Giurisprudenza Penale
Per le Sezioni Unite, la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità del 131 -bis.
Di Anna Laura Rum
NOTA A CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE,
SENTENZA 12 MAGGIO 2022, n. 18891
Per le Sezioni Unite, la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità del 131 -bis.
Di ANNA LAURA RUM
Sommario: 1. I fatti di causa 2. Le argomentazioni delle Sezioni Unite 3. I principi di diritto
- I fatti di causa
I fatti di causa hanno ad oggetto il delitto di violenza privata continuata di cui agli artt. 81, secondo comma e 610 cod. pen.
La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di primo grado, ha dichiarato la responsabilità penale dell’imputato, sostituendo, alla pena detentiva, la corrispondente pena pecuniaria, con la conferma nel resto della decisione impugnata.
Nel confermare la decisione di primo grado, la Corte ha ritenuto di non accogliere la richiesta, formulata ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., di declaratoria della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sul rilievo che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra condotte reiterate e di eguale indole, poste in essere dall'imputato nell'arco temporale di un mese, avesse carattere ostativo ai fini dell'applicazione della relativa causa di non punibilità.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso deducendo due motivi: a) l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 131 -bis cod. pen. e la mancanza della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento dell'abitualità, per avere la Corte di appello considerato, quale ragione ostativa alla declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il vincolo della continuazione tra le condotte poste in essere dall'imputato, sebbene fossero connotate da occasionalità e modesti effetti lesivi; b) l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 610 cod. pen., per avere la Corte di appello ritenuto la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto.
La Quinta Sezione Penale, nel richiamare preliminarmente la natura giuridica, i presupposti applicativi e le finalità legate alla previsione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta dal legislatore con la disposizione di cui all'art. 131-bis cod. pen., ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza.
In particolare, nell’ordinanza di rimessione viene prospettato un primo indirizzo interpretativo, essenzialmente fondato sul tenore letterale della formulazione di cui all'art. 131-bis , secondo il quale la causa di non punibilità non è applicabile nel caso di più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso e un altro e diverso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è possibile, invece, il riconoscimento della particolare tenuità del fatto in caso di reato continuato, purché questo non sia ritenuto espressivo di una tendenza o inclinazione al crimine.
Al riguardo, l'ordinanza di rimessione osserva che, al fine di escludere il connotato dell'abitualità, tale indirizzo interpretativo ritiene necessario valorizzare una pluralità di elementi, quali la gravità del fatto, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi e perseguiti dal reo, oltre alle motivazioni, anche indirette, sottese alla condotta, ovvero, tutti elementi che possono contribuire ad escludere il connotato della "abitualità" della condotta nel caso della mera continuazione, sicché la non punibilità per particolare tenuità del fatto può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, giacché quest'ultima, non individuando comportamenti di per sé stessi espressivi del carattere seriale dell'attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a violare la legge, non si identifica automaticamente con l'abitualità nel reato, ostativa come tale al riconoscimento del beneficio.
Nella prospettiva del secondo orientamento giurisprudenziale, pertanto, il solo fatto che un reato sia stato posto in continuazione con altri reati non è di ostacolo, in astratto, all'operatività dell'istituto, dovendosi valutare, in concreto, se "il fatto", inteso nella sua globalità, sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità.
Dunque, sulla base di tali considerazioni, la Quinta Sezione Penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite con riferimento alla questione concernente il carattere ostativo o meno della continuazione tra i reati ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., osservando che la soluzione di tale questione ne include anche una subordinata, relativamente alla individuazione delle condizioni la cui ricorrenza possa consentire di applicare in concreto l'istituto della particolare tenuità del fatto a fronte di un reato continuato, nel caso in cui non lo si reputi in sé ostativo alla configurabilità della predetta causa di non punibilità. In particolare, la questione di diritto sottoposta all'esame delle Sezioni Unite è stata così formulata: «se la continuazione tra i reati sia di per sé sola ostativa all'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni».
Il Procuratore generale ha illustrato una serie di argomentazioni a sostegno della non ostatività della continuazione all'applicazione della causa di esclusione della punibilità.
- Le argomentazioni delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, preliminarmente, osservano che sul tema oggetto della questione si registrano due diversi orientamenti giurisprudenziali: un primo indirizzo interpretativo, inizialmente dominante, esclude la compatibilità tra la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e la continuazione, ritenendo che ogniqualvolta si sia in presenza di un reato continuato non possa farsi luogo all'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 131-bis cod. pen. e l'incompatibilità tra i due istituti viene affermata muovendo dall'assunto che il vincolo della continuazione appare espressione di un "comportamento abituale" per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ossia di una forma di "devianza non occasionale", di per sé ostativa al riconoscimento della non punibilità, in quanto priva di quel carattere di trascurabile offensività che, di converso, deve caratterizzare "il fatto", ove lo si voglia sussumere nel paradigma normativo di cui al richiamato art. 131-bis.
In sostanza, secondo il Collegio, questa impostazione ermeneutica sostiene che quando il "fatto" presenta una dimensione "plurima", nessuna rilevanza può assumere in concreto la particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso appaia articolato, sicché nessuna incidenza può attribuirsi, ai fini dell'applicabilità della disposizione in esame, al fatto che alcuni reati siano avvinti o meno da un unico disegno criminoso, neanche nell'ipotesi in cui, singolarmente considerati, essi risultino connotati da un minimo disvalore penale.
Si ricorda, inoltre, che all'interno di tale orientamento si afferma, talora, che il reato continuato configura un'ipotesi di comportamento abituale, di per sé preclusivo ai fini della configurabilità dell'istituto previsto dall'art. 131-bis.
Le Sezioni Unite, poi, procedono all’analisi di un secondo indirizzo interpretativo, più di recente affermatosi ed oggi tendenzialmente prevalente, che ritiene invece applicabile al reato continuato la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis, secondo il rilievo che non vi può essere un’identificazione tout court tra continuazione e abitualità nel reato e che la condizione ostativa costituita dalla commissione di più reati della stessa indole non appare sovrapponibile all'ipotesi del reato continuato, bensì risponde all'intento di escludere dall'ambito di applicazione della nuova causa di non punibilità comportamenti espressivi di una sorta di "tendenza o inclinazione al crimine". In tale prospettiva si afferma, in particolare, che anche l'autore del reato continuato può accedere alla predetta causa di non punibilità, dovendo il giudice verificare in concreto se il "fatto", nella sua unitarietà, avuto riguardo alla natura degli illeciti unificati, alle modalità esecutive della condotta, all'intensità dell'elemento psicologico, al numero delle disposizioni violate e agli interessi tutelati, sia meritevole o meno di un apprezzamento di speciale tenuità: un’incompatibilità tra reato continuato e particolare tenuità del fatto è rilevabile solo nel caso in cui le violazioni, espressione del medesimo disegno criminoso, siano in numero tale da costituire di per sé dimostrazione di una certa serialità nel delinquere, ovvero di una progressione criminosa, indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell'offesa in tal modo arrecata, ovvero, ove detta reiterazione non sia espressiva di una chiara tendenza o inclinazione al crimine.
Si aggiunge che, per questa opzione esegetica, la radicale esclusione dell'applicabilità dell'istituto in esame al reato continuato appare "distonica" rispetto alla sistematica sanzionatoria di cui è espressione l'intera disposizione racchiusa nell'art. 81 cod. pen., in quanto non solo viene a pregiudicare l'imputato che, pur beneficiando del regime di favore di cui al menzionato art. 81, non può poi beneficiare della disposizione di cui all'art. 131-bis , ma comporta altresì un'ingiustificata disparità di trattamento con la figura del concorso formale tra reati, prevista dal primo comma dell'art. 81 cod. pen., in cui l'unicità della condotta, pur considerata la risultante di più pluralità di violazioni commesse, consentirebbe l'eventuale applicabilità dell'art. 131bis cod. pen.
Dato conto del contrasto interpretativo sotteso alla questione rimessa alla loro attenzione, le Sezioni Unite, poi, si soffermano sul fondamento e sugli elementi strutturali dell'istituto di cui all’art. 131 bis cod. pen., introdotto nel 2015, al fine di inquadrarne i punti di intersezione e gli eventuali profili di incompatibilità nelle ipotesi in cui i fatti oggetto del giudizio rientrino nella disciplina del reato continuato.
Quale generale causa di esclusione della punibilità che si raccorda con l'altrettanto generale presupposto dell'offensività della condotta, requisito indispensabile per la sanzionabilità penale di qualsiasi condotta in violazione di legge (come definito dalla Corte cost„ n. 120 del 2019), l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto si fonda su una soglia massima di gravità, correlata ad una pena edittale non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione.
La particolare tenuità dell'offesa, desunta dalle modalità della condotta e dall'esiguità del danno o del pericolo, e la non abitualità del comportamento costituiscono, dunque, i parametri fondamentali ai quali il giudizio discrezionale dell'autorità giudiziaria deve fare riferimento al fine di ritenere applicabile o meno al caso concreto la causa di non punibilità in esame.
Il Collegio ricorda che la ratio del nuovo istituto viene generalmente individuata nell'intento del legislatore di ampliare l'ambito della non sanzionabilità di determinate condotte astrattamente integranti gli estremi di un reato, perseguendo in tal modo finalità strettamente connesse ai principi di proporzione e di extrema ratio della risposta punitiva, con la realizzazione di effetti positivi anche sul piano deflattivo, attraverso la responsabilizzazione del giudice nella sua attività di valutazione in concreto della fattispecie sottoposta alla sua cognizione: il fatto non è punibile non perché inoffensivo, ma perché il legislatore, pur in presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, ritiene che sia inopportuno punirlo, ove ricorrano le condizioni indicate nella disposizione normativa.
Le Sezioni Unite ricordano che il problema concernente l'applicabilità dell'art. 131-bis ad una pluralità di reati avvinti dalla continuazione ha accompagnato l'evoluzione giurisprudenziale dell'istituto sin dal momento della sua introduzione nel sistema penale, innestandosi, in particolare, sul secondo degli "indici-criteri" previsti dalla norma, quello relativo alla non abitualità del comportamento dell'autore: ai fini della esclusione della punibilità, infatti, non è sufficiente la tenuità dell'offesa, ma occorre, come precisato nella relazione illustrativa del decreto legislativo n. 28 del 2015, che il reato oggetto del giudizio non si inserisca «in un rapporto di seriazione con uno o più altri episodi criminosi».
Secondo le Sezioni Unite, dall'analisi del tenore letterale e del contenuto complessivo della disposizione in esame non è desumibile alcuna indicazione preclusiva alla potenziale applicabilità della relativa disciplina al reato continuato, né sono previsti limiti di ordine temporale all'efficacia della condizione ostativa dell'abitualità del comportamento, con il logico corollario che il reato o i reati "precedenti" possono essere anche assai risalenti nel tempo rispetto a quello oggetto del giudizio.
Si sottolinea che la causa di non punibilità in esame ha natura sostanziale ed una portata applicativa generale, come tale riferibile a tutte le ipotesi di reato rientranti nei parametri previsti dall'art. 131-bis, dunque, al di fuori delle ipotesi tassativamente escluse (nel secondo comma) dalla sfera di applicazione dell'istituto, la regola generale è quella secondo cui, nell'ambito delle fattispecie incriminatrici rientranti nei limiti edittali di pena stabiliti dall'art. 131-bis, qualunque offesa arrecata può sempre essere ritenuta di particolare tenuità, se in tal senso viene concretamente valutata dal giudice sulla base delle modalità della condotta e del danno o del pericolo cagionato al bene giuridico protetto.
Le Sezioni Unite ricordano che è il principio di proporzione a costituire "il fondamento logico-funzionale e anche costituzionale dell'istituto", poiché la risposta sanzionatoria perderebbe, in assenza di un vaglio di meritevolezza della pena per i fatti di reato in concreto connotati da una speciale tenuità, la sua stessa base di legittimazione all'interno di una prospettiva costituzionalmente orientata.
Sotto altro profilo, la meritevolezza della pena, sia essa intesa con riferimento alla gravità oggettiva del fatto, che alla sua adeguatezza rispetto alla finalità rieducativa che ne disvela l'essenza costituzionale, costituisce il fondamento giustificativo dell'istituto e consente di orientarne l'interpretazione alla luce dei principi di extrema ratio e di proporzione, giustificandone al contempo l'efficacia deflattiva che il legislatore ha inteso ricollegare alle sue concrete modalità di funzionamento.
Ciò premesso, le Sezioni Unite ritengono di condividere l'impostazione delineata dal secondo indirizzo giurisprudenziale.
Secondo il Collegio, infatti, l'istituto della continuazione, diversamente da quanto affermato in alcune decisioni che aderiscono al primo orientamento giurisprudenziale, non può essere considerato come sinonimo della nozione di "abitualità", né appare coincidente o necessariamente sovrapponibile all'ipotesi in cui l'autore abbia commesso "più reati della stessa indole", ma, anzi, è necessario distinguere l'identità del disegno criminoso da altre ipotesi di collegamento tra pluralità di reati, che, come l'abitualità o la professionalità criminosa, giustificano, all'opposto, un giudizio di maggior gravità della condotta dell'agente.
Per il Collegio, si suole definire abituale il reato per la cui esistenza la legge richiede la reiterazione di più condotte identiche od omogenee. L'unificazione, pertanto, si fonda sulla piena capacità offensiva del bene protetto soltanto ad opera dei molteplici atti cumulativamente considerati, richiedendo al contempo la consapevolezza che la nuova condotta si aggiunga alle precedenti, dando vita con esse ad un "sistema di comportamenti offensivi”.
Si aggiunge, ancora, che la nozione di abitualità presuppone l'integrazione di un quid pluris che, oltre a far perdere alle singole condotte la loro individualità, rileva soltanto se dimostrativo dell'esistenza di un'amplificata necessità di difesa sociale a fronte di una persona la cui consuetudo delinquendi giustifica un complessivo apprezzamento di "proclività al delitto".
Ancora, si osserva che ciò che connota il reato continuato è la commissione di più reati unificati dal medesimo disegno criminoso, i quali, per un verso, possono non essere della stessa indole, neanche sostanziale, per altro verso non sono di per sé espressione di abitualità nel comportamento.
Per la Corte, la nozione di reati della stessa indole fa riferimento a un duplice ambito di valutazione, sia oggettivo ("la natura dei fatti") che soggettivo ("i motivi che li determinarono"), da cui desumere la ricorrenza di quei "caratteri fondamentali comuni" che, ai sensi dell'art. 101 cod. pen., qualificano l'indole criminale di un soggetto. Tale categoria di reati, pertanto, si estende con un raggio d'azione più ampio rispetto a quello coperto dal medesimo disegno criminoso, includendovi anche i reati colposi (ontologicamente incompatibili con il reato continuato) e quelli commessi per effetto degli stessi impulsi o motivi a delinquere, ossia di quelle "singole causali" che, ai fini dell'accertamento della unicità del disegno criminoso, costituiscono, di contro, solo uno dei molteplici indici rivelatori che il giudice deve in concreto valorizzare nell'ambito di un'approfondita e generale verifica del caso.
Le Sezioni Unite procedono, poi, ad analizzare un ulteriore profilo di potenziale incompatibilità fra il reato continuato e la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: all'interno della micro-disciplina dettata dall'art. 131-bis, terzo comma, il comportamento viene definito abituale non solo nelle situazioni espressamente individuate dagli artt. 101 ss. cod. pen., ma anche nell'ipotesi in cui il reato abbia ad oggetto "condotte plurime, abituali e reiterate".
Anche in relazione a questo specifico profilo della abitualità del comportamento, per la Corte, deve escludersi che il reato continuato possa farsi rientrare nell'ambito della locuzione normativa "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate" e, più in particolare, del sintagma "condotte plurime": l'analisi del tenore letterale della disposizione consente infatti di ritenere che il riferimento al carattere plurimo contraddistingue le condotte, non già i reati, come invece accade nell'ipotesi della continuazione e il legislatore, nell'impiegare genericamente l'espressione "reati" ha inteso fare riferimento, nella disposizione di cui all'art. 131-bis, terzo comma, non alle ipotesi di concorso di reati, quanto, invece, a determinate categorie di fattispecie, ossia a quelle situazioni concrete in cui il singolo reato viene realizzato attraverso una pluralità di modelli comportamentali.
Dunque, deve escludersi ogni automatica sovrapposizione tra l'istituto della continuazione e la fattispecie preclusiva derivante dalla realizzazione dei "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate".
Ancora, secondo le Sezioni Unite, nessuna valenza recessiva può attribuirsi, nella complessa configurazione strutturale della causa di esclusione della punibilità in esame, all'applicazione delle regole generali che, ai sensi dell'art. 81 cod. pen., definiscono sul piano normativo i presupposti e le condizioni per la valutabilità in termini unitari di una condotta che, nella sua dimensione naturalistica, risulti plurale. Ed, infatti, si ricorda che nei casi di concorso formale, ossia nell'ipotesi in cui, ai sensi dell'art. 81, primo comma, cod. pen., con un'unica azione od omissione siano state violate diverse disposizioni di legge, ovvero commesse più violazioni della medesima disposizione di legge, la circostanza che l'azione o l'omissione siano uniche ha portato la giurisprudenza escludere, in mancanza di una reiterazione della condotta, che si versi nelle ipotesi di comportamento abituale, sia perché non vengono in rilievo reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate, sia perché non sempre quell'unica azione od omissione importa la commissione di più reati della stessa indole, specie se non si versi nel caso del concorso di reato "omogeneo", che ricorre nella diversa ipotesi in cui con un unico episodio comportamentale ovvero in un medesimo contesto spazio-temporale si verifichino più violazioni della medesima disposizione di legge.
La Corte conclude, quindi, che, nelle situazioni in cui rilevi il concorso formale di reati, non sussistono ragioni ostative all'applicazione della causa di non punibilità in esame, quanto meno con riferimento all'indice-criterio della non abitualità del comportamento, anche se in tale ipotesi il giudice dovrà comunque accertare le caratteristiche specifiche della vicenda in esame e valutare in concreto l'eventuale ricorrenza di tutti i presupposti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'istituto, non solo quello della "non abitualità del comportamento", ma anche quello della "particolare tenuità dell'offesa".
Il Collegio evidenzia altresì che la regola della unitarietà del reato continuato, generalmente individuata nella prospettiva di una più ampia estensione applicativa del principio del favor rei, conosce delle eccezioni, come posto in rilievo dalla dottrina, solo quando la considerazione monolitica delle condotte possa determinare in concreto delle conseguenze contra reum: la considerazione unitaria del reato continuato richiede due condizioni, cioè che deve essere espressamente prevista da "apposita disposizione" o, comunque, deve garantire un risultato favorevole al reo. Al di fuori di queste due ipotesi, non vi è alcuna unitarietà di cui tener conto e, di conseguenza, vige e opera la considerazione della pluralità dei reati nella loro autonomia e distinzione che, pertanto, costituisce la regola.
Le Sezioni Unite, successivamente, prendono in esame due ulteriori profili di ordine logico-sistematico, valorizzati dalla dottrina e dall'orientamento giurisprudenziale condiviso: la radicale esclusione del reato continuato dall'ambito applicativo della non punibilità per la particolare tenuità del fatto rischierebbe di generare incongruenze sistematiche nel raffronto con la linea interpretativa che pacificamente riconosce la configurabilità del nuovo istituto nelle ipotesi di concorso formale di reati. Ancorché non si tratti di due fattispecie identiche, si precisa che sia indubbio che, ai fini della valutazione del requisito della abitualità del comportamento, una eventuale disparità di trattamento fra le ipotesi del concorso formale e del reato continuato non potrebbe ritenersi improntata al canone della ragionevolezza.
Per la Corte, inoltre, analoghi rilievi emergono alla luce della ratio ispiratrice che governa i presupposti per la configurabilità del nesso della continuazione, in considerazione del minor grado di riprovevolezza della condotta posta in essere da colui che cede all'impulso criminoso una sola volta, ossia al momento della ideazione del disegno criminoso: incoerente risulterebbe, sul piano logico-sistematico, uno sbarramento derivante da un'eventuale preclusione assoluta all'applicazione della causa di esclusione della punibilità in esame, rispetto ad un istituto, quello della continuazione, tradizionalmente plasmato sulla regola del favor rei.
Le Sezioni Unite concludono, allora, che l'esclusione di profili di incompatibilità strutturale tra il reato continuato e la particolare tenuità del fatto comporta la necessità di valutare caso per caso le condizioni e i presupposti di compatibilità di tale interrelazione, sulla base di una complessiva analisi della vicenda in concreto sottoposta al vaglio dell'autorità giudiziaria: il giudice deve accertare se, in concreto, la ricorrenza di una pluralità di condotte illecite frutto della medesima risoluzione criminosa presenti, o meno, i caratteri della particolare tenuità alla luce dei criteri direttivi stabiliti dalla disposizione di cui all'art. 131-bis.
Si aggiunge, ancora, che un eventuale diniego di applicazione della causa di non punibilità si giustifica solo all’esito di una valutazione discrezionale complessivamente incentrata sia sulle modalità della condotta a loro volta comprensive dell'elemento soggettivo del reato, che penetra nella tipicità oggettiva, sia sulla esiguità del danno o del pericolo.
Per le Sezioni Unite, il giudice dee svolgere questa valutazione in relazione ad entrambi i profili, assumendo quali parametri di riferimento i criteri direttivi previsti dall'art. 133, primo comma, cod. pen., in quanto espressamente richiamati dalla disposizione di cui all'art. 131-bis, primo comma.
Le Sezioni Unite concludono che non ricorrono i presupposti della causa di esclusione della punibilità nell'ipotesi in cui i reati in concorso materiale, pur unificati dal vincolo della continuazione, siano in concreto caratterizzati da peculiari note modali, ritenute idonee a disvelare una particolare attitudine del soggetto a violare in forma seriale la legge penale secondo i paradigmi delineati nel terzo comma dell'art. 131 -bis.
E, per la Corte, l’offesa non può ritenersi di particolare tenuità nemmeno in presenza delle situazioni ostative tassativamente individuate nel secondo comma dell'art. 131-bis, che esclude l'operatività dell'istituto con riferimento: a) a specifiche fattispecie di reato (come, ad es., quelle di cui agli artt. 336, 337, 341bis, 343 cod. pen.); b) a determinate motivazioni e circostanze della condotta (ad es., i motivi abietti o futili; l'aver agito con crudeltà o l'aver approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima); c) ad alcune conseguenze, anche non volute, che ne siano derivate (la morte o le lesioni gravissime di una persona).
Allora, secondo il Collegio, è in questa prospettiva che deve essere correttamente impostato il rapporto fra i due istituti, escludendo la possibilità, pur in astratto configurabile, che la rilevata assenza di profili di incompatibilità strutturale comporti, in concreto, l'assoluta e incondizionata applicabilità della disciplina dell'art. 131-bis al reato continuato.
La Corte precisa che nella sua dinamica funzionale, la continuazione assume fisionomie tra loro sensibilmente diverse, potendo variare, di volta in volta, la tipologia del bene giuridico protetto, il numero dei reati avvinti dal medesimo disegno criminoso, lo spazio temporale che distanzia i singoli episodi illeciti, l'omogeneità o la eterogeneità delle violazioni, la loro gravità in astratto, le forme e modalità di realizzazione dei diversi segmenti storico-fattuali in cui si articola nel tempo il disegno criminoso e, dunque, in relazione alla disciplina del reato continuato, l'eventuale connotazione di abitualità del comportamento deve essere necessariamente valutata in concreto, in modo da evitare automatismi preclusivi che irragionevolmente ostino al riconoscimento della causa di esclusione della punibilità nei confronti di persone per le quali non sia effettivamente individuabile alcuna esigenza special-preventiva.
Le Sezioni Unite statuiscono, inoltre, che il giudice è tenuto a motivare in maniera adeguata sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, dovendosi ritenere insufficiente il richiamo a mere clausole di stile: i reati avvinti dal nesso della continuazione devono essere oggetto di un complessivo apprezzamento discrezionale da parte del giudice, che dovrà soppesarne la concreta incidenza nella prospettiva della meritevolezza o meno della pena secondo i parametri fissati dall'art. 131-bis , svolgendo un'adeguata verifica sulla base di una serie di indici rappresentati, in particolare: a) dalla natura e dalla gravità degli illeciti unificati; b) dalla tipologia dei beni giuridici lesi o posti pericolo; c) dall'entità delle disposizioni di legge violate; d) dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte; e) dalle relative motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate; f) dall'arco temporale e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano; g) dall'intensità del dolo; h) dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti.
Quanto a quest’ultimo profilo, la Corte considera che l'art. 1, comma 21, della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante "delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari", stabilisce che, nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto sono adottati nel rispetto di una serie di principi e criteri direttivi, tra i quali la condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa.
Dunque, le condotte successive al reato ben possono integrare nel caso concreto un elemento suscettibile di essere preso in considerazione nell'ambito del giudizio di particolare tenuità dell'offesa, rilevando ai fini dell'apprezzamento della entità del danno, ovvero come possibile spia dell'intensità dell'elemento soggettivo.
Inoltre, secondo la Corte, osservando la natura dei reati in continuazione e del bene giuridico leso, potrebbe venire in rilievo una situazione caratterizzata dalla presenza di una pluralità di reati della stessa indole, con la conseguente necessità di verificarne il dato numerico: la serialità ostativa, come tale idonea ad integrare l'abitualità del comportamento, si realizza infatti quando l'autore faccia seguire a due reati della stessa indole un'ulteriore, analoga condotta illecita e, quindi, i reati della stessa indole devono essere almeno tre, ricomprendendosi nel numero anche quello per il quale si procede.
Questo principio di diritto, secondo il Collegio, deve applicarsi anche alla disciplina del reato continuato, che a sua volta presuppone, sul piano naturalistico, una pluralità di violazioni riconducibili ad una dimensione unitaria, dunque non occasionale, in ragione di un disegno operativo unitario che salda fra loro le diverse azioni illecite. L'applicazione della causa di non punibilità dovrà ritenersi preclusa nel momento in cui risultino a carico dell'autore almeno tre reati della stessa indole, avvinti fra loro dal nesso della continuazione.
Si specifica, quindi, che nelle diverse ipotesi in cui il nesso della continuazione avvinca solo due reati della stessa indole, ovvero i reati non siano della stessa indole (in quest'ultimo caso prescindendo anche dal dato numerico), non scatterà alcuna preclusione applicativa e il giudice dovrà conseguentemente verificare la ricorrenza o meno degli ulteriori indici previsti dall'art. 131-bis, operando un giudizio complessivo sulla concreta vicenda oggetto della sua cognizione.
Pertanto, le Sezioni Unite concludono il loro ragionamento affermando che non ricorrono, in definitiva, ostacoli di ordine logico-sistematico all'applicabilità al reato continuato della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis, essendo istituti ispirati entrambi al principio del favor rei, che rispondono ad esigenze e finalità sostanziali diverse, ma fra loro pienamente conciliabili, del sistema penale. Infatti, da un lato, l'ordinamento mira ad attenuare il rigore sanzionatorio del cumulo materiale, sostituendo ad esso il diverso regime del cumulo giuridico nell'ipotesi in cui i reati commessi con più azioni od omissioni siano il frutto di un'unica determinazione del soggetto attivo e dall'altro lato, si persegue la finalità di mandare esenti da pena quei fatti che, nella loro concreta realizzazione, appaiano caratterizzati da un grado minimo di offensività e, dunque, non meritevoli di applicazione in concreto della sanzione, in ossequio ai principi di extrema ratio e proporzionalità della reazione punitiva da parte dell'ordinamento.
- I principi di diritto
In conclusione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18891/2022, enunciano i seguenti principi di diritto:
«- La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131 -bis cod. pen., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale.
- In presenza di più reati unificati nel vincolo della continuazione, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che, salve le condizioni ostative previste dall'art. 131 -bis cod. pen„ tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti».