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Sul divieto del rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi
CONSIGLIO DI STATO, Sezione Quinta, sentenza n. 3812 del 21 giugno 2018
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in tema di divieto delrinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi.
Il caso di specie prende le mosse dal ricorso proposto da Soc. coop. A. srl contro il comune di Spinazzola al fine di ottenere la riforma della sentenza pronunciata dal TAR Puglia – Bari.
La ricorrente chiede al primo Decidente di accertare la sussistenza del proprio diritto ad ottenere la corresponsione delle somme di denaro spettanti a titolo di adeguamento del prezzo, maturate nel periodo dall’1 gennaio 2000 al 28 febbraio 2005, in esecuzione dei contratti di appalto stipulati con il Comune di Spinazzola nonché, per la condanna del Comune al pagamento delle relative somme, deducendo peraltro la violazione dell’art. 6 della legge n. 573 del 1993, come modificato dall’art. 44 della l. n. 724 del 1994.
Il Comunedi Spinazzola si costituisce in giudizio deducendola sussistenza di una evidente differenza tra il concetto di proroga contrattuale ed il rinnovo contrattuale con nuove ed autonome manifestazioni di volontà di instaurare distinti rapporti giuridici ed infine, il medesimo Comune eccepiscela prescrizione quinquennale.
I giudici del Collegio ritengono che i motivi di appello siano fondati.
In particolare, l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (come modificatorecentemente), nel vietare il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, comminandone la nullità, e nel consentirnela rinnovazione espressa in presenza di ragioni di pubblico interesse (comma 2), sancisce che: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6” (comma 4).
Conformemente al costante orientamento della giurisprudenza(Cons. Stato, V, 2 novembre 2009 n. 6709; id., III, 1 febbraio 2012, n. 504 e 9 maggio 2012, n. 2682; id. V, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 21 luglio 2015, n. 3594),i giudici del Collegiosottolineano chela ratiodella predetta norma si palesa nell’intento di garantire la tutela dell’interesse pubblico affinchè le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano con il trascorrere del tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile, considerata in sede di formulazione dell’offerta, “con la conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni: è stato pertanto ad essa riconosciuta natura di norma imperativa alla quale si applicano gli artt. 1339 (inserzione automatica di clausole) e 1419 (nullità parziale) del codice civile. In quanto norma imperativa, che si inserisce automaticamente e prevale sulla regolamentazione pattizia, addirittura quando questa sia in contrasto con la previsione di legge, il diritto al compenso revisionale, che trova fondamento in tale previsione, va riconosciuto a maggior ragione quando, come nella specie, neppure vi è un patto contrario.”
Il Collegio osserva, peraltro, che il presupposto applicativo dell’art. 6 della legge n. 537 del 1993, successive modifiche,postula l’obbligo per le parti di prevedere una revisione periodica nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa.
Nell’ipotesi, invece, in cui contratto è triennale ed il prezzo posto a base d’asta è determinato per ogni anno, non vi è dubbio che il periodo di riferimento, anche ai fini della revisione imposta per legge, sia appunto quello annuale. Ne consegue l’irrilevanza dell’indicazione, nella clausola prezzo, del totale dovuto all’appaltatore per il triennio, atteso che costituisce soltanto una delle possibili modalità di precisazione di tale elemento contrattuale.
Infine, i giudici del Collegio statuiscono, riprendendo una precedente pronuncia, che: “Il rapporto tra le parti è rimasto regolato dai due atti originari, non essendo intercorso tra esse uno scambio di volontà tale da assumere la qualificazione della “rinegoziazione del complesso delle condizioni” contrattuali necessaria allo scopo della rinnovazione (cfr. Cons. Stato, VI, 7 maggio 2015, n. 2295).”