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Anno XVI - n. 11 - Novembre 2024

  Giurisprudenza Civile



L’assorbimento del contratto preliminare nel contratto definitivo.

Di Marzia Massenio
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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, SECONDA SEZIONE CIVILE,

SENTENZA 23 ottobre 2020, n. 23307

L’assorbimento del contratto preliminare nel contratto definitivo

Di MARZIA MASSENIO

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione afferma che la clausola penale per il ritardo contenuta nel contratto preliminare non può trovare applicazione, se non espressamente riprodotta, nel contratto definitivo.

Premessa. Il contratto preliminare, come è noto, è il più intenso tra i vincoli prenegoziali, in quanto fa sorgere in capo alle parti l’obbligo di concludere un successivo contratto (cd. definitivo), avente ad oggetto l’assetto di interessi delineato nell’accordo preparatorio. Il codice civile dedica poche norme alla fattispecie in esame.

In particolare, l’art. 1351 c.c. stabilisce che il preliminare debba avere la stessa forma del definitivo; l’art. 2932 c.c. consente l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre; inoltre, è possibile procedere alla trascrizione sia della domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre (ex art. 2652 c.c.), sia di alcune tipologie di contratti preliminari ai sensi dell’art. 2645 bis c.c.

La possibilità che tra la stipula del contratto preliminare e la conclusione del contratto definitivo intercorra un determinato lasso temporale consente alle parti di valutare l’effettiva convenienza dell’affare, ad esempio svolgendo accertamenti tecnici sul bene ovvero tenendo conto di circostanze che in tale periodo potrebbero sopravvenire.

La questione risolta dalla Cassazione. Fatta questa breve premessa, giova considerare che, nel caso esaminato dalla sentenza in commento, ci si è chiesti se la clausola penale inserita nel preliminare possa ritenersi implicitamente rinunciata laddove non espressamente richiamata nel contratto definitivo.

La vicenda ha riguardato l’esperimento dell’azione di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale, sia in sede di preliminare che di definitivo, da parte dell’acquirente di un complesso immobiliare.

I giudici di merito condannavano la convenuta società venditrice al risarcimento, comprensivo di una penale da ritardo nella consegna dell’immobile, contenuta nel preliminare e non riprodotta nel contratto definitivo. Secondo i giudici di merito, infatti, la clausola era da ritenersi ancora valida in quanto non espressamente rinunciata dalle parti.

Tale lettura, tuttavia, non è stata condivisa dalla Cassazione, la quale ha chiarito che, se la clausola non è riportata anche nel contratto definitivo, non può essere richiesta alcuna penale per la ritardata consegna dell’immobile.

In particolare, è utile considerare che sulla questione si contrappongono due orientamenti interpretativi.

Il primo indirizzo ermeneutico, per vero minoritario, afferma che "la clausola penale, pur avendo carattere accessorio, ha una sua autonoma identità e indipendenza, quale obbligazione pecuniaria, in quanto persegue il fine di determinare preventivamente la prestazione dovuta nel caso che una parte si rende inadempiente della prestazione o ritardi l'adempimento della prestazione stessa” (Cass. n. 13262/2009). Ne deriva che essa, se inserita in un patto preliminare, permarrebbe nel tempo a prescindere dalla sua riproduzione nel contratto definitivo.

L’indirizzo seguito dalla giurisprudenza maggioritaria e ripreso dalla sentenza, invece, ritiene che il contratto definitivo sia l'unica fonte di diritti ed obblighi, in quanto idoneo a superare le statuizioni del preliminare, salvo che le parti non stabiliscano diversamente.

Queste ultime, dunque, potrebbero evitare che quelle clausole esauriscano i loro effetti con la stipula del contratto definitivo, attraverso un apposito accordo contestuale, con cui manifestano la volontà di mantenere in vita alcune situazioni giuridiche soggettive delineate precedentemente.

In questo senso vengono richiamati i principi di cui alla Cass. n. 9063/2012, secondo cui “qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l'adempimento di detto distinto accordo”.

Più di recente, Cass. n. 7064/2016, ha affermato che “in caso di costituzione progressiva di un rapporto giuridico attraverso la stipulazione di una pluralità di atti successivi (nella specie, relativa ad una compravendita di un terreno edificabile, un preliminare e una successiva transazione), tutti soggetti alla forma scritta "ad substantiam", la fonte esclusiva dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto va comunque individuata nel contratto definitivo, restando i negozi precedenti superati dalla nuova manifestazione di volontà, che può anche non conformarsi del tutto agli impegni già assunti (nella specie, la presenza di una clausola penale per il caso di mancato ottenimento della concessione edilizia, poi non più prevista nel definitivo), senza che assuma rilievo un eventuale consenso formatosi fuori dell'atto scritto, trattandosi di atti vincolati”.

Del resto, si osserva, la riviviscenza tacita della clausola penale contenuta nel preliminare potrebbe agevolare condotte scorrette tese a concludere in ogni caso il contratto definitivo, per poi agire al fine di ottenere l’importo di cui alla clausola penale non espressamente richiamata.

Per tutte queste ragioni, i giudici affermano che le pattuizioni del contratto preliminare, inclusa la clausola penale, devono intendersi superate dalla nuova manifestazione di volontà delle parti contraenti che stipulano il contratto definitivo.

Il rapporto tra contratto preliminare e definitivo. La vicenda in esame consente di richiamare il dibattito sviluppatosi nel corso del tempo in ordine al rapporto tra preliminare e definitivo, al fine di individuare la funzione assolta da tale operazione negoziale complessa. Talvolta, infatti, si è valorizzato il ruolo del contratto preliminare rispetto al contratto definitivo, talatra si è data prevalenza a quest’ultimo rispetto al primo.

In quest’ottica, la pronuncia in esame sembra aderire all’impostazione secondo cui la stipula del definitivo esaurirebbe la funzione del preliminare, così assumendo un ruolo preminente nel contesto dell’intera operazione.

Più nel dettaglio, secondo l’impostazione tradizionale il contratto preliminare è un negozio meramente preparatorio, idoneo a far sorgere il solo obbligo di prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo. Esso, pertanto, non contiene alcun programma relativo alle prestazioni di dare che, viceversa, riguardano il solo accordo definitivo.

L’adesione a tale orientamento implica, sul piano pratico, una limitazione degli strumenti di tutela azionabili contro il preliminare, potendosi agire solo con l’azione di nullità per difetto di forma (ad substantiam), l’azione di annullamento per incapacità o vizi del consenso e la risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Tutti gli altri rimedi, presupponendo un regolamento negoziale completo e di tipo prestazionale, potrebbero essere esperiti esclusivamente verso il definitivo.

Una parte della dottrina, invece, sostiene che il preliminare di vendita si atteggi a contratto ad efficacia reale differita, sicché esso vincola le parti al pagamento del prezzo e a trasferire la proprietà del bene, relegando il definitivo ad atto meramente solutorio, con cui cioè si differisce la produzione dell’effetto traslativo. In altri termini, il contratto definitivo varrebbe quale atto dovuto non negoziale con causa solutoria, secondo lo schema che prevede la scissione tra titulus e modus adquirendi.

È evidente che i rimedi contrattuali potranno essere esperiti già nei confronti del preliminare, dotato di una propria causa; inoltre, la sua caducazione determinerebbe l’automatico venir meno di quello definitivo, per vizi derivati.

Senonché, la tesi oggi prevalente ritiene che il preliminare assolva una funzione sia preparatoria che programmatica, in quanto da esso nasce l’obbligazione di prestare il consenso e ulteriori obbligazioni a carattere materiale e strumentale, utili a garantire l’attuazione del programma di cui al definitivo. Si tratta, quindi, di un facere complesso.

Allo stesso tempo, il contratto definitivo non potrebbe considerarsi quale atto meramente solutorio a causa esterna, in quanto dotato di una propria causa consistente nel controllo delle sopravvenienze. Sia il preliminare che il definitivo, dunque, consentono di realizzare l’obiettivo comune ad entrambi i contratti, ossia il trasferimento della proprietà.

Considerazioni finali. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza certamente esclude che il definitivo possa qualificarsi come atto meramente solutorio, in quanto ne sancisce la piena autonomia rispetto al contratto preliminare; infatti, laddove afferma la necessità di un espresso accordo per mantenere in vita determinati diritti ed obblighi di cui al preliminare, dimostra che la fonte esclusiva del rapporto tra le parti è da individuarsi nel solo contratto definitivo.

Per vero, ciò è coerente con la cd. “procedimentalizzazione del consenso”, espressione usata dalla recente giurisprudenza (Cass. Sezioni Unite n. 4628/2015 sul preliminare di preliminare) per evidenziare come la conclusione di un contratto che produca gli effetti voluti dalle parti possa, in certi casi, attraversare diverse tappe che gradualmente conducono alla realizzazione dell’affare. Di qui la formazione progressiva del contratto, che prevede la conclusione di vari tipi di accordi interlocutori, alcuni nati nella prassi (basti pensare alle minute, alle lettere di intenti, alle puntuazioni vincolanti e non), altri previsti dal legislatore come l’opzione (art. 1331 c.c.) e il preliminare.

In disparte i riflessi in punto di tutela esperibile in caso di inadempimento delle varie tipologie di accordi preparatori, è bene considerare che il contratto definitivo si pone all’esito di tale percorso, rappresentando l’approdo finale della vicenda a formazione progressiva e dunque è idoneo a sostituire ogni pattuizione intervenuta precedentemente.

Se questa è la regola, è in ogni caso possibile far sopravvivere obblighi e diritti sorti nella fase preparatoria, purché vi sia un’apposita manifestazione di volontà in tal senso, in omaggio all’autonomia negoziale quale diritto ormai costituzionalmente tutelato (art. 41 Cost).