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Anno XVI - n. 10 - Ottobre 2024

  Giurisprudenza Amministrativa delle Corti Supreme
  A cura di Anna Laura Rum



L’Adunanza Plenaria considera sufficiente una dichiarazione di interesse ai fini risarcitori per procedere all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34 c.3 c.p.a.

Di Anna Laura Rum
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA 13/07/2022, N. 8

 

L’Adunanza Plenaria considera sufficiente una dichiarazione di interesse ai fini risarcitori per procedere all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34 c.3 c.p.a.

 

Di ANNA LAURA RUM

 

Sommario: 1. I fatti di causa 2. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria 3. I principi di diritto

 

  1. I fatti di causa

La rimessione trae origine da tre giudizi in cui alcuni proprietari di terreni hanno impugnato gli atti di pianificazione urbanistica che hanno svuotato la capacità edificatoria dei loro fondi. Nella pendenza dei giudizi di primo grado, davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, è sopravvenuta una disciplina urbanistica che ha fatto venire meno l’interesse all’annullamento degli atti originariamente impugnati.

I ricorrenti, quindi, hanno depositato una memoria con cui hanno manifestato il loro persistente «interesse ad ottenere la declaratoria di illegittimità di tutti gli atti impugnati ai fini risarcitori, come da stima già prodotta dei danni patiti a causa della mancata conformazione edificatoria dei terreni».

Le sentenze di primo grado hanno dichiarato i ricorsi improcedibili per sopravvenuta carenza d’interesse e, quanto agli accertamenti di illegittimità a fini risarcitori, hanno statuito che le allegazioni di parte non sarebbero state sufficienti a questo scopo, a causa del fatto che non era stato «dato conto, neppure genericamente, della sussistenza o meno di tutti gli altri elementi costitutivi dell’illecito».

Sugli appelli, riuniti per connessione, contro quest’ultima statuizione, la IV Sezione ha deferito all’Adunanza Plenaria talune questioni interpretative processuali, sull’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., il quale prevede che: «quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori».

In particolare, l’ordinanza di rimessione si interroga sulle modalità con cui l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto deve essere manifestato: se cioè sia sufficiente «un’istanza generica», e «se occorrano particolari modalità e se vi siano termini per la sua proposizione», o, invece, sia necessaria «l’allegazione dei presupposti per la sua successiva proposizione», anche in questo caso con richiesta di precisarne le modalità, oppure, se non si possa prescindere dalla «proposizione della domanda di risarcimento del danno», nel medesimo giudizio di annullamento o in un autonomo giudizio.

Inoltre, l’ordinanza chiede di chiarire se, in relazione alla «domanda di accertamento» dell’illegittimità dell’atto impugnato, il giudice «possa comunque pronunciarsi su una questione assorbente e dunque su ogni profilo costitutivo della fattispecie risarcitoria», la cui eventuale infondatezza, «correlata alla concreta insussistenza dell’interesse espressamente richiesto per la declaratoria di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a.», possa precludere l’accertamento di illegittimità.

L’ordinanza di rimessione, nel dettaglio, dà atto che sulla questione deferita in sede nomofilattica si sono formati due orientamenti giurisprudenziali. Per un primo orientamento, fatto proprio dagli appellanti, sarebbe sufficiente «la sola deduzione dell’interessato di voler proporre in un futuro giudizio la domanda risarcitoria». Ad esso si contrappone un secondo indirizzo per il quale occorre invece che l’interessato alleghi i «presupposti della successiva domanda risarcitoria», cui hanno aderito le sentenze appellate. Viene poi richiamato un «ulteriore sotto-orientamento, che richiede, almeno, che si “comprovi sulla base di elementi concreti il danno ingiustamente subito”».

 

  1. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria

L’Adunanza Plenaria, preliminarmente, rileva che le questioni sull’interpretazione e l’applicazione dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. poste dalla IV Sezione richiedono di stabilire se l’interesse risarcitorio sulla cui base si debba accertare l’illegittimità dell’atto impugnato, malgrado la sopravvenuta inutilità del suo annullamento, vada manifestato dal ricorrente con semplice dichiarazione, come affermato dalla più risalente giurisprudenza, se invece la dichiarazione debba essere corredata dall’esposizione degli elementi costitutivi dell’azione risarcitoria, secondo quanto in seguito precisato dalla stessa giurisprudenza, o se sia necessario che la domanda risarcitoria sia effettivamente proposta, come sostiene l’ordinanza di rimessione.

La Plenaria, in particolare, reputa condivisibile il primo orientamento e che pertanto sia sufficiente la dichiarazione del ricorrente di avere interesse a che sia accertata l’illegittimità dell’atto impugnato in vista della futura azione risarcitoria.

Tale soluzione viene fatta discendere dalle seguenti disposizioni del codice del processo amministrativo:

- art. 30, comma 5, secondo cui nel giudizio di annullamento «la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza»;

- art. 35, comma 1, lett. c), che prevede l’improcedibilità del ricorso «quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione», soggetta non solo all’eccezione di parte ma anche al rilievo ufficioso del giudice;

- art. 104, comma 1, che, nell’enunciare il c.d. divieto dei nova in appello, secondo cui «non possono essere proposte nuove domande», precisa che resta «fermo quanto previsto dall’articolo 34, comma 3».

Per la Plenaria, l’improcedibilità del ricorso si verifica quando viene meno l’interesse ad una decisione nel merito della domanda azionata. In questa situazione il processo non ha assolto alla sua funzione, di affermare in modo incontrovertibile il diritto o l’interesse giuridicamente protetto, la cui lesione ha portato il titolare ad agire in giudizio, con una pronuncia che ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. fissa la regola applicabile al rapporto controverso e che le parti sono tenute ad osservare.

Si osserva, in particolare, che del carattere di giudicato sostanziale delle pronunce giurisdizionali sancito dalla disposizione da ultimo richiamata sono, invece, prive le sentenze c.d. in rito, contraddistinte dal fatto di non pronunciarsi sulla situazione giuridica azionata in giudizio. Tra queste ultime, vi è, appunto, quella di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse prevista dall’art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm.

L’art. 30, comma 5, cod. proc. amm., poi, viene considerato parte della complessiva disciplina di carattere processuale relativa ai rapporti tra azione di annullamento e azione di risarcimento per lesione di interessi legittimi, proponibile in sede giurisdizionale amministrativa.

Secondo il Collegio, in coerenza con il principio ex art. 1 cod. proc. amm. fondamentale di pienezza ed effettività della tutela, la disciplina in questione è improntata nel suo complesso all’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento, in vista del superamento del precedente assetto di origine giurisprudenziale incentrato invece sulla c.d. pregiudiziale amministrativa.

Nel codice, l’autonomia tra le due azioni si è tra l’altro manifestata con la possibilità prevista dal 30, comma 5, cod. proc. amm. di posporre il risarcimento all’annullamento e dunque di domandare in successione i due rimedi. Nondimeno, in deroga ai termini di prescrizione valevoli in generale per i rapporti tra privati, a tutela dell’interesse pubblico alla «certezza del rapporto giuridico amministrativo, anche nella sua declinazione risarcitoria», questa possibilità è stata assoggettata al termine di decadenza previsto dalla disposizione in esame. Questa conclusione è in linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 94/2017.

La Plenaria ricorda che, in epoca antecedente al codice del processo amministrativo, e dunque prima che fossero disciplinati i rapporti tra l’azione di annullamento e quella risarcitoria a tutela di interessi legittimi, si era affermata, presso la giurisprudenza, la tendenza a restringere le ipotesi di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sulla domanda di annullamento, quando non dichiarata dal ricorrente. Si era giunti, in questa prospettiva, a considerare procedibile il ricorso anche in assenza di utilità materiali ricavabili dalla sentenza, quando fosse comunque ravvisabile un interesse morale dello stesso a vedersi riconoscere le proprie ragioni.

Si osserva, ancora, che nell’ambito della tendenza tuttora presente presso la giurisprudenza, propria di una giurisdizione di tipo soggettivo quale quella amministrativa, si afferma che al di fuori dei casi in cui la sopravvenuta carenza di interesse è dichiarata dallo stesso ricorrente, l’inutilità per lo stesso di una decisione di merito è ipotesi che va accertata con particolare rigore ed è ravvisabile solo in presenza di un radicale mutamento della situazione di fatto o di diritto esistente al momento della proposizione del ricorso.

La Plenaria ricorda essersi espresso il Consiglio di Stato, da ultimo, con le sentenze, ex multis, nn.711/2022, 3904/2022, 2752/2021, 7082/2020.

Per il Collegio, l’istituto previsto dall’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. si colloca nella descritta tendenza.

Si nota, in particolare, che in un sistema evoluto di tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, in cui, alla tradizionale azione di annullamento, si è affiancata con pari dignità rispetto ad essa l’azione risarcitoria, l’accertamento di illegittimità ai fini risarcitori previsto dalla disposizione processuale in esame risponde alla medesima esigenza sulla cui base era stato ristretto l’ambito di applicazione dell’improcedibilità del ricorso: essa consiste nel conservare un’utilità alla decisione di merito sulla domanda di annullamento, pur a fronte di un mutamento della situazione di fatto e di diritto rispetto all’epoca in cui la stessa è stata azionata.

Il Collegio, tuttavia, specifica che l’interesse risarcitorio deve essere manifestato in giudizio dalla parte interessata, e cioè dal ricorrente. Rispetto all’onere di parte, non può invece supplire il rilievo ufficioso del giudice sulla persistenza delle condizioni dell’azione di annullamento fino alla decisione.

Ed. infatti, l’esigenza che l’interesse sia dichiarato dalla parte si correla al fatto che è allo stesso ricorrente che è per legge rimessa l’iniziativa a tutela del suo interesse risarcitorio.

In particolare, la manifestazione dell’interesse risarcitorio, una volta venuto meno quello all’annullamento dell’atto impugnato, è il presupposto indispensabile affinché il giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dello stesso atto con pronuncia di mero accertamento.

In questi termini, quindi, va inteso l’inciso finale dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. «se sussiste l’interesse ai fini risarcitori», posto a condizione della pronuncia di accertamento.

Secondo l’Adunanza Plenaria, diversamente da quanto supposto dall’ordinanza di rimessione e dal più recente orientamento di giurisprudenza in essa richiamato, la dichiarazione è condizione necessaria ma nello stesso tempo sufficiente perché sorga l’obbligo per il giudice di accertare l’eventuale illegittimità dell’atto impugnato e non occorre, a questo scopo, né che siano esposti i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria, né tanto meno che questa sia in concreto proposta.

In sostanza, l’accertamento di cui all’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. deve essere coordinato con la disciplina processuale dell’azione di risarcimento contenuta nel codice del processo amministrativo ed in particolare con il sopra richiamato art. 30, comma 5, cod. proc. amm., che consente di proporre la domanda risarcitoria «nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza».

Dunque, a dire della Plenaria, l’interesse risarcitorio ai fini di una pronuncia di accertamento di illegittimità dell’atto impugnato si correla al termine ultimo previsto dalla disposizione ora menzionata, in forza della quale è possibile promuovere giudizi in successione per ottenere quella «tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo» enunciata dall’art. 1 cod. proc. amm. quale principio fondamentale della giurisdizione amministrativa. Quindi, nella cornice così definita, contraddistinta da un’ampia possibilità di scelta per il privato di modulare la propria strategia processuale a tutela dei suoi diritti ed interessi, la manifestazione dell’interesse risarcitorio ai fini dell’eventuale azione di risarcimento dei danni dell’atto originariamente impugnato, ma per il cui annullamento è venuto meno l’interesse nel corso del giudizio, consente al medesimo privato di ricavare dal giudizio di impugnazione un’utilità residua, impeditiva della pronuncia in rito ex art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., nella futura prospettiva di una tutela per equivalente monetario che il codice consente di fare valere in separato giudizio.

Ancora, secondo il Collegio, è possibile individuare, allo stesso tempo, nell’accertamento ex art. 34, comma 3, cod. proc. amm., una funzione deflattiva, rispondente alle esigenze del ricorrente, di conoscere anticipatamente se è fondato il presupposto principale dell’eventuale domanda di risarcimento dei danni, ma anche alle esigenze prospettate nell’ordinanza di rimessione, riferite all’amministrazione autrice dell’atto impugnato, di conoscere anticipatamente se questo sia o meno illegittimo e se vi sono pertanto rischi di esborsi economici, e dunque di assumere le opportune iniziativa attraverso il proprio potere di autotutela: l’effetto di deflazione si ricaverebbe dal fatto che, se l’accertamento richiesto dal ricorrente dovesse essere negativo, e dunque l’atto impugnato risultasse legittimo, l’azione risarcitoria sarebbe preclusa.

Quindi, per l’Adunanza Plenaria, per ottenere l’accertamento preventivo si palesa sufficiente una semplice dichiarazione, da rendersi nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm., a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti, con la quale, a modifica della domanda di annullamento originariamente proposta, il ricorrente manifesta il proprio interesse affinché sia comunque accertata l’illegittimità dell’atto impugnato. Dal punto di vista processuale, dice il Collegio, il fenomeno è inquadrabile nella c.d. emendatio della domanda, in senso riduttivo quanto al petitum immediato, non integrante pertanto un mutamento non consentito nell’ambito del principio della domanda, come evincibile dalla clausola di salvezza rispetto al c.d. divieto dei nova in appello previsto dall’art. 104, comma 1, cod. proc. amm.

A sua volta, la dichiarazione di interesse risarcitorio, in funzione dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato, mira a provocare una pronuncia che, seppur non modificativa della realtà giuridica, come invece quella demolitoria di annullamento, verte comunque su un antecedente logico-giuridico dell’azione risarcitoria, per la quale è conseguentemente predicabile l’attitudine a divenire cosa giudicata in senso sostanziale ai sensi dell’art. 2909 del codice civile.

Allora, sulla base di quanto esposto, la Plenaria trae l’ulteriore corollario per cui l’accertamento richiesto è esattamente quello che il giudice avrebbe dovuto svolgere nell’esaminare nel merito la domanda di annullamento, donde la necessità di svolgere un’istruttoria laddove necessario, con la sola differenza che in caso positivo tale accertamento non va a costituire il presupposto per la pronuncia costitutiva di annullamento dell’atto impugnato, ma esaurisce il contenuto della pronuncia (di accertamento mero) con cui il giudizio è definito.

In forza delle considerazioni svolte, si dice divenire superfluo, oltre che privo di base normativa, onerare il ricorrente di promuovere nello stesso giudizio la domanda risarcitoria, quando il termine ultimo si colloca oltre la definizione del giudizio di annullamento.

Si aggiunge che l’accertamento di legittimità dell’atto impugnato in funzione dell’interesse risarcitorio si pone in termini di contraddizione logica con la domanda di risarcimento del danno: esso presuppone non già una domanda risarcitoria in atto, ma la sola proponibilità della stessa, che, come più volte precisato, è consentita entro il termine di decadenza previsto dall’art. 30, comma 5, cod. proc. amm. della sentenza che definisce il giudizio di annullamento. Se la domanda è stata invece proposta, l’accertamento mero si palesa inutile ed è assorbito da quello che deve svolgersi in sede di esame della domanda risarcitoria.

Il Collegio, in definitiva, sulla base delle considerazioni svolte, afferma doversi condividere l’orientamento giurisprudenziale, anche di recente riaffermato, dalla V Sezione, con sentenza n. 727/2020, del quale richiama taluni passaggi motivazionali.

 

  1. I principi di diritto

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, dunque, con la sentenza n. 8/2022, afferma i seguenti principi di diritto:

- «per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non è pertanto necessario specificare i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm.»;

- «una volta manifestato l’interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l’atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell’azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda».