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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

  Giurisprudenza Civile



Compensatio lucri cum danno nella interpretazione delle Sezioni Unite

A cura di Maria Margherita D'Aguì

Nota a Corte di Cassazione, Sezioni Unite - Sentenza 22 maggio 2018, n. 12564

MASSIMA

Dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità riconosciuta dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto.

L’articolata pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con una pregevole ricostruzione ed analisi degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali espressasi in materia di compensatio lucri cum damno, ha tracciato i limiti di applicabilità del cumulo dei benefici patrimoniali in sede di quantificazione del danno ex art. 1223 c.c., proveniente da fatto illecito. In particolare, ha escluso l’operatività della compensazione in presenza di vantaggi la cui fonte non è rappresentata da fatto lesivo.

 

I fatti al vaglio della Suprema Corte

Il caso deciso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia in commento, ha avuto ad oggetto l’analisi dell’istituto della compensatio lucri cum damno ed ha stabilito se, in sede di liquidazione del danno patrimoniale proveniente da fatto illecito, si debba tener conto di altri benefici economici goduti dal danneggiato.

La vicenda giudiziaria posta al vaglio della Suprema Corte a Sezioni Unite, in particolare, ha riguardato la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di aiuto economico da parte della vedova di una vittima di sinistro stradale.

Nella specie, la sentenza in esame, ha rivisto una pronuncia della Corte d’Appello di Roma[1] che, facendo proprio il ragionamento logico giuridico del Tribunale di Primo Grado[2], aveva affermato l’insussistenza del danno patrimoniale sofferto dalla ricorrente, fondata su due ordini di ragioni: l’istante possedeva un reddito superiore a quello del coniuge defunto e la configurabilità del danno patrimoniale era esclusa dal godimento della pensione di reversibilità da parte di questa.

La Corte, pertanto, interrogata sul caso, ha analizzato la figura della compensatio lucri cum damno, risolvendo così il contrasto giurisprudenziale sorto nell’interpretazione dell’istituto[3].

Il danno patrimoniale da perdita di aiuto economico nella giurisprudenza prevalente

Sulla questione posta all’attenzione della Corte di Legittimità, si era consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in sede di liquidazione del danno patrimoniale patito a causa di decesso del familiare, non rilevava l’eventuale godimento della pensione di reversibilità[4] in capo al coniuge superstite.

Tale principio si fondava su due ragionamenti giuridici. Il primo, secondo cui la prestazione pensionistica non ha carattere risarcitorio e non dà luogo perciò al ristoro ai sensi dell’art. 1223 c.c., né, quindi, può cumularsi in sede di quantificazione di danno patrimoniale. Il secondo per cui, stante la diversità della fonte giuridica da cui scaturisce la prestazione previdenziale rispetto al fatto illecito, non può applicarsi la cd. compensatio lucri cum damno.

Infatti, secondo tale orientamento, la compensazione dei benefici opererebbe soltanto quando questi derivino direttamente ed immediatamente dal fatto illecito e non anche qualora la conseguenza non si trovi in un rapporto di causalità[5]diretta con l’evento dannoso.

Inoltre, secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente, il cumulo non opera anche nel caso in cui il danneggiato si trovi in astratto in una situazione patrimoniale più favorevole rispetto a quella sussistente prima del verificarsi dell’illecito[6].

L’indirizzo giurisprudenziale minoritario

L’orientamento giurisprudenziale sopra citato, è stato messo in dubbio da Cass., Sez III, 13  giugno 2014, n. 13537. Tale pronuncia evidenziava che il Giudice, nel quantificare il danno patrimoniale, dovesse sottrarre dall’intero ammontare, il valore capitale della pensione di reversibilità goduta dal coniuge della vittima.

Tale assunto si fondava sul principio secondo cui anche il riconoscimento della prestazione di reversibilità va considerato quale conseguenza del verificarsi dell’evento lesivo.

Secondo tale impostazione, anche la prestazione pensionistica deve ritenersi effetto dell’illecito, in quanto viene erogata a seguito della manifestazione dell’evento (il decesso), che è conseguenza della condotta posta in essere dal danneggiante.

Inoltre, la pensione ai superstiti avrebbe natura indennitaria, contribuendo all’incremento patrimoniale del coniuge della vittima, ragion per cui, deve essere cumulata alle somme spettanti a titolo di risarcimento del danno, in sede di quantificazione[7].

La soluzione delle Sezioni Unite

Interrogata nuovamente sulla controversa questione sorta sull’ambito di applicazione della compensatio ai fini della liquidazione del danno patrimoniale, la Terza Sezione della Corte di Cassazione con ordinanza del 22 giugno 2018, n. 15536, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

La Corte, pertanto, affidato il ricorso alle Sezioni Riunite, ha ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato la figura in esame, rassegnando le conclusioni che di seguito si commentano.

In primo luogo, la Corte si sofferma sulla rilevanza della fonte da cui scaturisce il vantaggio riconosciuto al danneggiato, al fine di stabilire la configurabilità del cumulo nell’operazione risarcitoria[8].

Riprendendo quanto già osservato dalla Sezione III[9], la Suprema Corte ribadisce l’assunto secondo cui la compensazione può applicarsi soltanto quando il danno ed il beneficio dipendano con “rapporto immediato e diretto” dallo stesso fatto. Pertanto, qualora il vantaggio riconosciuto al danneggiato sorga da un titolo autonomo, non direttamente connesso al fatto illecito, esso non può essere cumulato alle somme liquidate a titolo di risarcimento ex art. 1223 c.c.[10].

Nel caso posto all’attenzione della Corte, in particolare, la pensione accordata al coniuge della vittima, ha quale fonte una norma di legge e, pertanto, il diritto si cristallizza perché da essa trae origine e non è quindi immediatamente e direttamente collegato al fatto lesivo[11].

Inoltre, secondo la Corte, la prestazione pensionistica ha funzione previdenziale e solidaristica, in quanto  garantisce la continuità del sostentamento ai superstiti del lavoratore[12] e non ha finalità di risarcimento del danno patrimoniale conseguito all’illecito.

Per tali motivi, la sentenza in esame sottolinea che in sede di liquidazione del danno patrimoniale, il Giudice debba tener conto della natura e della “ ragione giustificatrice” degli emolumenti riconosciuti al danneggiato, al fine di effettuare la giusta applicazione della compensatio.

Conclusioni

In conclusione, la pronuncia in questione si conforma all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, condiviso anche dalla prevalente dottrina, affermatosi in materia di operatività limitata dell’istituto della compensatio nel risarcimento del danno patrimoniale.

Come osservato dalla Corte, a soluzione del contrasto giurisprudenziale sopra illustrato, dal risarcimento del danno patito dal familiare di persona deceduta per causa altrui, non può essere sottratto il valore della pensione di reversibilità, stante la diversa natura e funzione delle prestazioni e l’insussistenza di rapporto di causalità diretta tra illecito ed indennizzo previdenziale.

Tale principio è condivisibile in quanto è conforme alla ratio propria dei due diversi istituti: la pensione assolve una funzione di ristoro del coniuge del lavoratore e trae la sua origine dal sacrificio lavorativo e contributivo del lavoratore, mentre le somme accordate ai sensi dell’art. 1223 c.c. hanno quale fonte l’illecito.

Il cumulo dei due diversi diritti penalizzerebbe il danneggiato, assistendo ad una iniqua riduzione del risarcimento del danno patrimoniale per la sussistenza di un vantaggio (quale la pensione ai superstiti) autonomamente riconosciuto dalla Legge.

 

Bibliografia

FERRARI, La compensatio lucri cum damno come utile strumento di equa riparazione del danno, Milano, 2008.

HAZAN, ZORZIT, Il risarcimento del danno da morte, Milano, 2008.

LUDOVICO, La persona del lavoratore tra risarcimento del danno e tutela dal bisogno: la questione del danno differenziale, in Dir. Rel.ind., fasc. 4, 2013.

SELLA, I danni non patrimoniali, Milano, 2012.

Giurisprudenza citata

Cass., Sez. III, 29 luglio 1955, n. 2442;

Corte Cost., 8-28 luglio 1987, 286;

Cass, Sez. III, 14 marzo 1996, n. 2117;

Cass., Sez. III, 15 aprile 1993, n. 4475;

Cass. Sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440;

Css., sez. III, 10 febbraio 1998, n.1347;

Cass., Sez. III, 25 marzo 2002, n. 4205;

Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828;

Tribunale di Roma, 25 febbraio 2005.

Cass., Sez. III, 28 luglio 2005, n. 15822;

Cass., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3357;

Corte d’Appello di Roma, 29 settembre 2010;

Cass., Sez. III, 10 marzo 2014, n. 5504;

Cass., Sez. III, 22 giugno 2018, n. 15536.

                                                                 

 

[1] Corte d’Appello di Roma, 29 settembre 2010.

[2] Cfr. Tribunale di Roma, 25 febbraio 2005.

[3] La Terza Sezione della Corte di Cassazione con ordinanza del 22 giugno 2018, n. 15536, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

[4] Questo principio è stato affermato da numerose pronunce della Corte: Cass., Sez. III, 29 luglio 1955, n. 2442; Cass, SEZ. III, 14 marzo 1996, n. 2117, Cass. Sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440; Css., sez. III, 10 febbraio 1998, . 1347; Cass., Sez. III, 25 marzo 2002, n. 4205, Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828; Cass., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3357; Cass., Sez. III, 10 marzo 2014, n. 5504.

[5]  Sulla causa nella compensatio lucri cum damno si veda SELLA, I danni non patrimoniali, Milano, 2012, 289 ss.

[6] Tale principio è stato affermato da: Cass., Sez. III, 20 febbraio 2015, n. 3391.

[7] Abbraccia questa tesi FERRARI, La compensatio lucri cum damno come utile strumento di equa riparazione del danno, Milano, 2008.

[8] La Corte ha ripreso quanto affermato dalla prevalente dottrina che si espressa sul punto. Si vedano per tutti: LUDOVICO, La persona del lavoratore tra risarcimento del danno e tutela dal bisogno: la questione del danno differenziale, in Dir. Rel.ind., fasc. 4, 2013, p. 1049 ss.. L’autore ritiene che sussistono differenze tra prestazione indennitaria e risarcimento civilistico del danno, e non solo in termini quantitativi, “…ma riflette una ben più importante diversità di ordine qualitativo, tenuto conto che la funzione della tutela previdenziale non è quella di ristorare il danno subito che è invece la tipica finalità del sistema risarcitorio, ma quella di alleviare in chiave solidaristica un bisogno ritenuto socialmente meritevole di tutela, sicché è inevitabile che, mentre la prima opera secondo criteri necessariamente standardizzati e uniformi, così da garantire l’equilibrio finanziario della relativa gestione, il secondo sia destinato attraverso il potere equitativo del giudice a commisurare l’entità del risarcimento all’esatto valore del danno subito.”; HAZAN, ZORZIT, Il risarcimento del danno da morte, Milano, 2008.

7La Suprema Corte si era più volte espressa sulla rilevanza del titolo da cui dipende il diritto con le seguenti pronunce: Cass., Sez. III, 15 aprile 1993, n. 4475; Cass., Sez. III, 28 luglio 2005, n. 15822.

[10] La Corte, testualmente:  “...Se ad alleviare le conseguenze dannose subentra un beneficio che trae origine da un titolo diverso ed indipendente dal fatto illecito generatore del danno, di tale beneficio non può tenersi conto nella liquidazione del danno, profilandosi in tal caso un rapporto di mera occasionalità che non può giustificare alcun diffalco...”.

[11] Evidenzia la Corte che “..La condotta illecita rappresenta non la causa del beneficio collaterale, ma la mera occasione di esso..”.

[12] Corte Cost., 8-28 luglio 1987, n.286.