ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Ultimissime



L'Adunanza Plenaria si esprime su alcune questioni concernenti il riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite all’estero ai fini dell’accesso ad attività regolamentate dalla direttiva 2005/36/CE.

   Consulta il PDF   PDF-1   

Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. del 28 dicembre 2022, n. 18.

La VII sezione di questo Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria alcune questioni di diritto concernenti il riconoscimento in Italia delle qualifiche professionali conseguite all’estero, ai fini dell’accesso nel territorio italiano ad attività professionali oggetto di regolamentazione normativa o amministrativa, definite pertanto «professioni regolamentate» dalla direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 (relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali).

Nel merito, prima di esaminare le questioni di diritto sottoposte all’esame dell’Adunanza Plenaria, va premesso che in ciascuna delle sei controversie in decisione sono pacifici i seguenti fatti: -- le appellanti, cittadine italiane, hanno conseguito in Italia un diploma di laurea che consente loro di accedere alla professione di insegnante di istituzioni scolastiche statali all’esito dei percorsi abilitanti previsti dalla legge, secondo quanto dalla stessa dichiarato e non ex adverso contestato; -- nondimeno, in mancanza di questi ultimi, esse hanno frequentato in Bulgaria un corso di formazione professionale post-universitario in scienze pedagogiche presso un istituto accreditato in base alla legislazione di quel Paese; -- secondo quanto attestato dalla competente autorità bulgara, la formazione ivi ricevuta da ciascuna appellante non consente in Bulgaria l’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, per la quale è invece necessaria la frequenza di un corso di studi di livello universitario; -- in mancanza dei necessari attestati di competenza o del titolo di formazione, comprovanti ai sensi dell’art. 13, par. 1, della direttiva 2005/36/CE il possesso della qualifica professionale necessaria per l’accesso nel Paese d’origine alla ‘professione regolamentata’, le appellanti non hanno ivi svolto nemmeno l’anno di esercizio della professione che ai sensi del paragrafo 2 della medesima disposizione consentirebbe loro ugualmente il riconoscimento della formazione professionale ai fini dell’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante.

Deve premettersi che l’orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia dell’Unione europea richiamato dalle appellanti si è formato in relazione al ‘riconoscimento automatico’, che in base alla direttiva 2005/36/CE (artt. 10 e 21) è previsto per alcune professioni tassativamente previste, per le quali si ritenuto che i sistemi di formazione nazionale avessero raggiunto un rilevante grado di armonizzazione tale da non richiedere per la relativa circolazione a livello sovranazionale una fase amministrativa di riconoscimento, come invece per il sistema generale di cui si controverte nel presente giudizio. La Corte di giustizia ha statuito, che anche in mancanza del titolo di formazione ottenuto presso lo Stato d’origine, l’autorità del Paese ospitante è tenuta ad accertare le competenze professionali comunque risultanti dalla documentazione presentata dall’interessato e a compararle con quella previste dalla legislazione interna per l’accesso alla professione. Sulla base del richiamo alla propria giurisprudenza, formatasi sull’applicazione delle libertà di circolazione dei lavoratori e di stabilimento sancite agli artt. 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Corte di giustizia ha affermato il principio secondo cui le autorità competenti del Paese ospitante «sono tenute a prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, nonché l’esperienza pertinente dell’interessato, procedendo a un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalle legislazione nazionale» (Corte di giustizia UE, sentenza 8 luglio 2021, C-166/20; § 34).

La Corte ha inoltre precisato che il principio così enunciato è «insito nelle libertà fondamentali sancite dal Trattato FUE» e che esso, pertanto, «non può perdere una parte della sua forza giuridica in conseguenza dell’adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi», poiché le disposizioni in esso contenute «mirano a facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», e non già di porre le condizioni per «rendere più difficile il riconoscimento di tali diplomi, certificati ed altri titoli nelle situazioni da esse non contemplate» (sentenza 8 luglio 2021, C-166/20, ora richiamata; §§ 35 e 36). 6. Tutto ciò premesso con riguardo al regime di ‘riconoscimento automatico’, deve porsi in rilievo che all’attuazione delle medesime libertà fondamentali è ispirata la direttiva 2005/36/CE nel suo complesso. Nel considerando 1 se ne enuncia il presupposto normativo e gli obiettivi perseguiti, nei seguenti termini: «ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del trattato, l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità»; ed «essa comporta (per i cittadini degli Stati membri), tra l’altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale». Se ne desume che, come il sistema automatico, anche quello generale di riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in ciascun Paese membro, attraverso la verifica amministrativa dei titoli di formazione o delle attestazioni di competenza, è funzionale alla circolazione in ambito sovranazionale dei lavoratori e dei servizi, e nello specifico all’accesso alle ‘professioni regolamentate’, soggette cioè in base alla legislazione nazionale al possesso di una necessaria qualificazione, in condizioni di parità con i cittadini dello Stato ospitante.

I due regimi di riconoscimento sono dunque complementari e teleologicamente ordinati al medesimo obiettivo.

La richiesta nel sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali di una documentazione che comprovi la necessaria qualificazione - consistente nei sopra citati titoli di formazione o delle attestazioni di competenza, o in alternativa di un’esperienza professionale minima, rispettivamente ai sensi dei paragrafi 1 e 2 del più volte menzionato art. 13 della direttiva 2005/36/CE - costituisce lo strumento attraverso il quale l’autorità competente di ciascuno Stato ospitante è posta nelle condizioni di svolgere la necessaria verifica sul possesso dei requisiti minimi per l’accesso alla ‘professione regolamentata’. L’attività istruttoria sulla base della documentazione a sua volta emessa dallo Stato di origine, secondo quanto previsto dall’art. 13, si ispira quindi ad una logica di semplificazione, funzionale a favorire la circolazione delle qualificazioni professionali in ambito sovranazionale, che trae il proprio fondamento nella ‘fiducia reciproca’ delle attestazioni di competenza di ciascuna autorità chiamata a cooperare per il funzionamento del sistema istituito con la direttiva. In ragione di ciò, la verifica dell’autorità del Paese ospitante ai fini del riconoscimento tende ad assumere i connotati dell’automatismo, coerenti con le esigenze di certezza del quadro regolatorio uniforme a livello nazionale e agli obiettivi di circolazione dei lavoratori e dei servizi perseguiti attraverso la direttiva. Nella medesima ottica di favore non può dunque ritenersi esclusa, ma anzi deve ritenersi necessaria, una verifica in concreto delle competenze professionali comunque acquisite nel Paese d’origine dal richiedente il riconoscimento e della loro idoneità all’accesso alla ‘professione regolamentata’ in quello di destinazione.

In altri termini, il riconoscimento tipizzato dalla direttiva 2005/36/CE, normativamente predeterminato nel senso di una presa atto del titolo professionale, dell’attestazione di competenza, o dell’esperienza professionale acquisita dall’interessato, si colloca comunque in un sistema che, in vista dell’obiettivo di attuazione delle libertà economiche fondamentali dei Trattati europei, si propone di «facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», come enunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con specifico riguardo al regime di riconoscimento automatico, ma con valenza espansiva anche per il regime generale di riconoscimento, demandato ad una fase amministrativa di verifica dei percorsi di formazione e acquisizione delle necessarie competenze professionali seguiti dall’interessato in ciascun Paese dell’Unione. 10. Nella prospettiva finora delineata, la mancanza dei documenti necessari ai sensi del più volte art. 13 della direttiva 2005/36/CE non può pertanto essere automaticamente considerata ostativa al riconoscimento della qualifica professionale acquisita in uno Stato membro dell’Unione europea, dovendosi verificare in concreto il livello di competenza professionale acquisito dall’interessato, valutandolo per accertare se corrisponda o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla ‘professione regolamentata’. 11. Tutto ciò considerato, le appellanti deducono che le attestazioni rilasciate a ciascuna di esse dalla competente autorità dello Stato d’origine (Bulgaria) si riferiscono ad una formazione professionale, quale quella nelle discipline pedagogiche esibita ai fini del riconoscimento in Italia, che - nel non consentire nello Stato d’origine l’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante - presuppone che l’interessato non abbia seguito ed abbia portato a termine il necessario corso di studi universitario. Per contro, nel caso di specie è pacifico che ciascuna appellante ha conseguito una laurea che sempre in Italia consente l’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante in istituzioni scolastiche statali. 12. La peculiare posizione ora descritta induce a ritenere fondata le richieste delle medesime appellanti di essere sottoposte ad un esame che in concreto accerti il livello delle competenze professionali complessivamente acquisite da ciascuna, all’esito del suo percorso di studi in Italia e della successiva formazione professionale svolta in Bulgaria. In conformità con quanto statuito dalla Corte di giustizia sentenza 8 luglio 2021, C166/20 (resa in una vicenda analoga a quella oggetto della presente controversia, in cui il ricorrente aveva maturato la qualificazione professionale necessaria in parte in Patria ed in parte all’estero), il Ministero dell’istruzione è in altri termini tenuto: -- ad esaminare «l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli», posseduti da ciascuna interessata; non dunque a «prescindere» dalle attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello Stato d’origine, come invece hanno ipotizzato le ordinanze di rimessione; -- a procedere quindi ad «un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale», onde accertare se le stesse interessate abbiano o meno i requisiti per accedere alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure compensative di cui al sopra richiamato art. 14 della direttiva. 13. In applicazione dei principi di diritto ora enunciati, gli appelli vanno accolti senza necessità di restituzione della causa alla sezione rimettente, per la carenza di istruttoria di cui sono affetti i dinieghi di riconoscimento impugnati.