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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

  Studi



Impugnabilità della ordinanza resa dal T.A.R. ai sensi dell’art. 116, comma 2, Codice del processo amministrativo

A cura di Fausto Gaspari
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L’art. 116, comma 2, del codice del processo amministrativo prevede la possibilità che il ricorso avverso il diniego espresso o tacito di accesso ad atti e documenti amministrativi sia proposto, in un ricorso già pendente, con istanza notificata e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale[1]. In tal caso, l’istanza viene decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale o con la stessa sentenza che definisce il giudizio[2].

Per tale tipo di proposizione dell’istanza, condizione di ammissibilità è l’astratta pertinenza dei documenti richiesti all’oggetto del ricorso principale. Dunque, oltre alle generali condizioni di ammissibilità della domanda di accesso, va ulteriormente valutata la rilevanza della domanda incidentale per il giudizio in cui si inserisce[3].

Si tratta di strumento dall’indubbia utilità, che consente al ricorrente di ottenere tutela evitando l’inutile duplicarsi del contenzioso attraverso la proposizione di un diverso ricorso autonomo, con conseguente risparmio, sia economico che di tempo, oltre che per il privato ricorrente, per il giudice amministrativo, i cui ruoli risulterebbero intasati dal moltiplicarsi delle cause.

Tuttavia, il ricorso per l’accesso agli atti proposto in corso di giudizio ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a., presenta la peculiarità di inserirsi nel contesto di un giudizio già pendente, il che pone l’interprete innanzi alla questione della natura istruttoria o autonoma dell’istanza. Prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, infatti, in giurisprudenza era sorta questione, che non pare sia stata risolta dal nuovo codice, circa la natura di tale giudizio incidentale, e,cioè, se la relativa ordinanza mediante la quale è decisa in camera di consiglio l’impugnativa di cui all’art. 116, comma 2, c.p.a. avesse carattere istruttorio ovvero decisorio.

È pur vero che il Codice del processo amministrativo, che non ha preso una posizione netta sulla natura da riconoscere a tali ordinanze, ha eliminato, rispetto alla disciplina previgente, l’aggettivo “istruttoria”[4], mostrando, probabilmente argomenti a favore della natura decisoria, ma le alterne decisioni del Consiglio di Stato sull’argomento, che di seguito verranno passate in rassegna, confermano che il dibattito è tutt’altro che superato.

Tale dibattito, ancora irrisolto, non ha solamente valenza teorica, ma presenta evidenti risvolti pratici: se, infatti, si aderisce alla tesi della natura istruttoria dell’istanza, si devolve al Giudice amministrativo una indagine penetrante circa la necessità e la rilevanza dell’atto da acquisire ai fini della decisione del ricorso principale al quale la domanda di accesso è connessa, con ogni profilo di dipendenza rispetto al ricorso principale. Se, al contrario, si propende per la natura autonoma dell’istanza ex art. 116, comma 2, c.p.a., la delibazione che il Giudice è chiamato ad effettuare investe esclusivamente la meritevolezza degli interessi da tutelare con l’accesso agli atti, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241 del 1990, con la conseguente possibilità di presentare autonomamente appello avverso tali ordinanze.

Ebbene, secondo una tesi espressa dalla giurisprudenza, l’ordinanza resa dal T.A.R. ai sensi dell’art. 116, comma 2 c.p.a. avrebbe natura autonomamente decisoria, escludendosi la necessità di un collegamento strumentale con l’oggetto e le esigenze probatorie del giudizio pendente.

Tale prospettiva tende a valorizzare i tratti distintivi dell’istanza di accesso, relativa ad un bene della vita autonomo e meritevole di tutela indipendentemente dalle posizioni soggettive eventualmente lese dall’attività amministrativa.

Così, la quinta sezione del Consiglio di Stato, con la recente ordinanza 3028/2018, ha espresso la tesi dell’autonomia dell’istanza rispetto alla sorte del processo principale all’interno del quale venga fatta valere, stabilendo che “il fatto che un’istanza di accesso agli atti possa essere proposta in pendenza di un giudizio, come risulta dall’art. 116, comma 2, c.p.a., non significa che detta istanza perda la sua autonomia di actio ad exhibendum per trasformarsi in richiesta di carattere meramente istruttorio, rivolta al Giudice del c.d. ricorso principale, tanto più che si tratta di istanza da notificare all’Amministrazione e agli eventuali controinteressati, conformemente al regime tipico della instaurazione del rapporto giuridico processuale in seguito a proposizione di ricorso e non di atto di citazione[5].

Da tali premesse, consegue che, anche ove sia accertato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla controversia introdotta con l’azione principale – come nella vicenda concernente l’ordinanza in parola – la domanda di accesso incidentale non può essere di per sé sola dichiarata inammissibile, dovendosi comunque procedere alla disamina di ulteriori eventuali preclusioni giuridiche, desumibili dal disposto degli art. 22 e ss. l. n. 241 del 1990.

Nell’ambito di tale orientamento, poi, possono essere sicuramente ricondotte anche quelle pronunce con cui il Giudice amministrativo, pur senza pronunciarsi espressamente sulla natura di tali ordinanze, ritiene implicitamente ammissibile l’appello, esaminandone direttamente il merito[6].

Diversamente, altra parte della giurisprudenza, proprio sul presupposto della strumentalità e pertinenza della documentazione richiesta con l’istanza incidentale rispetto alla decisione del processo ordinario già pendente, esclude in radice la possibilità di presentare appello avverso le ordinanze pronunciate sulle istanze proposte per l’accesso ai documenti amministrativi in pendenza di ricorso[7].

In particolare, nella vigenza della precedente disciplina, secondo un primo orientamento espresso dal Consiglio di Stato[8], l’ordinanza in argomento presupporrebbe non soltanto la riscontrata sussistenza delle condizioni per l’esercizio del diritto di accesso, ma anche l’acclarata utilità dei documenti ai fini della decisione principale, nonché la stretta correlazione fra diritto di accesso e diritto di difesa, trattandosi di atto strettamente inerente ai poteri istruttori del giudice, non autonomamente appellabile, ferma la possibilità di contestarne la legittimità in sede di impugnazione della sentenza di merito.

Questo orientamento è stato seguito dalla quarta sezione del Consiglio di Stato con ordinanza del 12 luglio 2013, n. 3759, nella quale il Collegio ha affermato che anche nel vigente sistema occorre tener fermo il carattere strumentale dell’istanza di accesso rispetto alle domande ed eccezioni proposte nel giudizio nel quale l’istanza stessa si inserisce e ciò in omaggio al carattere istruttorio dell’ordinanza, risultante dalla previsione legislativa. Il Consesso ha poi proseguito precisando che la norma del codice non utilizza la parola ricorso, ma parla di “istanza”, evidenziandone il carattere di incidentalità e cioè di inserimento in un processo già avviato. Da tali premesse, secondo tale orientamento, conseguirebbe appunto l’inammissibilità dell’appello avverso tali ordinanze.

Allo stesso modo, l’appello nei confronti dell’ordinanza di cui all’art. 116 del codice del processo amministrativo, con la quale in pendenza di ricorso è decisa in camera di consiglio l’impugnativa proposta per l’accesso a documenti amministrativi, è stato escluso anche dal Consiglio di Stato con l’ordinanza della quarta sezione del 26 novembre 2014, n. 5850, stante la natura non decisoria dell’ordinanza in argomento, riconosciuto quale atto strettamente inerente ai poteri istruttori del giudice, che non sarebbe quindi autonomamente appellabile. Anche in tale occasione, il Consiglio di Stato ha precisato che resta chiaramente ferma la possibilità di contestarne il contenuto in sede di impugnazione di merito.

Da ultimo, tale orientamento è stato condiviso dalla recente ordinanza della quinta sezione del 3 aprile 2018, n. 2041, con la quale il Collegio ha sottolineato il carattere non decisorio dell’ordinanza, ravvisabile, nel caso oggetto del giudizio, nella non rilevanza istruttoria dell’istanza dell’appellante. Ad ogni modo, nel caso di specie, il Supremo Consesso, pur partendo da tali premesse, non ha dichiarato inammissibile l’appello, ma attribuendo (per mero tuziorismo) carattere decisorio all’ordinanza, lo ha respinto nel merito.

Oltre alle descritte teorie, che come visto prendono le mosse dall’attribuzione in astratto della natura istruttoria o, viceversa, decisoria alle ordinanze pronunciate dal giudice di prime cure sull’istanza di accesso presentata ai sensi dell’articolo 116, comma 2, parte della giurisprudenza ha optato per una terza soluzione, per così dire “mediana”. Secondo tale soluzione intermedia, l’appello avverso le ordinanze rese ai sensi dell’articolo 116, comma 2 c.p.a. sarebbe ammissibile solamente qualora a tali ordinanze collegiali, nel particolare caso di specie,possa essere riconosciuto valore decisorio.

Questo accade, ad esempio, laddove il giudice escluda l’accessibilità dei documenti sulla sola base della ritenuta carenza dei presupposti previsti dalla legge, oppure quando, al contrario, accolga il ricorso ritenendo sussistenti le condizioni che giustificano l’accesso, senza verificare la pertinenza dell’atto con l’oggetto della controversia[9].

La quinta sezione del consiglio di Stato, così,ha ritenuto senz’atro appellabile tale tipo di ordinanza[10], distinguendo a seconda del contenuto motivazionale, tra ordinanze che si pronunciano sull’istanza, accogliendola o respingendola in relazione ai presupposti inerenti all’accesso in quanto tale, aventi natura decisoria e quindi appellabili, ed ordinanze che respingono l’istanza perché ritengono i documenti richiesti non utili ai fini del giudizio in corso, aventi natura meramente istruttoria e non autonomamente appellabili. Secondo il Consiglio di Stato, quindi, pur avendo il legislatore (nella disciplina precedente) qualificato espressamente come istruttoria l’ordinanza che chiude, davanti al giudice di primo grado, l’ “incidente di accesso”, deve osservarsi che sono comunque impugnabili i provvedimenti del giudice amministrativo di primo grado che, pur non avendo la forma esteriore di sentenza, abbiano un reale contenuto decisorio della controversia: il ché si verifica, come chiarito dalla quarta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 5765 del 2011[11], allorché essi esplicitamente o implicitamente risolvano in tutto o in parte la questione che oppone le parti, ovvero un punto pregiudiziale di essa, dal momento che al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di sentenza o di ordinanza, è decisiva non già la forma adottata ma il suo contenuto, in applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma.

Tirando le fila del discorso, come si è visto, nelle pronunce del Consiglio di Stato sopra descritte, il tema della natura delle ordinanze rese ai sensi dell’articolo 116, comma 2 c.p.a. e della loro conseguente impugnabilità non può dirsi risolto. Si è già accennato agli evidenti risvolti pratici che tale incertezza comporta. Di fronte ad una pronuncia del T.A.R. che nega l’accesso a seguito di istanza proposta ai sensi dell’articolo 116, comma 2 c.p.a., infatti, posta l’incertezza circa la possibilità che l’appello venga dichiarato ammissibile o meno, sarà necessario interrogarsi a priori sulla natura da riconoscere a tale specie di ordinanze e propendere,quantomeno in linea di principio, per la proposizione dell’appello laddove si ritenga l’ordinanza senz’altro decisoria, perché magari il giudice di prime cure, come prima accennato, esclude l’accesso ai documenti richiesti sulla base del disposto normativo; o, al contrario, laddove il giudice emetta un’ordinanza negativa, motivandola sulla base della necessità dell’ostensione ai fini delle posizioni fatte valere con il ricorso principale, desistere dalla presentazione dell’impugnazione, riservandosi eventualmente di muovere le censure nei confronti dell’ordinanza istruttoria in sede di appello presentato contro la sentenza che definisce il giudizio.

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[1] Precisamente, l’articolo 116, comma 2 c.p.a. prevede che “In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L’istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio”

[2] In realtà, il Consiglio di Stato, anche da ultimo con sentenza del 4 aprile 2018, n. 2100, ha chiarito che “se è vero, infatti, che per la definizione dell’istanza ex art. 116, comma 2, c.p.a. è prevista l’adozione di una mera ordinanza, è altrettanto vero che, di per sé, l’erronea veste di sentenza non danneggia il ricorrente”. Allo stesso modo, Cons. Stato, sez. V, sent. 15 luglio 2016, n. 3148, in www.giustiziaamministrativa.it.

[3] R. GAROFOLI, G. FERRARI, Codice del Processo Amministrativo, Molfetta, Nel Diritto Editore, 2012.

[4] L’art. 25, co. 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella vecchia formulazione, stabiliva che “Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camere di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all’amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio”.

[5]Cons. Stato, sez. V, ord. 21 maggio 2018, n. 3028, in www.giustiziaamministrativa.it.

[6]Cons. Stato, sez. IV, ord. 6 marzo 2017, n. 1015, in www.giustiziaamministrativa.it; Cons. Stato, sez. V, sent. 15 luglio 2016, n. 3148, cit.; Cons. Stato, sez. IV, ord. 14 aprile 2015, n. 1900, in www.giustiziaamministrativa.it.

[7]Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 gennaio 2002, n. 397, in www.giustiziaamministrativa.it.; Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2002, n, 1036, in www.giustiziaamministrativa.it.

[8]Cons. Stato, Sez. VI, ord. 22 gennaio 2002, n. 401, in www.giustiziaamministrativa.it.

[9]Questo è quanto indicato da Cons. Stato, sez. V, sent. 9 dicembre 2008,n. 6121, in www.giustiziaamministrativa.it.

[10] Cons. Stato, sez. V, sent. 25 giugno 2010, n. 4068, in www.giustiziaamministrativa.it.

[11] Cons. Stato, sez. IV, sent. 27 ottobre 2011, n. 5765, in www.giustiziaamministrativa.it.