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Anno XVII - n. 07 - Luglio 2025

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Consiglio di Stato: il candidato tatuato va escluso dal concorso in Polizia.

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Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 6640 del 3 ottobre 2019.

Con la pronuncia in esame il Consiglio di Stato ha affermato che nell’ambito di un concorso pubblico per il reclutamento nelle forze armate va escluso - ex lege - il candidato che riporti un tatuaggio non coperto ovvero, anche se collocato in “parti visibili”, avente carattere e contenuto considerato “deturpante” per sede o natura e, comunque, quando il tatuaggio è indice di “abnorme personalità” in virtù del suo contenuto.

Invero nella ricostruzione fatta il Collegio rileva che nelle “Procedure per lo svolgimento degli accertamenti psico-fisici del concorso pubblico per l’assunzione di 1148 allievi agenti della Polizia di Stato”, dove si dispone che “Per la valutazione dei tatuaggi di cui al punto 2, lettera b della tabella 1 allegata al d.m. 30 giugno 2003, n. 198, la Commissione, ove ritenuto necessario, potrà fare indossare al candidato i capi di vestiario previsti dalle uniformi, inclusa la maglietta a maniche corte tipo “polo”, di taglia adeguata. I tatuaggi non coperti dai capi di vestiario dell’uniforme – compresi quelli degli arti superiori, qualora non coperti dalla maglietta a manica corta – costituiranno causa di non idoneità. I tatuaggi che, seppure coperti dai capi di vestiario previsti dalle uniformi, siano deturpanti o ritenuti indice di personalità abnorme costituiranno anch’essi causa di non idoneità”.

La distinzione rileva sul piano della natura dell’accertamento richiesto all’Amministrazione:

a) nel primo caso, è la mera presenza, al momento dell’esame da parte della Commissione per l’accertamento dei requisiti psico-fisici, di un tatuaggio, su una parte del corpo non coperta dall'uniforme, a giustificare il giudizio di non idoneità. Invero, la presenza del tatuaggio è sempre causa di esclusione, qualora esso, quale che ne sia l'entità o il soggetto rappresentato, sia collocato "nelle parti del corpo non coperte dall'uniforme", dovendosi, a tal fine, fare riferimento a tutti i tipi di uniforme utilizzate e/o utilizzabili nell'ambito del servizio. In particolare, in giurisprudenza si afferma costantemente che l'amministrazione non è titolare di alcuna discrezionalità, non dovendo procedere ad alcuna valutazione, dovendo bensì solo prendere atto degli esiti di un mero accertamento tecnico (copertura o meno del tatuaggio da parte delle divise) (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 luglio 2018, n. 4305); trattandosi di un mero accertamento tecnico, esula da ciò ogni valutazione del nocumento all'immagine dell'amministrazione o al decoro della divisa;

b) nel secondo caso, invece, l’Amministrazione è tenuta, ai fini dell’esclusione per la presenza di un tatuaggio, a valutare, e conseguentemente a motivare in tal senso, la “rilevanza” dell’alterazione acquisita della cute e l’idoneità di essa a compromettere il decoro della persona e dell’uniforme. In particolare, il tatuaggio può diventare causa di esclusione - ancorché non collocato in “parti visibili” come innanzi precisate - allorché esso venga considerato “deturpante” per sede e natura, ovvero “indice di personalità abnorme” in virtù del suo “contenuto” (id est, di quanto da esso rappresentato). In questa ipotesi, l'esclusione dunque non è vincolata quale conseguenza dell'esito di un accertamento tecnico, ma essa rappresenta l'eventuale misura adottata all'esito di una valutazione che costituisce esercizio di discrezionalità tecnica da parte dell'amministrazione e che - salvo i limiti rappresentati dalla sussistenza dei vizi di difetto di motivazione ovvero di eccesso di potere per illogicità e/o irragionevolezza - non è sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità.