ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa delle Corti Supreme
  A cura di Anna Laura Rum



L’Adunanza Plenaria si esprime sull’accesso al fascicolo digitale da parte del terzo non costituito: l’accesso deve essere autorizzato dal giudice, previa delibazione di astratta pertinenza (tra la causa pendente e la sfera giuridica del terzo istante) e di non manifesta pretestuosità o intento emulativo dell’istante.

Di Anna Laura Rum
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA,

ORDINANZA 12 APRILE 2024, N. 5 

 

L’Adunanza Plenaria si esprime sull’accesso al fascicolo digitale da parte del terzo non costituito: l’accesso deve essere autorizzato dal giudice, previa delibazione di astratta pertinenza (tra la causa pendente e la sfera giuridica del terzo istante) e di non manifesta pretestuosità o intento emulativo dell’istante. 

Di Anna Laura Rum

 

Sommario: 1. I fatti di causa 2. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

 

  1. I fatti di causa

In data 25 gennaio 2024, la società Axx Pxx s.p.a. ha presentato un’«istanza di visualizzazione» del fascicolo telematico della causa in discussione.

La Società istante premette di avere impugnato di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano, la delibera dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (di seguito: «Arera») del 28 dicembre 2015, n. 664/2015/R/idr, recante l’approvazione del metodo tariffario idrico per il secondo periodo regolatorio (di seguito: «MTI-2»), censurando tra l’altro anche l’art. 29 dell’Allegato A, relativo al mancato riconoscimento degli oneri finanziari sui conguagli.

In data 22 gennaio 2024, il T.a.r. ha disposto il rinvio della trattazione in attesa del pronunciamento dell’Adunanza Plenaria sui quesiti di diritto sollevati dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato (nel corso del giudizio n.r.g. 4939 del 2023), riferiti anch’essi al mancato riconoscimento degli oneri finanziari sui conguagli.

Su queste basi, la Società istante ‒ ritenendo di suo interesse il tema affrontato nell’ordinanza di rimessione e, «verosimilmente», anche le questioni esaminate nella verificazione disposta dalla Seconda Sezione nella medesima controversia ‒ chiede di avere piena conoscenza degli atti del fascicolo informatico, «anche al fine eventuale di promuovere un intervento nel giudizio in oggetto».

Con il decreto n. 1 del 2024, il Presidente del Consiglio di Stato ha assegnato alle parti un termine per formulare le loro valutazioni sulla predetta richiesta di accesso al fascicolo telematico.

Con memoria del 15 febbraio 2024, Arera e Csea hanno dedotto che, a loro parere, non sussistono i presupposti per l’accoglimento dell’istanza, in quanto:

- il giudizio pendente dinanzi al T.a.r. Lombardia, cui fa riferimento la Società, ha ad oggetto il metodo tariffario MTI-2 (relativo agli anni 2016-2019), mentre il presente giudizio riguarda la diversa deliberazione 580/2019/R/idr, con cui è stato approvato il successivo metodo tariffario MTI-3 (relativo agli anni 2020-2023);

- la Società avrebbe sì impugnato anche il metodo MTI-3, con ricorso straordinario poi trasposto in sede giurisdizionale dinanzi al T.a.r. Lombardia (n.r.g. 867 del 2020), ma senza censurare il mancato riconoscimento degli oneri finanziari sui conguagli (su cui soltanto verte l’ordinanza di rimessione dalla Seconda Sezione);

- non vi sarebbe dunque alcuna possibilità per la Società istante di intervenire nel presente giudizio ad adiuvandum, ricoprendo la stessa la posizione di cointeressata all’annullamento dell’atto regolatorio;

- andrebbe altresì considerato che la verificazione cui fa riferimento la Società istante sarebbe stata in realtà disposta in un altro giudizio pendente dinanzi alla Seconda Sezione del Consiglio di Stato (n.r.g. 527 del 2023), le cui risultanze sono state esibite da Arera nel presente giudizio quale prova atipica.

Il Collegio ha, quindi, sentito tutte le parti, limitatamente alla questione della accoglibilità o meno dell’istanza di accesso al fascicolo informatico del giudizio.

 

  1. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

L’Adunanza Plenaria, preliminarmente, ricorda che l’accesso al fascicolo informatico ‒ come attualmente disciplinato dall’art. 17 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato in data 28 luglio 2021, recante le «regole tecniche-operative del processo amministrativo telematico» ‒ è consentito:

  1. i) senza formalità (de plano): «al presidente o al magistrato delegato per i provvedimenti monocratici, a ciascun componente il collegio giudicante» (comma 1); «ai difensori muniti di procura, agli avvocati domiciliatari, alle parti personalmente» (comma 3, primo periodo); agli Avvocati e ai Procuratori dello Stato rispetto ai «fascicoli dei procedimenti nei quali è parte un soggetto che si avvale o può avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato» (comma 6);
  2. ii) subordinatamente all’autorizzazione del «giudice», per quanto riguarda invece: gli ausiliari del giudice stesso (comma 2); nonché «coloro che intendano intervenire volontariamente nel giudizio» (comma 3, ultimo periodo).

L’ipotesi normativa da ultimo citata ‒ segnatamente l’accesso di terzi al fascicolo informatico del processo inter alios ‒ pone alcune rilevanti questioni interpretative.

La Plenaria, quindi, rileva che il primo profilo di indagine attiene alla conformità a legge della disposizione in commento. In particolare, si ricorda che la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 23 ottobre 2019, n. 7202, ha ritenuto, infatti, che l’analoga previsione contenuta nel previgente art. 17, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 2016, n. 40 (recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico), si ponesse in contrasto con le norme processuali primarie in materie coperte da riserva di legge (quali, in particolare, il processo e la protezione dei dai personali), oltre che essere «priva di copertura nella delega di cui all’art. 13 delle disposizioni di attuazione del codice del processo amministrativo.

Su queste basi, l’ordinanza della Sesta Sezione ha disposto la disapplicazione della disposizione regolamentare, precisando che il «terzo estraneo al processo può avere accesso agli atti processuali attraverso strumenti alternativi, quali: i) l’intervento nel processo (con la precisazione che, ove si tratti di ‘intervento al buio’ non contenente domande nuove, lo stesso non comporta il pagamento del contributo unificato); ii) l’ordine di esibizione del giudice conseguito a seguito di ricorso giurisdizionale in cui si deduca (e si dimostri) in giudizio uno specifico interesse ad acquisire o conoscere determinati atti o documenti di un giudizio pendente inter alios; iii) il previo consenso all’accesso di tutte le parti del processo ai cui atti il terzo intende accedere» (analoghe considerazioni sono state svolte nel decreto presidenziale 19 ottobre 2018, n. 150, del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana).

L’Adunanza Plenaria, nell’ordinanza in esame, ritiene che i rilievi appena menzionati siano superabili.

Infatti, secondo il Collegio, la riserva di legge in materia processuale trova il suo fondamento positivo nell’art. 111, primo comma, della Costituzione, secondo cui «[l]a giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» (nella formulazione introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999). Quando la Costituzione prevede casi di riserva di legge, la legge non può trasferire liberamente le competenze normative del Parlamento ad una fonte di rango inferiore.

All’assolutezza del principio di legalità viene apposto un limite interno, perché la legge non può limitarsi semplicemente a consentire l’attività normativa secondaria, ma deve dettare quantomeno i principi informatori della materia.

Quindi, la Plenaria evidenzia che la disciplina processuale dell’attività giurisdizionale è riservata alla legge in termini «assoluti» e non «relativi». La distinzione concerne, come è noto, la maggiore vincolatività della riserva assoluta nei confronti dell’attività normativa secondaria dell’esecutivo.

Tuttavia, anche negli ambiti coperti da riserva «assoluta», non è necessario che il legislatore disciplini «integralmente» la materia in questione.

Come ricordato dalla Plenaria, la giurisprudenza costituzionale ‒ in numerosi precedenti riguardanti la riserva di legge in materia penale (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 36 del 1964; n. 96 del 1964; n. 26 del 1966; n. 61 del 1969; n. 168 del 1971; n. 113 del 1972; n. 21 del 1973; n. 58 del 1975; n. 108 del 1982; n. 282 del 1990; n. 333 del 1991) ‒ ammette che la legge demandi alla fonte secondaria le scelte connotate da una discrezionalità soltanto «tecnica». Tale principio rileva anche nella materia, riservata alla legge, del diritto processuale.

Dunque, la Plenaria afferma che, escluso che, negli ambiti coperti da riserva di legge, la disciplina della materia debba essere dettata esclusivamente da fonti primarie e che qualunque atto normativo secondario sia per ciò stesso invalido (come invece ipotizzato nel citato precedente della Sesta Sezione), occorre verificare il rispetto, nel caso concreto, del duplice limite che la riserva di legge pone, rispettivamente, al potere legislativo (sindacabile in sede di controllo di costituzionalità) e alla potestà normativa dell’esecutivo (e degli altri organi non governativi, pure investiti di poteri regolamentari).

Sotto il primo profilo, la disposizione primaria non viola la riserva di legge sancita dall’articolo 111 Cost. (nel senso che la questione di legittimità costituzionale si presenta manifestamente infondata).

L’art. 13, comma 1, dell’allegato 2 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (recante il codice del processo amministrativo), infatti, rimette al «decreto del Presidente del Consiglio di Stato» soltanto l’adozione di regole tecnico-operative del processo amministrativo telematico, con salvezza integrale dei poteri del Collegio, anche di quelli concernenti la declaratoria di ammissibilità o meno degli interventi nel giudizio.

Non sono stati quindi attribuiti poteri normativi interferenti sulla disciplina del processo dettata dalla fonte primaria.

Venendo al secondo profilo, il Collegio afferma che il contenuto dell’art. 17 del D.P.C.S. trovi il suo fondamento del citato art. 13, comma 1, anche nella parte in cui consente l’accesso al fascicolo telematico a «coloro che intendano intervenire volontariamente nel giudizio», subordinatamente all’autorizzazione del «giudice». La disposizione, in particolare, si limita a procedimentalizzare quell’attività di consultazione dei fascicoli di causa che, prima dell’entrata in vigore delle regole del processo telematico, si svolgeva informalmente all’interno delle Segreterie, ma che, a seguito della digitalizzazione, richiede necessariamente di essere mediata da un atto abilitativo che consenta al terzo di accreditarsi nel sistema informatico. La previsione non altera i presupposti e le condizioni dell’istituto processuale dell’intervento, i quali restano disciplinati dagli articoli 28, 50, 51, 97, 102, secondo comma, 109, secondo comma, del Codice del processo amministrativo.

Sotto altro profilo, rileva la Plenaria, l’art. 17 del d.P.C.S. non ha introdotto ex novo una pretesa ‒ quella del terzo che voglia accedere al fascicolo di una causa pendente inter alios ‒ prima non contemplata o addirittura disconosciuta dalla fonte primaria; si tratta, invece, di una prerogativa insita nella situazione giuridica sostanziale ed espressiva del diritto di difesa.

La Plenaria ricorda che, nel sistema di giustizia amministrativa, la funzione dell’intervento è duplice: da un lato, quella di tutelare preventivamente il terzo contro gli effetti indiretti o riflessi che possa subire dalla sentenza inter alios acta; dall’altro, quella di dare rilevanza processuale alla situazioni giuridiche soggettive, di varie tipologia e contenuto, che si muovono interrelate nel contesto dell’azione amministrativa, consentendo al giudice di cogliere la portata della controversia nella sua globale e sostanziale complessità.

La rilevanza giuridica dell’interesse del terzo ad inserirsi in un processo già pendente ‒ sia esso una parte necessaria pretermessa; un controinteressato sostanziale (titolare cioè di una posizione giuridica autonoma, uguale e contraria a quello del ricorrente, ma non «individuato» nell’atto impugnato); chi si trovi nelle situazioni previste dall’art. 28 comma 2, c.p.a.; oppure colui che subisce gli effetti dell’atto impugnato soltanto in via indiretta in quanto titolare di un interesse dipendente ‒ comporta il riconoscimento della facoltà prodromica di accedere al fascicolo della causa inter alios, al fine di potere previamente verificare i termini specifici della res litigiosa astrattamente suscettibile di interferire con la propria sfera giuridica.

Quindi, secondo il Collegio, consentire in tali casi unicamente la possibilità di intervenire «al buio» ‒ oltre che non rispondere a canoni deflattivi e di ordinato svolgimento del contenzioso ‒ si tradurrebbe in una ingiustificata ed eccessiva restrizione del diritto di difesa di chi aspira a conoscere gli atti di un processo in cui non è stato evocato. Ovviamente, rileva la Plenaria, l’eventuale accoglimento dell’istanza di accesso, ai sensi del citato art. 17, comma 1, non ha di per sé alcuna incidenza sulle determinazioni spettanti al giudice amministrativo, qualora sia poi formalizzato l’intervento.

Ancora, la Plenaria afferma che l’art. 17 del D.P.C.S. non si pone in contrasto con la disciplina in materia di protezione dei dati personali (come pure affermato nel precedente della Sesta Sezione). Infatti, la base giuridica del trattamento di dati personali effettuati per «ragioni di giustizia» (correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie), è fornita: per i dati personali non sensibili, dall’art. 6, paragrafo 1, lettera e), del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo all’esecuzione «di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento»; per i dati personali sensibili, dall’art 9, paragrafo 2, lettera f), dello stesso Regolamento, secondo cui il divieto di trattamento non opera se «è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali».

L’art. 2-duodecies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), sempre in relazione ai trattamenti di dati personali effettuati per ragioni di giustizia, stabilisce che i diritti dell’interessato e gli obblighi del titolare del trattamento (di cui agli articoli da 12 a 22 del Regolamento) «sono disciplinati nei limiti e con le modalità previste dalle disposizioni di legge» che regolano i procedimenti giurisdizionali, e che tali diritti e obblighi possono essere limitati per «la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura e dei procedimenti giudiziari».

Per completezza, la Plenaria precisa che non vi è alcuna sovrapposizione neppure con la disciplina sul diritto di accesso procedimentale, la quale si applica ai soli «documenti amministrativi» e non agli atti del processo (art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241).

Fugati i dubbi sulla legittimità dell’art. 17 del D.P.C.S., il Collegio prosegue a trattare alcune questioni interpretative concernenti la competenza, i presupposti ed il regime giuridico dell’accesso al fascicolo informatico.

Quanto alla competenza, l’accesso di «coloro che intendano intervenire volontariamente nel giudizio» deve essere autorizzato dal «giudice»: deve escludersi che il riferimento al giudice coincida necessariamente con l’organo giudiziario in composizione collegiale, anche perché l’istanza potrebbe essere presentata in un momento antecedente alla trattazione della causa e alla designazione del Collegio. È dunque possibile che decida il Presidente della Sezione in cui è incardinato il fascicolo, in coerenza con il principio per il quale il Presidente è titolare delle principali funzioni ‘ordinatorie’ del processo (cfr. gli articoli del c.p.a.: 41, comma 4; 47, comma 2; 49, comma 1; 52, comma 2; 53, comma 1; 65 commi 1 e 3; 67, comma 3, lettera b; 68, comma 1; 71, commi 3 e 6; 72, comma 1; art. 72-bis, comma 1; 79, comma 2; art. 80 comma 3-bis; 87, comma 1; 93, comma 2; 99, comma 2; 130, comma 2; 131, comma 2; 136, comma 2; nonché gli articoli 5, comma 5, 6 comma 4, 8, comma 2, e 9 delle norme di attuazione).

Tuttavia, ricorda la Plenaria, il Presidente ben può disporre che l’istanza sia esaminata dal Collegio, in coerenza con l’altro principio, che è alla base dell’intero sistema del Codice, per il quale il Collegio valuta tutte le questioni che non siano state previamente definite dal Presidente.

Sul piano del contenuto, il Collegio precisa che l’autorizzazione in questione consiste in una delibazione di astratta pertinenza (tra la causa pendente e la sfera giuridica del terzo istante) e di non manifesta pretestuosità o intento emulativo dell’istante. La decisione sull’ammissibilità dell’intervento, invece, spetta esclusivamente al Collegio in sede di decisione della causa.

Gli atti processuali di parte possono talvolta contenere dati sensibili o comunque afferenti alla vita privata o a segreti commerciali o industriali. In questi casi, il giudice ‒ in ossequio ai principi generali di adeguatezza, pertinenza e proporzionalità del trattamento (di cui all’art. 5 del Regolamento) ‒ potrà, se del caso, disporre misure di «minimizzazione» dei dati superflui, garantendo così, fino a quando il terzo non spieghi effettivamente l’intervento, un equo bilanciamento tra diritto di difesa e tutela della riservatezza. Resta salva la possibilità per il giudice, nei casi dubbi o complessi, di sentire le parti costituite.

La Plenaria, dunque, afferma che l’istanza del terzo di accesso al fascicolo telematico non dà luogo ad un incidente processuale. Ne consegue che il provvedimento che decide su di essa non è suscettibile di rimedi o mezzi di impugnazione (cfr. in tal senso, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza n. 963 del 22 settembre 2022). A fronte del diniego di visualizzazione, il terzo potrà comunque effettuare l’intervento, sia pure questa volta «al buio», la cui valutazione sulla ammissibilità spetterà poi al Collegio giudicante decidere.

In definitiva, alla luce di tutto quanto sopra riferito, l’Adunanza Plenaria rimette la decisione sull’istanza di visualizzazione presentata dalla società Axx Pxx s.p.a. al Presidente della Seconda Sezione del Consiglio di Stato, affinché proceda nei termini indicati nell’ordinanza.