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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa delle Corti Supreme
  A cura di Anna Laura Rum



L’Adunanza Plenaria si esprime su diverse questioni inerenti ai requisiti di ordine generale per la partecipazione alle gare.

Di Anna Laura Rum
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA 24 APRILE 2024, n. 7

 

L’Adunanza Plenaria si esprime su diverse questioni inerenti ai requisiti di ordine generale per la partecipazione alle gare.

 

Di Anna Laura Rum

 

I certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza. I requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis debbono essere posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale: ne discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo. Il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti. Indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest’ultima in corso di gara. Compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale l’idoneità e la completezza della certificazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, ovvero dagli enti previdenziali e assistenziali (DURC).

 

Sommario: 1. I fatti di causa 2. I quesiti rimessi all’Adunanza Plenaria 3. I principi di diritto espressi dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 3.1 Sul primo e sul secondo quesito 3.2 Sul terzo quesito 4. La risoluzione delle questioni oggetto del contendere

 

  1. I fatti di causa

I fatti di causa traggono origine dall’indizione di una procedura ad evidenza pubblica, suddivisa in lotti, avente a oggetto l’affidamento, per 36 mesi, del servizio di pulizia e disinfezione di ambienti sanitari, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

All’esito delle operazioni di gara, la stazione appaltante, con determina, ha proceduto all’aggiudicazione.

La seconda classificata, ritenendo l’aggiudicazione illegittima, ha impugnato la determina con ricorso al T.A.R. Lombardia – Sede di Milano, con il quale ha, tra l’altro, lamentato che si sarebbe dovuta escludere l’aggiudicataria dalla gara, ai sensi dell’art. 80 del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, sia perché priva del requisito della regolarità fiscale, sia per non aver dichiarato tale carenza.

In particolare, in relazione a un precedente giudizio davanti al Consiglio di Stato (r.g. xxx), promosso dalla aggiudicataria della gara in oggetto, unitamente ad altra impresa, non sarebbe stato tempestivamente versato il contributo unificato, per cui la Segreteria della Sezione del Consiglio di Stato avrebbe notificato, alle due suddette società, l’invito di pagamento, con l’indicazione delle sanzioni dovute per il caso di ulteriori ritardi nell’adempiere.

La seconda classificata ha osservato che, al momento della presentazione dell’offerta relativa alla gara per cui è causa, sarebbe stato corrisposto il contributo unificato, ma non le sanzioni dovute per il ritardato pagamento: tale irregolarità fiscale, definitivamente accertata, avrebbe, quindi, dovuto comportare l’esclusione.

La società aggiudicataria della gara, costituitasi per resistere al gravame principale, a sua volta ha proposto ricorso incidentale.

Il TAR adito ha definito il giudizio con sentenza, con la quale ha respinto il ricorso principale, rilevando, con riguardo alla dedotta assenza del requisito della regolarità fiscale, che l’importo del contributo unificato non sarebbe “stato notificato all’impresa” e che lo stesso sarebbe stato da quest’ultima “conosciuto a gara avviata e puntualmente corrisposto”.

In conseguenza della reiezione del ricorso principale, il TAR ha, poi, dichiarato improcedibile quello incidentale.

La seconda classificata ha proposto, quindi, appello avverso la sentenza, lamentando (con il primo motivo) l’errore commesso dal giudice di prime cure nel disconoscere la sussistenza della prospettata causa di esclusione dalla gara e nell’aver ignorato la mancata sua dichiarazione da parte dell’aggiudicataria.

Per resistere al ricorso, si sono costituite in giudizio la stazione appaltante e l’aggiudicataria, la quale ha anche proposto appello incidentale.

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, presso cui pendeva il gravame, ha adottato l’ordinanza con la quale, respinte alcune eccezioni, reciprocamente sollevate dall’appellante principale e da quella incidentale, è passata ad affrontare il merito della questione prospettata col primo motivo dell’appello principale, rilevando che l’appellante principale, invocando la generale regola della necessaria continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara, assume che nella specie l’aggiudicataria  avrebbe conclamatamente perduto il requisito della regolarità fiscale in corso di gara, senza che la stazione appaltante ne abbia preso atto e assunto le necessarie determinazioni in punto di esclusione della stessa dalla procedura selettiva. In contrario, la stazione appaltante e l’aggiudicataria richiamano in prima battuta il consolidato indirizzo giurisprudenziale che esclude ogni facoltà per la stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni rilasciate dalle autorità competenti (nella specie, l’Agenzia delle Entrate), le quali fanno fede della regolarità dell’operatore economico sotto il profilo fiscale: nella specie, l’assenza di irregolarità rilevanti sarebbe stata accertata – per l’appunto – attraverso le anzi dette certificazioni, acquisite dalla stazione appaltante in plurimi momenti della procedura (e, da ultimo, in sede di verifica sul possesso dei requisiti prima dell’aggiudicazione)”.

Nell’ordinanza della Terza Sezione si riporta che l’aggiudicataria ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, A.P., 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020, n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682) secondo cui, nelle gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti, si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni; spetta, infatti, in via esclusiva all’Agenzia delle entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali.

Tuttavia, la Terza Sezione ha ricordato nell’ordinanza in esame che, a fronte di tale consolidato orientamento, la giurisprudenza ha enunciato un ulteriore consolidato principio (Adunanza Plenaria, sent. 20 luglio 2015, n. 8), riveniente dalla richiamata regola – invocata dall’appellante principale - secondo cui, proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A. E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti, non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica.

 

  1. I quesiti rimessi all’Adunanza Plenaria

Ravvisando, tra i riferiti orientamenti interpretativi un possibile contrasto giurisprudenziale, la Terza Sezione ha ritenuto di dover rimettere all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

“ i) se, fermo restando il principio della insussistenza di un potere della stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni dell’Agenzia delle entrate attestanti l’assenza di irregolarità fiscali a carico dei partecipanti a una gara pubblica, le quali si impongono alla stessa amministrazione, il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la stazione appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara;

  1. ii) se, correlativamente, sussista a carico della stazione appaltante, ferma restando la richiamata regola della sufficienza delle certificazioni rilasciate dalle Autorità competenti, il dovere di estendere la verifica circa l’assenza di irregolarità in capo all’aggiudicatario della procedura in relazione all’intera durata di essa, se del caso attraverso l’acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione;

iii) se, in ogni caso e a prescindere dalla sufficienza o meno delle verifiche condotte dalla stazione appaltante, il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità con il conseguente obbligo dell’amministrazione di escluderlo dalla procedura stessa”.

 

  1. I principi di diritto espressi dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

3.1 Sul primo e sul secondo quesito

L’Adunanza Plenaria, preliminarmente, non ravvisa l’ipotizzato contrasto giurisprudenziale posto a fondamento del primo quesito e ribadisce l’orientamento per il quale i certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui si impongono alla stazione appaltante, esonerandola da ulteriori accertamenti: tale orientamento, ricorda la Plenaria, riguarda, unicamente, il profilo della prova circa la sussistenza del requisito e degli accertamenti richiesti al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni all’uopo rese dal concorrente in sede di gara, come si desume dall’art. 86, comma 2, del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 80, applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Con tale affermazione, la Plenaria dimostra continuità con quanto affermato dallo stesso Supremo Consesso, con le sentenze nn. 10 del 2016 e 8 del 2012, oltre che di Sezioni semplici (Cons. Stato, Sez. III, 18 dicembre 2020 n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682).

La Plenaria, in particolare, osserva che l’ulteriore orientamento, che secondo la Sezione remittente si contrapporrebbe al primo, fa, invece, riferimento al regime sostanziale dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis, affermando la necessità che gli stessi siano posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale (ex plurimis, Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; 12 febbraio 2018, n. 856; Sez. IV, 1° aprile 2019, n. 2113).

La Plenaria, quindi, afferma che il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti e di informare, tempestivamente, la stazione appaltante di qualsivoglia sopravvenienza tale da privarlo degli stessi.

L’art. 85, comma 1, del D. Lgs. n. 50 del 2016 dispone che il concorrente, al momento della presentazione della domanda di partecipazione, autodichiari, attraverso il documento di gara unico europeo (DGUE), l’assenza di cause di esclusione di cui al precedente art. 80: pur se l’art. 85 non prevede espressamente il dovere di comunicare alla stazione appaltante le eventuali cause di esclusione dalla gara verificatesi in un momento successivo alla presentazione dell’offerta, il relativo onere dichiarativo deve ricollegarsi, alla necessità, sancita dall’art. 1, comma 2-bis, della L. 7 agosto 1990, n. 241, che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione (siano) improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.

Secondo la Plenaria, tale disposizione ha posto un principio generale sull’attività amministrativa e si estende indubbiamente anche allo specifico settore dei contratti pubblici. Inoltre, poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara e sino alla stipula del contratto (e poi ancora fino all’adempimento delle obbligazioni contrattuali), discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo (Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; 25 febbraio 2014, n. 10; Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2231; Sez. III, 10 novembre 2021, n. 7482).

La Plenaria ricorda che la regola si desume anche dall’art. 80, comma 6, del D. Lgs. n. 50 del 2016, il quale stabilisce che: “Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l'operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1,2, 4 e 5”.

Quindi, a tal fine, secondo il Consesso, con specifico riguardo al requisito concernente l’assenza di debiti tributari, la certificazione rilasciata dall’amministrazione fiscale competente (Agenzie delle Entrate o eventualmente altra amministrazione titolare di poteri impositivi), ai sensi dell’art. 86, comma 2, lett. b), del D. Lgs. n. 50/2016, deve coprire l’intero lasso temporale rilevante, ovvero quello che va dal momento di presentazione dell’offerta, sino alla stipula del contratto.

In tal senso, è data, dunque, la risposta ai primi due quesiti posti con l’ordinanza di rimessione.

 

3.2 Sul terzo quesito

Con riferimento all’ultimo quesito, la Plenaria puntualizza che, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest’ultima in corso di gara.

In particolare, per quanto riguarda la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, ovvero dagli enti previdenziali e assistenziali (DURC), per la consolidata giurisprudenza – in primis Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 10 del 2016 – compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale (ossia senza efficacia di giudicato nel rapporto tributario o previdenziale/assistenziale), nell’ambito del giudizio relativo all’affidamento del contratto pubblico, la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente (fra le altre, Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1339; 26 aprile 2021, n. 3366; 14 giugno 2019, n. 4023).

 

  1. La risoluzione delle questioni oggetto del contendere

Alla luce degli enunciati principi di diritto, la Plenaria procede, quindi, a trattare, partitamente, le questioni oggetto del contendere.

Col primo motivo dell’appello principale, la seconda classificata lamenta, in sostanza, che la l’aggiudicataria doveva essere esclusa dalla gara perché priva, al momento della presentazione dell’offerta, della regolarità fiscale, in conseguenza di un debito, grave e definitivamente accertato, col Segretariato Generale della Giustizia amministrativa, derivante dal mancato pagamento di una sanzione, irrogata in conseguenza del ritardato pagamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo del ricorso in appello r.g. xxx. Da qui, l’errore del TAR nell’aver ritenuto insussistente la prospettata carenza del requisito in parola e la violazione del conseguente onere dichiarativo gravante sull’aggiudicataria.

La Plenaria tratta la doglianza congiuntamente al primo motivo dell’appello incidentale, col quale si deduce che il giudice di prime cure, invece che respingere il motivo concernente l’asserita mancanza della regolarità fiscale, avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile, in quanto né alla data della presentazione dell’offerta, né a quella dell’aggiudicazione, sarebbero emerse, a carico dell’aggiudicataria, violazioni fiscali gravi, definitivamente accertate, idonee a integrare la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, come risulterebbe dalle certificazioni rilasciate dall’Agenzia delle Entrate e dell’ANAC (AVCPASS), facenti fede fino a querela di falso.

Del resto, al momento della presentazione dell’offerta, non sarebbe emersa, dall’esame del ‘cassetto fiscale’ dell’aggiudicataria, l’esistenza di alcun debito. Solo successivamente, nel ‘cassetto’ sarebbero state inserite alcune cartelle di pagamento, una delle quali, tra l’altro, concernente il debito di cui sopra, estinto, in corso di gara, prima della notifica della relativa cartella esattoriale.

Viene anche osservato, dall’aggiudicataria, che l’appellante principale, dal canto suo, non avrebbe prodotto a sostegno della propria censura alcuna documentazione, avendo desunto la dedotta carenza della regolarità fiscale, unicamente da una dichiarazione resa dalla stessa aggiudicataria, per mero scrupolo, in altra gara. In ogni caso, il debito di che trattasi non avrebbe natura tributaria, costituendo una mera “spesa del processo”, versata direttamente all’ufficio giudiziario.

La Plenaria afferma che il motivo dell’appello principale è fondato, mentre non lo è quello dell’impugnazione incidentale: viene rilevato, infatti, che, come evidenziato dalla Sezione remittente, il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali, “quali la doverosità della prestazione e il collegamento della stessa ad una pubblica spesa, cioè quella per il servizio giudiziario, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante” (cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2005, n. 73; Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2785; Cass. Civ., Sez. Un., 5 maggio 2011, n. 9840).

Identica natura fiscale, secondo la Plenaria, va riconosciuta alle sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario (l’art. 2, comma 1, del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, infatti, attribuisce la giurisdizione sulle sanzioni in parola al Giudice Tributario).

Quindi, conclude il Collegio, il mancato pagamento delle sanzioni irrogate a seguito del mancato versamento del contributo unificato nei tempi previsti integra la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50 del 2016, laddove la violazione sia grave e definitivamente accertata.

Nel caso di specie, l’aggiudicataria risultava priva del requisito della regolarità fiscale: al momento della presentazione dell’offerta, infatti, era in debito col Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, della somma da versare a titolo di sanzione per il mancato tempestivo versamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo del ricorso in appello r.g. xxx.

Come osservato dalla Plenaria, la violazione della detta obbligazione tributaria era grave e definitivamente accertata: ‘grave’, in quanto superiore alla soglia di 5.000 euro, fissata dall’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, espressamente richiamato dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, nonché ‘definitivamente accertata’, poiché, l’invito di pagamento, valevole quale atto di accertamento della debenza, sia in relazione al contributo unificato dovuto, sia, ai sensi dell’art. 17, comma 1, della L. 18 dicembre 1997, n. 472, con riguardo alle sanzioni pecuniarie da corrispondere per il caso di mancato o ritardato versamento dello stesso, era stato, correttamente, notificato all’aggiudicataria all’indirizzo del difensore presso il quale aveva eletto domicilio (si vedano le dichiarazioni in tal senso rese dalla detta società), così come, espressamente, previsto dall’art. 248, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002. Tale disposizione, nota la Plenaria, è stata ritenuta conforme alla Costituzione dalla Corte Costituzionale, che, con la sentenza 29 marzo 2019, n. 67, ha affermato che “la notifica al domicilio eletto non viola il «fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l'ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell'atto e l'oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti» (sentenza n. 346 del 1998). […]. D’altronde l'onere di diligenza e cooperazione che si richiede in capo al destinatario si concretizza nell'onere di acquisire informazioni dal domiciliatario in ordine al processo e alle incombenze ad esso connesse (compreso dunque l'obbligo di pagare il contributo)”.

La Plenaria evidenzia che l’invito di pagamento non è stato impugnato, con conseguente cristallizzazione dell’obbligazione concernente tanto il contributo unificato, quanto la sanzione pecuniaria (Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; idem 14 aprile 2020, n. 2397; Cass. Civ., Sez. Trib., 7 luglio 2022, n. 21538).

E, secondo il Collegio, la circostanza, addotta dall’appellante incidentale, che il proprio difensore non le avesse comunicato l’avvenuta notifica dell’invito di pagamento, è ininfluente ai fini di causa, risultando incontroversa la sussistenza del debito: d’altra parte, l’art. 14, comma 1, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, stabilisce che la parte “che deposita il ricorso introduttivo […] è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato”, per cui, l’aggiudicataria rispondeva a suo tempo del debito, pur se – per quanto è stato dedotto - si era impegnata al pagamento l’altra società congiuntamente alla quale aveva proposto l’appello r.g. xxx.

La Plenaria conclude, allora, che, a parte ogni considerazione sulla prova di tale circostanza, va rilevato che l’obbligazione tributaria in questione gravava a suo tempo su entrambe le parti appellanti, ai sensi dell’art. 14 sopra citato e che, diversamente da quanto sostiene l’aggiudicataria, nessuna rilevanza ha, poi, ai fini di causa, la disposizione contenuta nell’art. 13, comma 6-bis.1, del D.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui: “L'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza”.

Il Collegio osserva, infatti, che la disposizione si limita a individuare la parte su cui debba gravare l’onere economico del contributo unificato, una volta passata in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, ma non incide sull’identificazione del soggetto passivo del tributo: nel descritto contesto, non rileva il fatto che al momento della presentazione dell’offerta nel cassetto fiscale dell’aggiudicataria non risultassero pendenze tributarie o che la regolarità fiscale fosse stata accertata dall’Agenzia delle Entrate e dall’ANAC tramite l’AVCPASS. Infatti, il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti a esso relativi non vengono iscritti nel ‘cassetto fiscale’.

Solo a seguito dell’emissione del ruolo e della sua consegna all’Agenzia delle Entrate – Riscossione per la procedura esattoriale, l’esistenza del debito è comparsa, attraverso l’indicazione della relativa cartella, nel ‘cassetto fiscale’, ma senza alcuna influenza sulla regolarità fiscale dell’aggiudicataria, ormai già insussistente.

Analoghe considerazioni, per il Collegio, vanno svolte quanto al certificato rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, il quale attesta la situazione fiscale del contribuente unicamente con riguardo alle imposte gestite dal detto ufficio, mentre non rileva per i tributi gestiti da altre amministrazioni, come per l’appunto il contributo unificato.

La Plenaria afferma, inoltre, che è altrettanto irrilevante, ai fini di causa, il documento acquisito tramite il sistema AVCPASS: esso, infatti, non reca alcuna indicazione in ordine a eventuali debiti derivanti dal mancato o ritardato pagamento del contributo unificato e delle relative sanzioni, come si ricava dalla delibera 20 dicembre 2012, n. 111, e succ. mod. e integr., con cui l’ANAC, in attuazione di quanto previsto dall’art. 6-bis del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ha istituito tale sistema. Difatti, l’art. 5 della delibera n. 111 del 2012, che elenca gli enti certificanti tenuti a mettere a disposizione la documentazione e i dati in proprio possesso, relativi ai requisiti di carattere generale per la partecipazione alle gare, non individua, tra di essi, il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, per cui, l’esistenza degli eventuali debiti fiscali nei confronti di quest’ultimo non emerge dal documento rilasciato dall’ANAC.

In ogni caso, ricorda la Plenaria, come più sopra rilevato, nell’ambito del giudizio contro il provvedimento di aggiudicazione di una gara, il giudice ha sempre il potere di accertare la idoneità e la completezza delle certificazioni rilasciate dalle competenti amministrazioni, in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione.

In definitiva, la domanda impugnatoria proposta con l’appello principale viene accolta e, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento delle censure dell’appellante principale, vengono annullati l’atto di ammissione alla gara della società aggiudicataria e la conseguente aggiudicazione.

Viene, inoltre, dichiarata, in accoglimento della domanda all’uopo proposta dall’appellante principale, l’inefficacia del contratto stipulato con l’aggiudicataria, dopo il decorso del termine di cinquanta giorni (fissato per ragioni di carattere organizzativo), decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza: con la medesima decorrenza, viene disposto il subentro nel contratto della società seconda classificata appellante, previo riscontro, da parte della stazione appaltante, del possesso dei requisiti di partecipazione alla gara. Infatti, non è stata prospettata dall’Amministrazione appellata la sussistenza di ostacoli alla dichiarazione di inefficacia del contratto concluso con l’aggiudicataria e alla condanna al subentro nel contratto, in favore dell’appellante.