramidali, di promozione e commercializzazione di bevande a base di ganoderma, a cui venivano attribuiti nei claims pubblicitari particolari proprietà benefiche e/o salutistiche, non comprovate sul piano scientifico.
Conclusa l’istruttoria l’Autorità ha deliberato che la pratica commerciale doveva ritenersi scorretta, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettere b) e c), 23, lett. p) e s), del Codice del consumo, sotto due profili: da un lato, perché idonea a generare affidamento sulle inesistenti proprietà salutistiche delle bevande pubblicizzate; dall’altro lato, in ragione del carattere piramidale del sistema di commercializzazione e vendita.
Ha ricordato la Sezione che nella letteratura di settore viene denominato “multilivello” il sistema di vendita realizzata fuori dai locali commerciali, in cui l’impresa attribuisce agli incaricati non solo il compito di vendere i prodotti o servizi, ma anche quello di invitare i consumatori a partecipare alla rete commerciale, attraverso la sottoscrizione di un contratto di incarico. Trattasi di una organizzazione gerarchica, ove ciascun incaricato potrà guadagnare una percentuale commisurata ai prodotti venduti da lui e da tutti gli incaricati che discendono direttamente ed indirettamente dalle proprie linee di vendita. I profitti rappresentati dai bonus sono quindi commisurati al posizionamento dell’incaricato nella rete.
Le vendite piramidali sono anch’esse caratterizzate da un sistema commerciale multilivello ‒ rappresentato cioè da una rete di venditori strutturata su scala gerarchica interna ‒, nel quale tuttavia l’obiettivo commerciale primario non è collocare sul mercato il bene o servizio, bensì reclutare un numero maggiore di incaricati, il cui accesso nella rete è subordinato, sotto diverse forme, al pagamento di una «fee» che rappresenta l’introito maggiore dell’impresa. In definitiva, mentre una società che opera attraverso forme di vendita diretta multilivello retribuisce i propri agenti o venditori riconoscendo loro delle provvigioni direttamente proporzionali al valore o alla quantità del bene venduto, personalmente o per il tramite di altri soggetti che si è riusciti ad includere nella struttura, in un’organizzazione piramidale il sistema finisce per svincolarsi completamente dai risultati della vendita dei beni e servizi.
Poiché il meccanismo della vendita piramidale comporta l’obbligo di pagamenti da parte dei soggetti che vogliano entrare nella rete dei venditori, il neo-affiliato, non appena avuto accesso alla struttura piramidale, avrà infatti come obiettivo primario la ricerca di altri venditori ai quali far pagare il diritto d’accesso alla catena o comunque la permanenza nella stessa, i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via in un esercizio finalizzato a farlo avanzare nella scala gerarchica dei venditori, condizione che gli consente di percepire compensi per effetto di incaricati che siano posizionati sotto di lui.
Il sistema è destinato a saturarsi una volta che risulti impossibile reclutare ulteriori aderenti, con il risultato che gli aderenti collocati nei livelli più bassi della struttura sopporteranno in via definitiva il costo dovuto dal pagamento della fee d’ingresso che non sono riusciti a “scaricare” su un livello ancor più basso. Per questo motivo, le forme di vendita con caratteristiche piramidali costituiscono una fattispecie di reato ‒ tipizzata al comma 1 dell’art. 5, l. 17 agosto 2005, n. 173, la quale fa divieto della «promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l'incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati direttamente o attraverso altri componenti la struttura» ‒, punita con la pena alternativa dell’arresto da sei mesi ad un anno o dell’ammenda da € 100.000 a € 600.000 (art. 6, l. n. 173 del 2005).
La tutela così apprestata dall’ordinamento si rivolge, tanto al consumatore finale, quanto ai venditori vicini alla base della “piramide”: questi ultimi, infatti, sono di fatto costretti ad acquistare quantità sproporzionate di beni e servizi che non riusciranno poi a loro volta a vendere se non cagionando danni ai consumatori finali, pregiudizi rappresentati da prezzi o interessi eccessivi. La “debolezza” di dei venditori finali è caratterizzata, al pari di quella dei consumatori finali, da una situazione di squilibrio informativo (rispetto ai promotori dell’attività di vendita piramidale), cui si aggiunge, il più delle volte, una condizione di precarietà economica e sociale.
L’art. 6, l. n. 173 del 2005 elenca una serie di elementi presuntivi tipici di un sistema illecito, identificabili nei seguenti obblighi: di acquistare dall’azienda o da terzi una rilevante quantità di prodotto, senza che vi sia diritto di restituzione dell’invenduto; di corrispondere un’ingente somma all’entrata nel sistema, in assenza di una reale controprestazione; di acquistare, all’entrata del sistema, prodotti o servizi non strettamente necessari o comunque sproporzionati all’attività commerciale svolta.
L’ordinamento giuridico prende in separata considerazione il caso in cui la figura dell’incaricato alle vendite si sovrappone a quella di “consumatore”. A questa ipotesi si riferisce l’art. 23, comma 1, lett. p), del Codice del consumo, il quale ‒ all’interno della lista delle pratiche commerciali considerate «in ogni caso» ingannevoli ‒ contempla la condotta del professionista che avvia, gestisce o promuove «un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti». La previsione è riferita alle vendite multilivello che inducono gli incaricati all’acquisto dei prodotti per uso personale.
Il fondamento della citata disposizione è qui quella di contrastare i sistemi distributivi basati sul progressivo ampliamento della base di consumatori reclutati con la prospettiva illusoria di ingenti guadagni.
Poiché anche le microimprese sono oramai incluse tra i soggetti tutelati dalla disciplina dettata per le pratiche commerciali scorrette, deve ritenersi ‒ in assenza di una disposizione analoga a quella che il legislatore ha espressamente inserito per escludere l’applicabilità della tutela prevista dal codice del consumo in materia di pubblicità ingannevole per le microimprese (art. 19, comma 1, del Codice del consumo) ‒ che l’ambito applicativo dell’art. 5, n. 173 del 2005 sia limitato ai soli rapporti tra soggetti in cui quello tutelato non è, né il consumatore, né la micro-impresa.
La Corte di Giustizia ha avuto modo di affermare che il divieto di «sistemi di promozione a carattere piramidale», ai sensi dell’allegato I, punto 14, della direttiva 2005/29, si fonda su tre condizioni cumulative. Innanzitutto, la promozione è basata sulla promessa che il consumatore avrà la possibilità di realizzare un beneficio economico. Poi, l’avveramento di tale promessa dipende dall’ingresso di altri consumatori in un siffatto sistema. Infine, la parte più consistente delle entrate che consentono di finanziare il corrispettivo promesso ai consumatori non risulta da un’attività economica reale (sentenza del 3 aprile 2014, C‑515/12, punto 20).
In assenza di una reale attività economica che consenta di generare entrate a sufficienza per finanziare il corrispettivo promesso ai consumatori, un sistema di promozione a carattere piramidale inevitabilmente si fonda sul contributo economico dei suoi partecipanti, giacché la possibilità che un aderente a detto sistema ottenga un corrispettivo dipende principalmente da quanto versato dagli ulteriori aderenti (sentenza del 3 aprile 2014, C‑515/12, punto 21).
Un sistema di questo genere presenta inevitabilmente «carattere piramidale» nel senso che la sua perpetuazione richiede l’adesione di un numero sempre crescente di nuovi partecipanti onde finanziare i corrispettivi versati ai membri già presenti. Esso implica altresì che gli aderenti più recenti sono meno suscettibili di ricevere un corrispettivo a fronte della loro partecipazione. Tale sistema cessa di essere redditizio allorché la crescita del numero degli aderenti, che teoricamente dovrebbe tendere all’infinito affinché il sistema perduri, non basta più a finanziare i corrispettivi promessi a tutti i partecipanti (sentenza del 3 aprile 2014, C‑515/12, punto 22).
Con specifico riguardo al nesso che deve sussistere tra i contributi versati da nuovi aderenti e i corrispettivi percepiti dagli aderenti già esistenti, risulta dalla formulazione della maggior parte delle versioni linguistiche dell’allegato I, punto 14, della direttiva 2005/29, che il finanziamento del corrispettivo che un consumatore può percepire dipende «essenzialmente» o «principalmente» dai contributi versati in seguito da nuovi partecipanti al sistema. Non è invece richiesto che il nesso finanziario imposto debba necessariamente essere diretto. Quel che rileva è la qualificazione come «essenziale» o «principale» delle partecipazioni versate da nuovi partecipanti a un siffatto sistema. L’allegato I, punto 14, della direttiva 2005/29 è pertanto applicabile a un sistema in cui sussiste un nesso indiretto tra le partecipazioni versate da nuovi aderenti e i corrispettivi percepiti dagli aderenti già presenti (sentenza 15 dicembre 2016, in causa C‑667/15)