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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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L'inosservanza dei principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria non costituisce motivo di revocazione della sentenza. Pronuncia del Consiglio di Stato.

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Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. del 18 marzo 2021, n. 2342.

L’eventuale inosservanza da parte di una Sezione del Consiglio di Stato del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria non può mai costituire motivo di revocazione della sentenza


Ha chiarito la Sezione che tale inosservanza non può mai costituire motivo di revocazione della sentenza, non comportando né contrasto fra giudicati, allorché – come di norma avviene - il giudicato formatosi sulla decisione dell’Adunanza plenaria non sia stato reso fra le stesse parti della sentenza in cui si denuncia l’inosservanza, né errore di fatto revocatorio, trattandosi al più di errore di diritto per violazione dell’art. 99, comma 3, c.p.a. sotto il profilo della contestualizzazione e sussunzione del principio di diritto. Né a diverse soluzioni può pervenirsi in ragione della ritenuta assenza di rimedi processuali alla predetta inosservanza, dal momento che le ipotesi di revocazione previste dall’art. 395 c.p.c., richiamate dall’art. 106 c.p.a., hanno infatti carattere tassativo, eccezionale e derogatorio (rispetto alla regola della intangibilità del giudicato), e pertanto non ammettono interpretazione estensiva né applicazione analogica.
La stessa Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ha chiarito che un principio di diritto espresso ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a. non vale a configurare un contrasto di giudicati e quindi non può costituire parametro di riferimento nemmeno ai sensi dell’ulteriore ipotesi di revocazione prevista dall’art. 395, n. 5), c.p.c.. Ciò in quanto “L’attività di contestualizzazione e di sussunzione del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria ai sensi dell’articolo 99, comma 4 del cod. proc. amm. in relazione alle peculiarità del caso concreto spetta alla Sezione cui è rimessa la decisione del ricorso”.
Sicché, a maggior ragione, la stessa conclusione vale in tutti gli altri giudizi nei quali venga prospettata l’applicazione del medesimo principio di diritto.
Anche in precedenza, la giurisprudenza di questo Consiglio, a fronte di istanze di revocazione analoghe a quella in esame, ha sottolineato che non è possibile “forzare” il disposto dell’art. 395 c.p.c. per dare una sanzione processuale ad un precetto per il quale tale sanzione non è stata prevista dal legislatore.
Si tratta infatti, a ben vedere, non di un “vuoto di tutela da censurare” quanto dell’individuazione di “un ragionevole punto di equilibrio tra la ricerca di una maggiore uniformità interpretativa in funzione della certezza del diritto e la libertà e l’indipendenza, anche interna, del giudice”.
​​​​​​​Conseguentemente, si tratta di un vizio e assimilato a un qualsiasi errore di diritto non denunciabile col ricorso per revocazione.