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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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L'Adunanza Plenaria si esprime sull'accertamento delle regolarità fiscale del concorrente nelle procedure a evidenza pubblica.

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Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. del 24 aprile 2024, n. 7.

Il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti e di informare, tempestivamente, la stazione appaltante di qualsivoglia sopravvenienza tale da privarlo degli stessi.

L’art. 85, comma 1, del D. Lgs. n. 50 del 2016 dispone che il concorrente, al momento della presentazione della domanda di partecipazione, autodichiari, attraverso il documento di gara unico europeo (DGUE), l’assenza di cause di esclusione di cui al precedente art. 80.

Pur se l’art. 85 non prevede espressamente il dovere di comunicare alla stazione appaltante le eventuali cause di esclusione dalla gara verificatesi in un momento successivo alla presentazione dell’offerta, il relativo onere dichiarativo deve ricollegarsi, alla necessità, sancita dall’art. 1, comma 2-bis, della L. 7 agosto 1990, n. 241, che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione (siano) improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.

Tale disposizione, infatti, ha posto un principio generale sull’attività amministrativa e si estende indubbiamente anche allo specifico settore dei contratti pubblici (Cons. Stato, Sez. III, 19 febbraio 2024, n. 1591; Sez. V, 16 agosto 2021, n. 5882).

Poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara e sino alla stipula del contratto (e poi ancora fino all’adempimento delle obbligazioni contrattuali), discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo (Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; 25 febbraio 2014, n. 10; Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2231; Sez. III, 10 novembre 2021, n. 7482).

La regola si desume anche dall’art. 80, comma 6, del D. Lgs. n. 50 del 2016, il quale stabilisce che: “Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l'operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1,2, 4 e 5”.

A tal fine, con specifico riguardo al requisito concernente l’assenza di debiti tributari, la certificazione rilasciata dall’amministrazione fiscale competente (Agenzie delle Entrate o eventualmente altra amministrazione titolare di poteri impositivi), ai sensi dell’art. 86, comma 2, lett. b), del D. Lgs. n. 50/2016, deve coprire l’intero lasso temporale rilevante, ovvero quello che va dal momento di presentazione dell’offerta sino alla stipula del contratto.

In tal senso è, dunque, la risposta ai primi due quesiti posti con l’ordinanza di rimessione.

3. Con riferimento all’ultimo quesito prospettato, va, infine, puntualizzato che, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest’ultima in corso di gara.

Per quanto riguarda la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, ovvero dagli enti previdenziali e assistenziali (DURC), per la consolidata giurisprudenza compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale (ossia senza efficacia di giudicato nel rapporto tributario o previdenziale/assistenziale), nell’ambito del giudizio relativo all’affidamento del contratto pubblico, la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1339; 26 aprile 2021, n. 3366; 14 giugno 2019, n. 4023).

4. Alla luce degli enunciati principi di diritto, è ora possibile passare ad affrontare, partitamente, le questioni oggetto del contendere.

5. Col primo motivo dell’appello principale, la Markas lamenta, in sostanza, che la Dussmann doveva essere esclusa dalla gara perché priva, al momento della presentazione dell’offerta, della regolarità fiscale, in conseguenza di un debito, grave e definitivamente accertato, col Segretariato Generale della Giustizia amministrativa, derivante dal mancato pagamento di una sanzione pari a 18.000 euro, irrogata in conseguenza del ritardato pagamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo del ricorso in appello r.g. 202005062.

Da qui l’errore del Tribunale nell’aver ritenuto insussistente la prospettata carenza del requisito in parola e la violazione del conseguente onere dichiarativo gravante sull’aggiudicataria.

La doglianza va esaminata congiuntamente al primo motivo dell’appello incidentale.

Con esso si deduce che il giudice di prime cure, invece, che respingere il motivo concernente l’asserita mancanza della regolarità fiscale, avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile, in quanto né alla data della presentazione dell’offerta, né a quella dell’aggiudicazione, sarebbero emerse, a carico della Dussmann, violazioni fiscali gravi, definitivamente accertate, idonee a integrare la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, come risulterebbe dalle certificazioni rilasciate dall’Agenzia delle Entrate e dell’ANAC (AVCPASS), facenti fede fini a querela di falso.

Del resto, al momento della presentazione dell’offerta, non sarebbe emersa, dall’esame del ‘cassetto fiscale’ della Dussmann, l’esistenza di alcun debito.

Solo successivamente, nel ‘cassetto’ sarebbero state inserite alcune cartelle di pagamento, una delle quali, tra l’altro, concernente il debito di 18.000 euro di cui sopra, estinto, in corso di gara, prima della notifica della relativa cartella esattoriale.

L’appellante principale, dal canto suo, non avrebbe prodotto a sostegno della propria censura alcuna documentazione, avendo desunto la dedotta carenza della regolarità fiscale, unicamente da una dichiarazione resa dalla Dussmann, per mero scrupolo, in altra gara.

In ogni caso, il debito di che trattasi non avrebbe natura tributaria, costituendo una mera “spesa del processo”, versata direttamente all’ufficio giudiziario.

6. I due contrapposti motivi, più sopra sinteticamente riassunti, ruotando, sostanzialmente, attorno a una medesima questione, si prestano a una trattazione congiunta.

Il motivo dell’appello principale è fondato, mentre non lo è quello dell’impugnazione incidentale.

Occorre preliminarmente rilevare che, come già evidenziato dalla Sezione remittente, il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali, “quali la doverosità della prestazione e il collegamento della stessa ad una pubblica spesa, cioè quella per il servizio giudiziario, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante” (cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2005, n. 73; Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2785; Cass. Civ., Sez. Un., 5 maggio 2011, n. 9840).

Identica natura fiscale va riconosciuta alle sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario (si veda l’art. 2, comma 1, del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, infatti, attribuisce la giurisdizione sulle sanzioni in parola al Giudice Tributario).

Il mancato pagamento delle sanzioni irrogate a seguito del mancato versamento del contributo unificato nei tempi previsti integra la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50 del 2016, laddove la violazione sia grave e definitivamente accertata.

Ciò posto, nel caso di specie la Dussmann risultava priva del requisito della regolarità fiscale.

Come correttamente dedotto dall’appellante principale, al momento della presentazione dell’offerta, l’aggiudicataria risultava, infatti, in debito, col Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, della somma di 18.000 euro, quale sanzione per il mancato tempestivo versamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo del ricorso in appello r.g. 202005062.

La violazione della detta obbligazione tributaria era grave e definitivamente accertata: ‘grave’, in quanto superiore alla soglia di 5.000 euro, fissata dall’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, espressamente richiamato dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, nonché ‘definitivamente accertata’, poiché, l’invito di pagamento, valevole quale atto di accertamento della debenza, sia in relazione al contributo unificato dovuto, sia, ai sensi dell’art. 17, comma 1, della L. 18 dicembre 1997, n. 472, con riguardo alle sanzioni pecuniarie da corrispondere per il caso di mancato o ritardato versamento dello stesso, era stato, correttamente, notificato alla Dussmann all’indirizzo del difensore presso il quale aveva eletto domicilio (si vedano le dichiarazioni in tal senso rese dalla detta società), così come, espressamente, previsto dall’art. 248, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002.

Tale disposizione, peraltro, è stata ritenuta conforme alla Costituzione dalla Corte Costituzionale, che, con la sentenza 29 marzo 2019, n. 67, ha affermato che “la notifica al domicilio eletto non viola il «fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l'ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell'atto e l'oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti» (sentenza n. 346 del 1998).

[…].

D’altronde l'onere di diligenza e cooperazione che si richiede in capo al destinatario si concretizza nell'onere di acquisire informazioni dal domiciliatario in ordine al processo e alle incombenze ad esso connesse (compreso dunque l'obbligo di pagare il contributo)”.

L’invito di pagamento non è stato impugnato, con conseguente cristallizzazione della obbligazione concernente tanto il contributo unificato, quanto la sanzione pecuniaria (Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; idem 14 aprile 2020, n. 2397; Cass. Civ., Sez. Trib., 7 luglio 2022, n. 21538).

La circostanza, addotta dall’appellante incidentale, che il proprio difensore non le avesse comunicato l’avvenuta notifica dell’invito di pagamento, è, poi, ininfluente ai fini di causa, risultando incontroversa la sussistenza del debito.

D’altra parte, l’art. 14, comma 1, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, stabilisce che la parte “che deposita il ricorso introduttivo … è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato”, per cui la Dussmann rispondeva a suo tempo del debito, pur se – per quanto è stato dedotto - si era impegnata al pagamento l’altra società congiuntamente alla quale aveva proposto l’appello r.g. 202005062 (la Futura Servizi).

A parte ogni considerazione sulla prova di tale circostanza va rilevato che l’obbligazione tributaria in questione gravava a suo tempo su entrambe le parti appellanti, ai sensi dell’art. 14 sopra citato.

Diversamente da quanto sostiene la Dussmann, nessuna rilevanza ha, poi, ai fini di causa, la disposizione contenuta nell’art. 13, comma 6-bis.1, del D.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui: “L'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza”.

La disposizione, infatti, si limita a individuare la parte su cui debba gravare l’onere economico del contributo unificato, una volta passata in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, ma non incide sull’identificazione del soggetto passivo del tributo.

Nel descritto contesto, non rileva il fatto che al momento della presentazione dell’offerta nel cassetto fiscale della Dussmann non risultassero pendenze tributarie o che la regolarità fiscale fosse stata accertata dall’Agenzia delle Entrate e dall’ANAC tramite l’AVCPASS.

Infatti, il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti a esso relativi non vengono iscritti nel ‘cassetto fiscale’.

Solo a seguito dell’emissione del ruolo e della sua consegna all’Agenzia delle Entrate – Riscossione per la procedura esattoriale, l’esistenza del debito è comparsa, attraverso l’indicazione della relativa cartella, nel ‘cassetto fiscale’, ma senza alcuna influenza sulla regolarità fiscale della Dussmann, ormai già insussistente.

Analoghe considerazioni vanno svolte quanto al certificato rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, il quale attesta la situazione fiscale del contribuente unicamente con riguardo alle imposte gestite dal detto ufficio, mentre non rileva per i tributi gestiti da altre amministrazioni, come per l’appunto il contributo unificato.

Altrettanto irrilevante, ai fini di causa, deve ritenersi il documento acquisito tramite il sistema AVCPASS.

Tale documento non reca alcuna indicazione in ordine a eventuali debiti derivanti dal mancato o ritardato pagamento del contributo unificato e delle relative sanzioni, come si ricava dalla delibera 20 dicembre 2012, n. 111, e succ. mod. e integr., con cui l’ANAC, in attuazione di quanto previsto dall’art. 6-bis del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ha istituito tale sistema.

Difatti, l’art. 5 della delibera n. 111 del 2012, che elenca gli enti certificanti tenuti a mettere a disposizione la documentazione e i dati in proprio possesso, relativi ai requisiti di carattere generale per la partecipazione alle gare, non individua, tra di essi, il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, per cui, l’esistenza dei eventuali debiti fiscali nei confronti di quest’ultimo non emerge dal documento rilasciato dall’ANAC.

In ogni caso, come più sopra rilevato, nell’ambito del giudizio contro il provvedimento di aggiudicazione di una gara, il giudice ha sempre il potere di accertare la idoneità e la completezza delle certificazioni rilasciate dalle competenti amministrazioni in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione.

Deve, infine, escludersi che l’appellante principale non abbia provato la sussistenza dell’invocata causa di esclusione dalla gara.