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Reddito di cittadinanza: dubbi del Gip di Palermo sulla sospensione, in caso di misura cautelare personale, estesa a qualunque tipo di reato. Questione posta alla Corte costituzionale.
Corte di Cassazione, Camera di Consiglio del 20 maggio 2020.
(R.O. 203/2019)
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Palermo solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, che stabilisce la sospensione dell’erogazione del reddito di cittadinanza nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell'arresto o del fermo, nonché del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 3, della medesimo decreto-legge così come convertito. Secondo il giudice rimettente dall’uso della congiunzione «nonché» per collegare i due periodi della disposizione discenderebbe, seguendo un’interpretazione letterale, la sospensione dell’erogazione del reddito o della pensione di cittadinanza nei confronti del richiedente o del beneficiario destinatario di una misura cautelare personale di qualsiasi tipo e per qualsiasi reato che ne consenta l’applicazione, oppure nel caso di sentenza di condanna, anche non definitiva, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3, del medesimo decreto-legge, così come convertito (e, cioè, quelli di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo 7 e quelli previsti dagli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422 e 640-bis del codice penale, nonché per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo). Secondo il rimettente, alla luce di siffatta interpretazione, l’applicazione della disposizione condurrebbe a risultati irragionevoli e paradossali e, pertanto, sarebbe illegittima per violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Il rimettente, innanzi tutto, segnala che ai fini dell’applicazione della misura cautelare viene richiesto un grado di prova (“gravi indizi di colpevolezza”) inferiore rispetto a quello necessario – ai sensi dell’articolo 533 del codice di procedura penale – per la pronuncia di una sentenza di colpevolezza e, successivamente, riporta, a ulteriore supporto della ritenuta irragionevolezza e disparità di trattamento, il confronto tra la situazione di un soggetto sottoposto a misura cautelare personale in relazione a un reato non rientrante tra quelli indicati, che subirebbe, nonostante non ancora giudicato, la sospensione del beneficio, e quella di un soggetto condannato con sentenza non definitiva per il medesimo reato che, invece, non subirebbe la sospensione. Sempre a riprova della denunciata irragionevolezza il rimettente, richiamandosi alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame, ipotizza il caso di un soggetto, sottoposto a misura cautelare personale in relazione a un reato diverso da quelli indicati che, durante l’applicazione della misura cautelare, subirebbe la sospensione del beneficio mentre tale sospensione verrebbe a cessare nel caso di condanna per il medesimo reato per il quale era stato sottoposto alla misura cautelare. A parere del rimettente l’irragionevolezza della disposizione potrebbe essere superata omogeneizzando le due fattispecie attraverso l’estensione, anche ai soggetti sottoposti a misure cautelari, del riferimento ai delitti indicati dall’articolo 7, comma 3, del decreto-legge cosi come convertito.