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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Studi



Il nuovo codice dei contratti pubblici: il rapporto tra principi (risultato, fiducia, buona fede e tutela dell’affidamento) e esigenze di mercato, solidarietà e sussidiarietà orizzontale.

Di Luigi Randazzo
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Il nuovo codice dei contratti pubblici:

il rapporto tra principi (risultato, fiducia, buona fede e tutela dell’affidamento)

esigenze di mercato, solidarietà e sussidiarietà orizzontale

 

Di Luigi Randazzo

 

 

Abstract

Il D. Lgs 31 marzo 2023 n. 36 ha introdotto il nuovo codice dei Contratti Pubblici che sostituisce il D. Lgs 18 aprile 2016 n. 50.

Il nuovo codice porta con se un nuovo approccio e un nuovo paradigma che trova una sua estrinsecazione nei principi fondamentali contenuti nella parte I del Codice.

Scopo di questo lavoro è quello di soffermarsi su alcuni principi fondamentali per comprenderne appieno la portata di questa svolta e la sua coerenza con il quadro regolamentare comunitario.

Dopo una breve introduzione sulla natura e sul ruolo dei principi nell’ordinamento giuridico, è stato operato un focus sui seguenti principi: risultato, fiducia, buona fede, tutela dell’affidamento, solidarietà e sussidiarietà orizzontale.

Si è cercato, inoltre, di analizzare la portata applicativa di ciascun principio e il loro rapporto con le esigenze di mercato.

 

D.lgs 36 on 31 of march 2023 introduced the new Public Contracts code which replaces d.lgs. n.50 on 18 April 2016.

The new code brings with it a new approach and a new paradigm which finds its expression in the fundamental principles contained in part I of the Code.

The aim of this work is to focus on some fundamental principles to fully understand the scope of this turning point and its coherence with the european regulatory framework.

After a brief introduction on the nature and role of principles in the legal system, a focus was placed on the following principles: result, trust, good faith, protection of trust, solidarity and horizontal subsidiarity.

Furthermore, an attempt was made to analyze the application scope of each principle and their relationship with market needs.

 

1.1 I principi generali – natura e funzioni

Con il D. Lgs 31 marzo 2023 n. 36 è stato emanato il nuovo codice dei Contratti Pubblici che sostituisce il D. Lgs 18 aprile 2016 n. 50.

Alla base dei lavori del tavolo tecnico incaricato di predisporre il nuovo Codice dei Contratti si riscontra sia l’intenzione di semplificare e razionalizzare la materia – aumentando la discrezionalità dell’amministrazione ed eliminando il c.d. gold plating - sia la volontà di modificare il paradigma che ha caratterizzato la precedente normativa.

Si passa da una normativa in cui la concorrenza sembra essere il fine ultimo ad una codificazione in cui la concorrenza si configura solo come uno strumento, insieme ad altri, funzionale al raggiungimento dell’obiettivo finale, ovvero il risultato.

Quest’approccio, ad un primo esame, potrebbe apparire foriero di riflessioni in termini di coerenza con il diritto comunitario.

Si rende, quindi, necessario soffermarsi su alcune dei principi fondamentali del nuovo codice degli appalti per comprenderne appieno la portata di questa svolta e la sua coerenza con il quadro regolamentare comunitario.

Tra le novità più rilevanti, infatti, vi sono gli undici principi generali che sono contenuti nella parte prima del titolo I del Codice e che assurgono al ruolo di rendere intellegibile il disegno alla base del nuovo sistema normativo.

Oltre, quindi, ad un nuovo paradigma, assistiamo anche ad una nuova impostazione normativa che orienterà l’attività degli operatori.

Secondo una tesi diffusa, le norme si dividono in principi e regole e la qualificazione di una norma come principio, piuttosto che come regola, può dipendere da operazioni interpretative, dal posizionamento nell’ordinamento o, talvolta, dalla stessa qualificazione operata dalla legge.

In taluni casi può essere d’aiuto prendere in esame la norma. Ove ricorra il carattere fondamentale e quello dell’indeterminatezza – sebbene quest’ultimo sia molto controverso in dottrina - ci si troverà di fronte ad un principio.

I principi generali di un determinato settore esprimono valori immanenti dell’ordinamento giuridico a garanzia di quegli interessi che, altrimenti, non potrebbero rinvenire un’adeguata collocazione in specifiche disposizioni normative.

Considerando un complesso di norme si configurano come principi quelle norme che incorporano dei valori, ponendosi, pertanto, come norme fondamentali sovraordinate rispetto alle altre.

A mero titolo esemplificativo pensiamo al principio della tutela della buona fede, il quale giustifica, tra le tante, le disposizioni sull’errore quale causa di annullamento del contratto (art. 1428 cod.civ) o le disposizioni sugli effetti della simulazione rispetto ai terzi e ai creditori (artt. 1415 e 1415 c.c.) e al principio di conservazione degli atti negoziali viziati che giustifica le disposizioni sulla conservazione del contratto (art. 1367 c.c.) o sulla conversione del contratto nullo (art. 1424 cc.).

Nella classificazione dei principi distinguiamo, poi, principi costituzionali, comunemente noti come “fondamentali”, e principi di rango legislativo, “principi generali”.

I primi sono assolutamente vincolanti per il legislatore; mentre i secondi possono essere dalla stressa legge abrogati o derogati.

E ancora, i principi generali possono riguardare l’intero ordinamento, un suo specifico settore (per esempio, il diritto amministrativo o quello tributario), una singola materia, un insieme di norme o, persino, una singola e specifica norma.

Infine distinguiamo principi espressi da principi inespressi.

Principi espressi sono quelli esplicitamente formulati in una apposita disposizione normativa, dalla quale possono essere ricavati tramite interpretazione.

Nel caso in cui, invece, non si tratti di principi esplicitamente formulati nella norma, ma si renda necessario un lavoro di elaborazione e costruzione da parte degli interpreti, si parla di principi inespressi.

Per quanto concerne la loro funzione, oltre alla funzione, possiamo individuare anche una funzione interpretativa dei principi (si pensi all’art.12, comma 2, delle disp. prel. Cod. civ. il quale dispone che: “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”).

Da sempre, infatti, si è fatto ricorso ai principi generali per l’interpretazione del diritto.

Si pensi all’art. 21-nonies, comma 1 della Legge n. 241/1990, in materia di edilizia e lavori pubblici, che dispone:“1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.

Tra gli operatori del settore si è posto sin da subito il problema di individuare se il limite temporale dei diciotto mesi si applicasse sempre e comunque.

Il Consiglio di Stato è intervenuto a dirimere la questione con la pronuncia n. 2207 del 15 marzo 2021 facendo ricorso al principio del legittimo affidamento affermando che:  “In base ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, deve ritenersi che il limite temporale dei 18 mesi, introdotto nel 2015, in ossequio al principio del legittimo affidamento, trova applicazione solo se il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all’adozione dell’atto, non abbia indotto in errore l’amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente determinata (a suo tempo) a rilasciare il provvedimento favorevole. Nel caso contrario, non potendo l’ordinamento tollerare lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata, non può trovare applicazione il limite temporale di 18 mesi oltre il quale è impedita la rimozione dell’atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario”.

Come affermato dal Cons. Rovelli in un proprio articolo, argomentare per principi, in sede di interpretazione, " consiste nel fare appello ad una norma (espressa o inespressa), di cui si assume la “superiorità” — secondo i casi: materiale o meramente assiologica — rispetto alla disposizione da interpretare, onde adeguare a quella il significato di questa. E trattare una norma come principio significa appunto assumerne la superiorità—quanto meno la superiorità assiologica — rispetto ad un’altra".

Appare evidente, quindi, il contributo che possono fornire i principi.

In primo luogo,  forniscono, rationes legis, una giustificazione unitaria di un insieme di norme di dettaglio o di principi più specifici.

In secondo luogo, mettono in risalto le lacune delle norme contrastanti.

Infine, inducono ad adottare l’interpretazione conforme al principio (essendo le norme di principio gerarchicamente sovraordinate, in senso assiologico, alle norme di dettaglio).

L’individuazione di una serie di principi fondamentali e la loro netta scansione nel Titolo I, parte I, del Nuovo Codice dei contratti risponde perfettamente alle prefate funzioni regolatorie e interpretative proprio dei principi generali.

Il loro carattere normativo non esclude che i principi siano norme a contenuto indeterminato da declinare al caso concreto per la loro applicazione.

Il ricorso a dei principi così ben delineati consente, in sede applicativa, nonchè interpretativa, di poter giustificare, in caso di conflitto e ai fini della decisione di un caso, la prevalenza di una regola sull’altra.

Si offre di seguito una disamina specifica di alcuni di questi

 

1.2 Il principio del risultato

Il principio di risultato ha una valenza centrale perché enuncia l’interesse primario che deve contraddistinguere l’operato delle stazioni appaltanti.

Già una parte della dottrina aveva colto la centralità di questo principio.

Giannini parlava di risultato in funzione descrittiva, spostando l’attenzione dal momento dell’adozione del provvedimento a quello dell’attività amministrativa, con accezione evidentemente dinamica dell’attività stessa.

A queste teorie si contrapponevano quelle di altri autori (Mazzamuto), secondo cui collegare il diritto amministrativo al concetto di efficienza, lo allontanerebbe dal suo principale obiettivo, ovvero il perseguimento dell’equilibrio tra autorità e libertà.

Del resto la rilevanza del tema era chiaro anche nella mente del legislatore che pensava già all’ipotesi di ancorare al risultato la responsabilità dirigenziale e che aveva, con l’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, introdotto una forma di sanatoria dei vizi meramente formali e procedimentali allorquando la scelta (non discrezionale) operata dall’amministrazione e che aveva portato ad un determinato risultato fosse stata conforme e fosse stata comunque intrinsecamente giusta.

La programmazione, gestione e attuazione dei fondi comunitari e dello stesso PNRR sono, poi, incentrati sulla logica del risultato (nel caso del PNRR, cd. milestone e target)

Nell’accezione fornitaci all’art. 1 del nuovo Codice dei Contratti, infatti,  il principio del risultato viene inteso come conseguimento dello scopo che stazione appaltante e enti concedenti devono sempre conseguire nella realizzazione dell’affidamento del contratto e nella sua esecuzione.

Tale conseguimento dovrà, inoltre, avvenire con la massima tempestività, con il migliore rapporto qualità/prezzo e nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

La concorrenza, in questa nuova prospettiva, come già rilevato, non rappresenta, quindi, più il risultato, bensì il mezzo per il conseguimento del miglior risultato possibile.

In realtà la concorrenza ha da sempre ispirato la disciplina dei contratti pubblici nella direzione di maggiori possibilità di ottenere la migliore prestazione al miglior prezzo, da una parte, e ampliare il novero di operatori economici a cui consentire l’accesso e, dunque, la possibilità di aggiudicazione, dall’altra.

La trasparenza diviene, invece, uno strumento centrale delle procedure al fine di consentire un’accelerazione e semplificazione delle stesse (rammento che accelerazione e semplificazione sono stati sin dal principio tra gli obiettivi cardine del nuovo Codice) e, al tempo stesso, rispondere alle esigenze di accountability della P.A. e monitoraggio delle procedure al fine di permettere la loro immediata verificabilità e contrastare, altresì, la corruzione.

Il principio del risultato costituisce un corollario del principio del buon andamento (art. 97 Cost.) e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità per il perseguimento degli interessi concreti della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea.

Secondo il principio dell’efficacia occorrerà che la P.A. agisca in modo che i propri atti si rivelino idonei rispetto allo scopo cui sono preordinati, ossia nella capacità di ottenere migliori risultati rispetto agli obiettivi prestabiliti.

In base al principio dell’economicità si dovrà avere un utilizzo ottimale delle risorse e secondo il principio dell’efficienza occorrerà un costante raffronto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Il risultato, nella nuova accezione, andrà inoltre raggiunte nell’interesse dalla comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea (co.4).

Questa specificazione che, a primo impatto, potrebbe apparire superflua, in realtà inte ende richiamare quegli interessi ulteriori -esigenze sociali, tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico – obiettivi delle politiche europee.

Si ritiene, poi, che la valenza di questo principio sia sempre stata prevalentemente interpretativa, assurgendo per alcuni autori (G. Corso) esclusivamente a criterio di valutazione della legittimità dell’operato della P.A..

Basti pensare alle ipotesi di ricorso all’esercizio del potere discrezionale da parte della P.A. per l’individuazione della regola del caso concreto, per la valutazione del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti e per attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva.

Il giudice contabile e il giudice penale, in attuazione di questo principio, dovranno, pertanto, escludere la responsabilità personale di chi, nell’esercizio delle proprie funzioni, abbia privilegiato una scelta piuttosto che un’altra seguendo il principio del risultato non solo come criterio di esercizio della discrezionalità ma anche come criterio per l’individuazione della regola del caso concreto.

Ancora a titolo esemplificativo, in tema di rapporto tra in house e mercato, il principio del risultato consente di poter giustificare la mancata scelta della P.A. di ricorrere al mercato libero, tutte le volte in cui si ritenga che un determinato “risultato” possa essere meglio conseguito in “autoproduzione”, in linea con l’orientamento della Corte di Giustizia Europea.

Non sempre, quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla nostra tradizione culturale dal dopoguerra in poi, la sollecitazione concorrenziale delle imprese a competere per aggiudicarsi la commessa pubblica costituisce la migliore garanzia per l’interesse della collettività.

Nel nuovo Codice, pertanto, appare di totale nitore l’effettiva finalità del principio di risultato, intesa a tutelare non soltanto gli operatori economici, come precedentemente sostenuto, ma anche la stazione appaltante.

 

1.3 Il principio della fiducia

L’attribuzione e l’uso del potere nel settore della contrattualistica pubblica si fonda, ai sensi dell’art. 2 del Nuovo Codice, sul principio della fiducia reciproca nell’operato legittimo, corretto e trasparente dell’amministrazione, dei suoi funzionari, degli operatori economici e, per effetto, anche dei cittadini, quali fruitori dei servizi pubblici.

In questo senso si è inteso attribuire maggiore peso e, al tempo stesso, valorizzare e favorire l’iniziativa e l’autonomia decisionale del funzionario pubblico (con particolare riguardo alle valutazioni e alle decisioni adottate per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni avvenute secondo il principio del risultato).

In questi anni, infatti, oltre ad un sentimento di sfiducia e sospetto del cittadino, abbiamo assistito al diffondersi da parte dei pubblici funzionari della c.d. “burocrazia difensiva” che troppo spesso ha rallentato l’autonomia decisionale e, direi più in generale, l’esercizio delle funzioni pubbliche per il timore delle conseguenze che un determinato atto potrebbe avere.

Tale atteggiamento è frutto anche dello schizzofrenico susseguirsi di interventi normativi che ha caratterizzato gli ultimi anni.

Questo fenomeno è, inevitabilmente, stato una fonte di inefficienza e, per effetto, un ostacolo al rilancio economico.

Proprio con l’intento di porre un argine a questo fenomeno il legislatore ha pensato al principio della fiducia, strettamente correlato peraltro al risultato.

E’ interessante notare come il terzo comma dell’art. 2 delimiti il perimetro della colpa grave nella responsabilità amministrativa prevedendo che sono ipotesi di colpa grave, nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti:

-         la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi;

-         la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza;

-         l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto.

Obiettivo è quello di delimitare in senso restrittivo i casi di colpa grave suscettibili di dare luogo a responsabilità amministrativa dei funzionari pubblica, escludendo espressamente la colpa grave nei casi di violazione o omissione che sia stata determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti (co. 3).

Anche con riferimento al principio della fiducia viene in rilievo la sua funzione interpretativa.

Come osserva il Cons. Rovelli nel suo articolo questo rappresenterebbe “un esempio lampante di meta principio cioè uno di quei principi che riguardano, in senso lato, il funzionamento della “macchina del diritto”, per usare una espressione cara al realismo giuridico".

E al fine di consentire una migliore comprensione di questa affermazione egli cita l’art. 101 del D.Lgs. 36/2023 relativo al soccorso istruttorio, affrontato recentemente dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7870/2023.

Il Consiglio di Stato nell’ambito di quest’istituto ha individuato 4 tipologie:

  • soccorso integrativo o completivo;
  • soccorso sanante;
  • soccorso istruttorio in senso stretto;
  • soccorso correttivo.

Secondo Rovelli "Il soccorso correttivo è un esempio lampante di concretizzazione del principio della fiducia. A essere rigorosi, il comma 4 dell’art. 101 avrebbe anche potuto non esserci nel Codice perché uno dei contesti più frequenti di applicazione di un principio è conseguente all’individuazione – per via di abduzione – di un principio come giustificazione di un insieme di altre norme. Una volta individuato, il principio giustificativo retroagisce sulle norme giustificate, richiedendo che esse siano interpretate in maniera conforme al principio stesso, eventualmente rendendole defettibili, integrando alla luce del principio eventuali lacune di disciplina, e così via. In altre parole, il principio non si limita a fornire una spiegazione del complesso di norme di partenza, ma ne orienta l’interpretazione e l’integrazione".

A conferma del valore che viene conferito a  questo principio vi è la previsione dell’ obbligo, in capo alle stazioni appaltanti, di attivare una copertura assicurativa dai rischi per il personale e il costante perseguimento della riqualificazione delle stazioni appaltanti nella direzione di una maggiore qualificazione del proprio personale, anche per il tramite di appositi piani di formazione (art. 2, comma 4).

Se per certi versi il principio di fiducia trovava già una sua previsione nell’art. 1336 c.c. con riferimento alla fase di esecuzione del contratto, la portata innovativa di questo principio si coglie maggiormente avuto riguardo alla fase che precede l’aggiudicazione.

In questa prospettiva, ad esempio, la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato che l’esclusione dalla gara d’appalto – che avviene nella fase dell’affidamento – si fonda sulla necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico.

 

1.4 Il principio dell’accesso al mercato

Come accennato, con il nuovo Codice assistiamo ad  un cambiamento di paradigma sostanziale, si passa da una normativa in cui la concorrenza sembra essere il fine ultimo ad un sistema in cui la concorrenza si configura solo come uno strumento, tra gli altri, funzionale al raggiungimento dell’obiettivo finale, ovvero il risultato.

La concorrenza diviene mezzo per giungere ad un appalto aggiudicato ed eseguito conseguendo il preminente interesse pubblico.

L’art. 3 del nuovo Codice è proprio dedicato al principio dell’accesso al mercato che assume una portata innovativa rispetto al precedente sistema.

In virtù di questo principio le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono favorire l’accesso al mercato nel rispetto principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità.

In questo modo si intende assicurare un mercato quanto più concorrenziale e competitivo nel quale a ciascun operatore siano garantite pari opportunità di accesso e trattamento.

Non si tratta di un principio assoluto, considerato che, come rappresentato in precedenza, non sempre il ricorso al mercato aperto può rappresentare l’opzione migliore per il conseguimento dell’interesse pubblico.

Il principio di accesso al mercato risulta collegato al principio di tutela dell’affidamento, che onera le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici a comportarsi secondo correttezza e lealtà, al principio di imparzialità e non discriminazione di cui all’art. 97 Cost. e ai correlati principi di diritto comune in materie di tutela della concorrenza e libera circolazione.

Come il principio della fiducia e del risultato, anche questo svolge una duplice funzione, interpretativa e applicativa (art. 4 Codice).

In caso di dubbi, infatti, occorrerà optare per l’interpretazione che, oltre a garantire il risultato amministrativo e a preservare la fiducia nell’amministrazione, sia anche funzionale a garantire il più ampio accesso al mercato.

1.5 I principi di buona fede e tutela dell’affidamento

L’art. 5 del d.lgs. 36/2023 introduce i principi di buona fede e di tutela dell’affidamento.

Diversamente dagli altri principi, la buona fede e l’affidamento vengono in rilievo nelle sole fasi gare.

Trattasi di principi intrinsecamente connessi con il prefato principio di fiducia, in un rapporto di genus a species tra quest’ultimo e i primi due.

La buona fede viene trattata al comma 1 come principio che deve ispirare le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici nello svolgimento delle loro azioni.

Al comma 2, invece, viene trattato il principio dell’affidamento, consacrando l’assunto, già pacifico per la verità, secondo cui, già nella fase antecedente all’aggiudicazione sussiste un affidamento dell’operatore a che l’azione amministrativa sia esercitata in modo legittimo e conforme al principio di buona fede.

Con la previsione contenuta al secondo comma vengono in questo modo recepiti i principi sulla tutela dell’affidamento incolpevole, anche in riferimento al danno da provvedimento favorevole poi annullato, sanciti dalla giurisprudenza amministrativa.

Pur persistendo il noto conflitto interpretativo fra Sezioni Unite della Corte di cassazione e Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, si deve ritenere che la lesione dell’affidamento sia, per i motivi di cui sopra, strettamente connessa con l’esercizio del potere, di guisa che, anche laddove l’operatore contesti una violazione della propria libertà di autodeterminazione negoziale, si configuri un’ipotesi di giurisdizione esclusiva amministrativa  (art. 133, comma 1, lett. e, n. 1, c.p.a.).

Ne deriva che la giurisdizione del giudice amministrativo non può ritenersi limitata ai soli comportamenti amministrativi, ma deve ritenersi estesa anche ai contenziosi risarcitori da responsabilità precontrattuale.

Il nuovo Codice, inoltre, esclude la tutela dell’affidamento quando l’annullamento della procedura, quale che sia la ragione (giudiziale o in autotutela) sia la conseguenza di un vizio agevolmente rilevabile facendo ricorso alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti (comma 3). Questa previsione scaturisce da un orientamento della giurisprudenza amministrativa che ha trovato la sua consacrazione con la nota sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 20/2021.

Laddove non si potrà conseguire l’aggiudicazione, il danno consisterà nei pregiudizi economici effettiva subiti e provati dall’operatore economico a causa dell’interferenza della condotta scorretta posta in essere dall’Amministrazione.

Occorrerà, quindi, provare che in presenza di una condotta corretta dell’Amministrazione, la condotta dell’operatore economica si sarebbe atteggiata diversamente.

Sul piano del quantum debeatur, verranno presi in considerazione, previo puntuale e rigoroso assolvimento del previsto onere probatorio, sia i costi inutilmente sostenuti per la partecipazione alla gara, c.d. interesse negativo, sia il danno da c.d. perdita di chance.

Sempre nell’ambito del recepimento degli orientamenti affermatisi in giurisprudenza, al comma 4 viene, poi, prevista la possibilità in capo alla stazione appaltante o all’ente concedente, condannati al risarcimento del danno in favore del terzo pretermesso, di rivalersi nei confronti dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione con una condotta illecita, in coerenza con quanto già previsto dall’art. 124 c.p.a. in materia di ottemperanza per equivalente in caso di impossibilità di conseguire una condanna in forma specifica all’aggiudicazione dell’appalto).

In tema di ottemperanza per equivalente in caso di impossibilità di ottenere in forma specifica l’aggiudicazione di un appalto, infatti, con sentenza n. 2/2017 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ribadito che, sebbene dal giudicato amministrativo, satisfattivo delle pretese sostanziali del ricorrente, nasca l’obbligo in capo all’Amministrazione di concedere in natura il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza, laddove ciò non possa materialmente essere attuabile, ne deriva la conversione dell’obbligazione, gravante sulla Pubblica Amministrazione, in una diversa obbligazione di carattere

risarcitorio.

Il contenuto del comma 5 risponde, infine, a criteri di giustizia sostanziale e, in buona sostanza, alla natura oggettiva della responsabilità della P.A., la quale, talvolta, può prescindere dall’adozione di un provvedimento illegittimo.

 

1.6 Solidarietà e sussidiarietà orizzontale

Nel completare questa disamina, non si può non rilevare come il nuovo Codice abbia previsto che la P.A. possa apprestare, relativamente a quelle attività che presentano una spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di co-amministrazione, caratterizzati per l’assenza del requisito sinallagmatico e dalla condivisione delle funzioni amministrativi con organizzazione non lucrative, purchè il coinvolgimento di queste ultime avvenga in modo effettivo e trasparente  e nel rispetto del principio del risultato.

Ciò è quanto contenuto nell’art. 6 del d.lgs. 36/2023 che sancisce, in questo modo, i principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale.

Il legislatore ha recepito la sentenza n. 131/2020 della Corte costituzionale che ha sancito la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi sociali, l’uno fondato sulla concorrenza, l’altro, appunto, fondato sulla solidarietà e sussidiarietà orizzontale.

Questa seconda impostazione attiene, in particolare, ai servizi sociali di interesse generale erogati dagli enti del terzo settore.

Tali principi trovano la loro radice negli artt. 2 (che prevede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale dovere di solidarietà sociale, oltre che politica ed economica) e 118, comma 4, della Costituzione (che prevede il principio di sussidiarietà nello svolgimento delle attività di interesse pubblico).

Il principio di sussidiarietà orizzontale si pone, quindi, come contraltare del principio della concorrenza, rispetto al quale occorre operare, di volta in volta, un equo contemperamento degli interessi in gioco.

In questo senso, la Corte Costituzionale con sentenza n. 218 del 2021, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’obbligo di esternalizzazione degli affidamenti gravanti sui concessionari, ha ribadito che non è corretto individuare nel principio della concorrenza una prevalenza assoluta sugli altri principi.

Va precisato, infine, che  non rientrano nel campo di applicazione del nuovo codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (cd. Codice del Terzo Settore).

L’affidamento dei servizi dovrà, quindi, avvenire nel rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza ed effettività, oltre che del principio del risultato, in sintonia con gli artt. 55 e 57 del codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017).

Questa disposizione recepisce, altresì, i considerando 28, 117, 118, nonché 10, lett. h, e 77 della direttiva UE 2014/24 e la giurisprudenza europea più recente. 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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