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Cedu: trattamento inumano e degradante. bocciata l'Italia sul carcere duro e sull'ergastolo ostativo. Legge da rivedere.
Cedu, Sez. I, sent. del 13 giugno 2019 (Ricorso n. 77633/16).
Il 13 giugno 2019 la Cedu si è espressa in maniera favorevole al ricorso presentato da Marcello Viola, Boss mafioso calabrese, condannato a quattro ergastoli per omicidi plurimi, occultamento di cadavere, sequestro di persona e detenzione di armi, dando torto allo Stato Italiano.
L'uomo si è sempre rifiutato di collaborare con la giustizia e per questo gli sono stati negati due permessi premio e la libertà condizionale.
La sentenza qualifica come “trattamento inumano e degradante” l’ergastolo ostativo, istituto giuridico che in Italia viene applicato per punire reati di particolare gravità, quali mafia, terrorismo, traffico di droga, pedo-pornografia e prostituzione minorile, e la durata della pena coincidere con l'intera vita del condannato, consueta l’espressione "fine pena mai", che esclude anche numerosi benefici penitenziari quali i permessi premio e l’applicazione misure alternative alla detenzione.
In Italia si stimano 957 persone soggette a ergastolo ostativo.
La Cedu però, con la sentenza di giugno, ha statuito che l'Italia deve riformare la legge sull'ergastolo ostativo, nella parte in cui impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia.
Il Governo italiano ha quindi avanzato richiesta di un nuovo giudizio dinanzi alla Grande Camera della medesima Corte che però è stata rigettata facendo passare in giudicato la sentenza emessa il 13 giugno 2019.
Nella sentenza la Corte ha spiegato che lo Stato non può imporre il carcere a vita ai condannati solo sulla base della loro decisione di non collaborare con la giustizia. I giudici di Strasburgo ritengono che “la non collaborazione” non implica necessariamente che il condannato non si sia pentito dei suoi atti, che sia ancora in contatto con le organizzazioni criminali, e che costituisca quindi un pericolo per la società.
Secondo la Corte la non collaborazione con la giustizia può dipendere da altri fattori, come per esempio la paura di mettere in pericolo la propria vita o quella dei propri cari. Quindi, al contrario di quanto affermato dal governo, la decisione se collaborare o meno, non è totalmente libera.
In allegato la sentenza del 13 giugno 2019.