ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 09 - Settembre 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Nota a Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili - Ordinanza n. 9916 del 2018

Sul regolamento di giurisdizione. A cura di Ludovica Costanzo
   Consulta il PDF   PDF-1   

L’ordinanza in commento riguarda la questione di giurisdizione avente ad oggetto il ripristino della regolare funzionalità di un canale di scolo sito nel Comune Alfa, confinante con i fondi di proprietà dei fratelli Beta, i quali dopo aver chiesto e ottenuto parere dalla provincia di Alfa relativamente all’esistenza di canali di scolo in località Omega chiedevano l’annullamento dell’ordinanza. L’amministrazione locale riconosciuto l’errore annullava il provvedimento, ciononostante faceva costruire sul terreno dei fratelli Beta un canale di scolo. 

I suddetti, allora, introducevano dinanzi al Tribunale di Alfa giudizio per ottenere la condanna del Comune al ripristino dei luoghi e al risarcimento del danno. Il Tribunale ordinario di Alfa, a sua volta, declinava la giurisdizione in favore del giudice amministrativo il quale ritenendo sussistente la giurisdizione del giudice ordinario sollevava d’ufficio conflitto negativo di giurisdizione.

In via preliminare occorre specificare che i rapporti tra due giurisdizioni possono essere di varia natura. 

Si parla di concorrenza se entrambe le giurisdizioni possono decidere contemporaneamente del medesimo rapporto giuridico, di subordinazione quando una giurisdizione può, in tutto o in parte, riesaminare le decisioni di un’altra giurisdizione; di alternazione quando una stessa questione giuridica è di competenza di due giurisdizioni in virtù della volontà di almeno uno dei due contendenti; di separazione quando uno stesso rapporto giuridico conosce un solo organo ad esclusione di ogni altro. La separazione, tuttavia non può essere considerata in senso assoluto, poiché la complessità dei rapporti giuridici impone che per evitare contrasti tra giudicati, si stabiliscano nessi di coordinazione tra le giurisdizioni separate. 

Il nostro ordinamento ha accolto il principio della separazione. Tale principio incontra numerose attenuazioni, per effetto dei nessi di coordinazione o talvolta di integrazione tra giurisdizione del G.O. e giurisdizione del G.A., che possono sussistere o in relazione alla decisione delle questioni pregiudiziali o in relazione all’attuazione di due giudicati e, più in generale, agli effetti degli stessi.  

Il sistema della doppia giurisdizione, detto anche del «doppio binario», comporta che, in relazione alle controversie di cui è parte una P.A., il G.O. ha giurisdizione in materi di diritti soggettivi ed il G.A., per la tutela degli interessi legittimi.

La coesistenza di due diversi ordini di giurisdizioni, aventi una propria e differenziata competenza, ha posto notevoli problemi a dottrina e giurisprudenza in ordine all’identificazione dei criteri idonei ad operare il necessario riparto. 

La dottrina ha ritenuto di poter affermare l’esistenza di una doppia tutela per il privato leso da un atto o comportamento dell’Amministrazione e consistente nella possibilità di adire, per lo stesso episodio di vita, l’uno o l’altro ordine di giurisdizione.

Al riguardo furono elaborate diverse teorie:

  • La teoria che distingue tra attività di gestione o attività d’imperio. Nel primo caso, venendo in rilievo rapporti di tipo paritetico, le controversie, eventualmente sorte, non possono investire diritti soggettivi, come tali riservati alla giurisdizione del G.O. Nella seconda ipotesi occorre, invece, distinguere tra attività discrezionale, idonea a degradare il diritto ad interesse, che come tale rientra nella giurisdizione del G.A., ed attività vincolata, dalla quale nascono solamente diritti soggettivi comportanti la giurisdizione del G.O. Entrambi i criteri sono stati criticati da dottrina e giurisprudenza in quanto: riguardo al primo, ai sensi dell’articolo 2 della L.A.C., la giurisdizione del G.O. sussiste per tutti i diritti soggettivi e non solo per quelli inerenti a rapporti di diritto privato; riguardo al secondo, la dottrina più recente ne ammette la validità solo quando le norme regolative del potere siano poste nell’interesse del privato, mentre nel caso in cui rilevi un interesse della P.A., l’amministrato non può non vantare un mero interesse legittimo; 
  • La teoria del petitum, in base alla quale il riparto delle giurisdizioni va attuato secondo la natura del provvedimento richiesto dall’interessato, così che la richiesta di eliminazione dell’atto amministrativo fonda la giurisdizione del G.A., mentre la richiesta di condanna della P.A. al risarcimento del danno comporta la giurisdizione del G.O.; 
  • La teoria della causa petendi, secondo cui il criterio di differenziazione si basa sulla natura della posizione giuridica dedotta in giudizio, diritto soggettivo o interesse legittimo; 
  • La teoria della norma violata, per la quale il riparto è operato sulla base delle norme che si ritengono violate. Secondo tale teoria, criterio di riparto è dato dalla distinzione tra norme di azione, intese quali norme che regolano l’esercizio dei poteri della P.A. imponendone u determinato comportamento nell’interesse pubblico; e norme di relazione, che regolano i rapporti tra cittadini e P.A., attribuendone diritti e obblighi reciproci. Pertanto, la violazione di una norma di azione comporta la lesione di un interesse legittimo del soggetto che abbia titolo per invocarne il rispetto.  Per converso, la mancata uniformazione della P.A. ad una norma di relazione determina la lesione di un diritto soggettivo del cittadino.  
  • La teoria della prospettazione, che opera la differenziazione in base alla prospettazione della posizione giuridica operata dall’attore. Giudice competente sarà, pertanto, il G.O. o il G.A. a seconda che il cittadino ritenga di essere stato leso in un diritto soggettivo o in interesse legittimo. 

La giurisprudenza, dopo varie oscillazioni, ha ritenuto di adottare quale criterio primario quello della causa petendi.   Ciò, tuttavia, non ha risolto il problema dell’individuazione delle ipotesi in cui il privato possa lamentare la lesione di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo.

La Corte di Cassazione, con sentenza 4-7-1949, n. 1657, seguendo l’impostazione della causa petendi ha posto con chiarezza il criterio discretivo fra i due ordini di giurisdizioni, osservando che: «tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’Amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e giurisdizione del G.O. quando si contesta la stessa esistenza del potere». In tal modo si è posto il collegamento seguente: cattivo uso del potere-interesse legittimo, carenza di potere-diritto soggettivo.

Il tradizionale riparto di giurisdizione per posizioni soggettive viene, però, meno, laddove il legislatore disponga un cosiddetto riparto per blocchi di materie, cioè nel caso di attribuzione di giurisdizione esclusiva ad un’autorità giurisdizionale in ordine a determinate materie. In tali ipotesi il giudice può conoscere sia questioni inerenti diritti soggettivi che interessi legittimi: ciò implica ex se l’irrilevanza della situazione giuridica che si presume lesa.

Il notevole vantaggio che tale criterio di riparto produce ha indotto il legislatore, nel tempo, ad aumentare sempre più i casi di giurisdizione esclusiva del G.A. inducendo la Corte Costituzionale ad affermare che tale tipologia di giurisdizione, ai sensi dell’articolo 103 Cost., è ammissibile solo in limitate ipotesi, caratterizzate da un intreccio inscindibile tra posizione del privato e potere amministrativo è data dall’articolo 133 del Codice del processo amministrativo.

Un’interessante pronuncia giurisprudenziale ha posto in evidenza che: “Poiché la distinzione tra interessi legittimi e diritti, necessaria ai fini del riparto nella giurisdizione di legittimità fra giudice amministrativo e giudice ordinario, è del tutto incerta nelle particolari materie di giurisdizione esclusiva, per poter ritenere sussistente la giurisdizione esclusiva dovrà farsi ricorso ad un altro criterio, comune alla giurisdizione esclusiva e a quella di legittimità, che il giudice delle leggi ha individuato nel fatto che la parte resistente è stata evocata in giudizio per atti, comportamenti d omissioni che sono espressione di un potere autoritativo.  Il giudice amministrativo, dunque, è giudice del potere pubblico nel momento dinamico dell’esercizio della funzione, è questo l’unico criterio dirimente per stabilire l’attrazione alla giurisdizione esclusiva degli interessi legittimi e dei diritti coinvolti, tanto che è inutile ammesso che sia possibile, tentare di distinguerli. In tal senso è stato, da ultimo, precisato che nelle materie di giurisdizione esclusiva la giurisdizione del giudice amministrativo, anche con riguardo alle posizioni di diritto soggettivo fatte valere in giudizio, sussiste fintanto che l’amministrazione eserciti un pubblico potere anche mediato finalizzato al perseguimento del pubblico potere. Così T.A.R. Lazio, Roma, sez. III 24-1-2017, n. 179.

È regola costantemente affermata dai giudici amministrativi quella per cui la parte che ha adito una giurisdizione non può metterne in discussione la potestas iudicandi. 

L’articolo 9 del Codice del processo amministrativo disciplina le ipotesi in cui nel corso del giudizio amministrativo sorga un problema relativo alla giurisdizione ed individua le modalità per sollevare la relativa questione.

Mentre nel giudizio di primo grado il difetto di giurisdizione è rilevato anche d’ufficio, ossia direttamente dal giudice, limiti alla sua rilevabilità vengono posti relativamente ai giudizi di impugnazione. In tal caso, infatti il difetto di giurisdizione è rilevato solo se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, abbia statuito sulla giurisdizione. 

Sul punto si segnala che le sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 5-10- 2016, n. 19912, aderendo ad un orientamento consolidato del Consiglio di Stato e rivedendo la propria precedente posizione, hanno affermato l’importante principio di diritto per cui «l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi a un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato a interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice prescelto».  

Come visto il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo accolto nel nostro ordinamento è fondato su un sistema dualistico di giurisdizione, correlato alle diverse posizioni giuridiche soggettive che, di volta in volta, devono essere tutelate.

Detto sistema può implicare non poche problematiche di carattere pratico, che si ripercuotono concretamente sul diritto di difesa del soggetto interessato da un’attività dell’amministrazione, legate all’individuazione del giudice da investire si una determinata controversia. Può accadere che, nell’incertezza del giudice competente, il destinatario di un provvedimento erroneamente instauri un giudizio innanzi al giudice amministrativo (considerato il termine di 60 giorni per impugnare) in luogo del giudice ordinario, che, invece, sarebbe competente a decidere la questione specifica.

In tale ipotesi si è in presenza di un difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito. Ricorrendo agli articoli 50 e 367 c.p.c. e con l’estensione della possibilità di proporre istanza di regolamento di giurisdizione anche nel processo amministrativo (articolo 30 L. T.A.R., oggi abrogato dal D.Lgs. 104/2010), nel nostro ordinamento è stata ritenuta possibile la translatio iudicii, intendendo con tale espressione fare riferimento all’ipotesi in cui un giudice, con sentenza, declini la propria giurisdizione affermando la sussistenza di quella di altro giudice e il giudizio prosegua innanzi a quest’ultimo, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali collegati alla domanda originariamente proposta.

La translatio, però era ammessa unicamente nei casi in cui era riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario.

Nessun margine di discrezionalità era formalmente consentito nell’ipotesi inversa, cioè di declaratoria di difetto d giurisdizione del giudice ordinario a favore di un giudice speciale (amministrativo, tributario).

Su tale questione sono intervenuti in un primo momento i giudici della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, che con due importantissime pronunce hanno aperto la strada ad una generale ammissione nel nostro ordinamento del principio della translatio iudicii dal giudice ordinario a quello speciale e viceversa, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali scaturenti dalla domanda originariamente proposta e, successivamente, il legislatore, prima con l’articolo 59 L. 69/2009 e poi con l’articolo 11 rubricato «Decisione sulle questioni di giurisdizione».

Innanzitutto il comma 1 di suddetta norma codicistica, riprendendo il principio generale anteriormente sancito, stabilisce che il giudice amministrativo quando declina la propria giurisdizione deve indicare, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito.

Il comma 2 stabilisce, inoltre, che laddove la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice o viceversa, la domanda giudiziaria, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, conserva i suoi effetti sostanziali e processuali se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. 

Quando il giudizio, poi, è tempestivamente riproposto dinanzi al giudice amministrativo, questi può sollevare il conflitto di giurisdizione, anche d’ufficio, alla prima udienza. 

 Il comma 4 dell’articolo 11prende in considerazione l’ipotesi in cui una controversia introdotta dinanzi a un altro giudice, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscano quest’ultima al giudice amministrativo. Anche in tal caso, ferme restando le preclusioni e decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio è riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle Sezioni Unite.

Può accadere, inoltre, che l’errata individuazione del giudice adito si accompagni all’errata individuazione della situazione giuridica tutelata e, quindi, sui termini per esercitare l’azione. In tal caso, il comma 5 dell’articolo in esame prevede la possibilità per il giudice, nel giudizio riproposto, di concedere la rimessione in termini per errore scusabile rispetto alle preclusioni e decadenze intervenute.

Per quanto riguarda il caso di specie, ne consegue che in tema di regolamento d’ufficio, non è ostativa al promovimento del conflitto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo adito a seguito di translatio iudicii la circostanza che detto giudice, prima dell’udienza di discussione, abbia celebrato una o più camere di consiglio sulla richiesta di emanazione di misure cautelari, anche ove abbia emesso, all’esito della stessa, un provvedimento provvisorio per assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul merito del ricorso.

Non può, quindi, ritenersi superato il limite de quo, dal momento che fissata la prima  udienza di trattazione nel merito, il TAR, in detta udienza pubblica, nel prendere in decisione la controversia, ha formulato espressa riserva di sottoporre a rinnovata riflessione la questione, rilevabile d’ufficio, della sussistenza in materia della giurisdizione del giudice amministrativo, con la conseguenza che l’emissione dell’ordinanza con la quale il Tar ha elevato conflitto negativo di giurisdizione deve ritenersi tempestiva.

Questione fondamentale è quella di stabilire se spetti al giudice ordinario o al giudice amministrativo la giurisdizione sulla controversia sorta con la domanda di risarcimento dei danni proposta dai fratelli Alfa in conseguenza della lesione del loro diritto di proprietà a causa delle opere realizzate sui fondi dal Comune in assenza di esercizio del potere amministrativo. La tesi del giudice remittente risulta fondata.

Con sentenza n. 604 del 2015 le S.U. avevano affermato che sussiste giurisdizione de giudice ordinario quando il petitum sostanziale della domanda tuteli un diritto soggettivo e non lamenti l’emissione di atti o provvedimenti ricollegabili all’esercizio di poteri discrezionali spettanti all’amministrazione pubblica. 

Nella medesima direzione è stato sottolineato che alla cognizione del giudice amministrativo sono attribuite le domande di risarcimento del danno che si ponga in rapporto di causalità diretta con l’illegittimo esercizio del potere pubblico mentre resta riservato al giudice ordinario soltanto il risarcimento del danno provocato da comportamenti della P.A. che non trovano rispondenza nel precedente esercizio di quel potere. 

Il Supremo consesso nomofilattico ha anche chiarito che occorre avere riguardo all’oggetto della tutela invocata che configura la giurisdizione del giudice esclusivo quando è invocato il controllo di legittimità dell’esercizio del potere e non quando è fatta valere una situazione possessoria.

In particolare, parte attrice in sede di riassunzione davanti al Tar aveva precisato che la propria azione non mirava all’annullamento del provvedimento amministrativo adottato dal comune di Alfa per le opere di bonifica del canale di scolo, ma solo ad ottenere il diritto a vedere ripristinato lo status quo ante sui lotti di proprietà.  Ne segue che ciò che viene messo a fondamento della domanda dei fratelli Beta non è la mancata adozione di provvedimenti amministrativi discrezionali ma il comportamento materiale dell’amministrazione comunale, consistente nella mancata demolizione delle opere realizzate in esecuzione di un provvedimento contingibile e urgente annullato; con la conseguenza che con la domanda di ripristino dello stato dei luoghi, basata sull’assunto dell’illegittimità delle opere, perché realizzate in base ad un’iniziativa estranea a qualsiasi attività formale ed alla tutela di un interesse pubblico, comporta l’instaurazione di una controversia avente ad oggetto questioni di mera natura privatistica e la salvaguardia di un diritto soggettivo, qual è quello della proprietà, con l’ulteriore e importante conseguenza che, in questa ipotesi,  la giurisdizione appartiene all’autorità giudiziaria ordinaria. 

È possibile notare come il Codice da ultimo interessato a un secondo decreto correttivo (d.lgs. 160/20129 non opera interventi profondi sul riparto ma codifica e razionalizza i dati normativi e gli insegnamenti giurisprudenziali pregressi.


Il d.lgs. 104/2010 ha definito la giurisdizione del giudice amministrativo, in ossequio alle pronunce della Corte Costituzionale, come strettamente connessa all’esercizio o al mancato esercizio del potere amministrativo, sia ove esso promani da provvedimenti o da atti amministrativi, sia nell’ipotesi in cui esso rinvenga la propria scaturigine in comportamenti riconducibili anche mediatamente a detto potere.

Il Codice designa, infatti, il G.A. quale giudice naturale della legittimità dell’esercizio del pubblico potere, investendolo dl potere di conoscere ogni forma di tutela anche risarcitoria, agli interessi legittimi. A tal riguardo l’articolo 7 del c.p.a. prevede che: «Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere».

La norma, con una formulazione che riecheggia da vicino il tenore letterale dell’articolo 103 Cost.si preoccupa di affidare al G.A. la cognizione di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi ivi compresa quella relativa al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma.

Al fine di chiarire la portata applicativa della norma, il comma 2 dell’articolo 7 delinea l’ambito soggettivo di applicazione della stessa chiarendo che “Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo”. 

 Il legislatore codicistico, dunque, ha sposato una concezione sostanziale di P.A., di conio comunitario estendendo la giurisdizione “naturale” del G.A. a tutti quei soggetti, che, indipendentemente dalla loro qualifica formale, sono assoggettati alle norme procedimentali pubblicistiche.

Ha quindi trovato ulteriore esplicitazione, a livello di normazione primaria, il dettato costituzionale dell’articolo 103 Cost., secondo cui il G.A. non è giudice della P.A., ma è deputato a conoscere di tutte le ipotesi di spendita di un potere pubblicistico ed autoritativo. La norma, inoltre, si premura di consacrare anche la giurisdizione esclusiva del G.A. Dunque, l’istituto della transaltio iudicii, è ispirato a un concetto sostanziale di unità della giurisdizione, secondo cui la domanda giudiziaria proposta difronte ad un giudice non munito della giurisdizione conserva i suoi effetti sostanziali e processuali presso il giudice innanzi al quale il processo viene proseguito, dopo la declinatoria di giurisdizione pronunciata da giudice originariamente adito. 

Questa logica di unità sostanziale della giurisdizione fa sì che la trasposizione innanzi al giudice effettivamente munito di giurisdizione implichi una continuazione del processo iniziale, e non già l’inizio di un nuovo giudizio. In particolare, il comma 1 dell’articolo 11 c.p.a. dispone che: “Il giudice amministrativo quando declina la propria giurisdizione indica il giudice nazionale che ne è fornito”.  

La prosecuzione del giudizio è affrontata dal comma 2, a mente del quale “Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato”.  

Interessante una pronuncia della Cassazione civile, S.U., 10 marzo 2014 n. 5493, secondo la quale il giudice adito sulla controversia non può investire direttamente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione della questione di giurisdizione, dovendo, invece, statuire sulla stessa ex articolo 37 c.p.c., poiché l’articolo 59 è deputato ad operare solo ove già adito giudice abbia negato la propria giurisdizione. 

A tal fine, non può essere considerato provvedimento declinatorio di giurisdizione il diniego adottato dal G.O. in sede cautelare, poiché in natura strumentale dell’incidente cautelare rispetto al giudizio di cognizione rende il processo innanzi al G.A. il primo e l’unico giudizio di merito ai fini del rilievo del difetto di giurisdizione.