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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Penale



Nuovi ragionamenti, vecchie conferme: la causa di non punibilità ex art 384 co.1 c.p. applicabile al convivente more uxorio.

Di Federica Favata
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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE PENALI,

SENTENZA 17 marzo 2021, n.10381

Nuovi ragionamenti, vecchie conferme: la causa di non punibilità ex art 384 co.1 c.p. applicabile al convivente more uxorio

Di FEDERICA FAVATA 

 

Il fatto

Una donna veniva condannata alla pena di mesi sei di reclusione, per il reato di favoreggiamento personale, giacché dichiarava di trovarsi alla guida dell’auto, invece del compagno, colpevole di avere provocato un incidente stradale, in cui erano state coinvolte altre due autovetture. La falsa dichiarazione della donna era finalizzata a favorire la posizione del compagno che oltre ad essere privo della patente di guida, si era allontanato dopo l’incidente omettendo di prestare soccorso alle persone coinvolte nel sinistro.

In primo grado è stata riconosciuta la sussistenza del reato di favoreggiamento, confermato in Corte d’Appello e individuava come reato presupposto del favoreggiamento, il delitto previsto del co.6 dell’art.89 del d.lgs 285 del 1992, che sanziona l’inottemperanza all’obbligo di fermarsi in presenza di un incidente con danni alle persone.

 

Il percorso seguito dalle Sezioni Unite tra mutamenti normativi e orientamenti giurisprudenziali

Con la legge c.d Cirinnà, il legislatore ha inteso tutelare situazioni affettive mai regolate prima, offrendo una disciplina analoga a quella prevista per le famiglie legittime, prevedendo anche le necessarie ricadute penalistiche con il successivo d.lgs n.6 del 2017, che sancisce la stabilità del rapporto, con riguardo alle unioni civili, sul modello della famiglia legittima.

La circostanza che la legge del 2016 non abbia previsto l’estensione della causa di non punibilità in questione alle convivenze, non significa una implicita contrarietà alla possibilità di riconoscere una serie di diritti in favore delle convivenze more uxorio.

L’assenza di una legge che disciplini organicamente il fenomeno della convivenza more uxorio, non comporta che tale modello di relazione e i suoi effetti giuridici siano sprovvisti di tutela nel diritto positivo.

 

La giurisprudenza civile si è mostrata sempre più orientata a equiparare le posizioni soggettive dei componenti la famiglia di fatto a quelli della famiglia legittima fondata sul matrimonio. Si può fare subito riferimento al riconoscimento del convivente separato dell’assegnazione della casa familiare, analogamente a quanto si prevede per il coniuge separato o divorziato in presenza di prole.

La giurisprudenza penale si è mossa in senso ancora più netto, affermando esplicitamente la equiparazione tra convivenza coniugale e convivenza more uxorio per la valutazione della sussistenza dei requisiti per l’ammissione a gratuito patrocinio.

Anche in tema di costituzione di parte civile, la lesione di qualsiasi forma di convivenza rappresenta legittima causa petendi di un’azione risarcitoria proposta dinnanzi al giudice penale competente per l’illecito che ha causato detta lesione.

In ambito penalistico, l’equiparazione tra le due tipologie di formazioni familiari, si è ancora di più consolidata se si osserva l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in merito ai presupposti del 572 c.p. che punisce la condotta di chi maltratta una persona della famiglia, considerando la stessa non soltanto quella legittima fondata sul matrimonio, ma anche quella di fatto, connotata da un rapporto stabile fondato su legami di reciproca assistenza e protezione.

A tal proposito, la giurisprudenza degli anni 70’, già aveva operato al riguardo un’estensione in malam partem seppur finalizzata alla tutela della vittima del reato, fino alla novella del 2012 che ha cambiato la rubrica dell’articolo sopra richiamato, da “maltrattamenti in famiglia” a “maltrattamenti contro familiari e conviventi”.

Il legislatore del 2016 è poi intervenuto in un quadro complessivo generale, nel quale già risultava evidente l’interesse di salvaguardare la famiglia, nella sua accezione più lata possibile.

 

La problematica della natura dell’art.384 c.p co.1, è da affrontare attraverso una lettura costituzionalmente orientata, che valorizzi l’elemento della colpevolezza e che tale lettura è inserita nell’ambito di disposizione penali che regolano istituti analoghi.

Vengono superati i due orientamenti: il primo secondo cui il 384 co.1 c.p., contiene una causa di non punibilità in senso stretto (la rinuncia alla pena obbedisce a ragioni di opportunità politica), il secondo che qualifica la disposizione come una causa di giustificazione in cui vengono bilanciati contrapposti interessi, in forza dello stato di necessità. 

 

Deve dunque considerarsi, quell’orientamento dottrinale che considera il 384 co.1 c.p., causa di esclusione della colpevolezza, da ricondurre all’ipotesi in cui l’agente pone in essere un fatto antigiuridico agendo anche con dolo, nella consapevolezza di violare la legge. La giurisprudenza più recente si pone esattamente nel solco di tale impostazione dottrinale, dato che esclude si la colpevolezza ma non l’antigiuridicità della condotta, giacché si tratta di un’esimente connessa ad una peculiare situazione soggettiva in cui viene a trovarsi l’agente.

Le Sezioni Unite affermano dunque, che il 384 co.1 c.p trova la sua giustificazione nell’istinto dell’agente volto a tutelare da una parte, la propria libertà e il proprio onore e dall’altre nel fronteggiare l’esigenza di tenere conto dei vincoli di solidarietà familiare in senso lato, si deve tenere conto dello stato emotivo del soggetto, che rende inesigibile il comando penale.

Il riconoscimento della natura di scusante a struttura soggettiva, ha delle conseguenze sul piano interpretativo riguardo l’applicabilità ai casi non espressamente considerati.

Si scardina il carattere assoluto del divieto di analogia, che assume valenza relativa.

Il divieto di analogia in materia penale, è rivolto alle norme di favore ed è indirizzato ad assicurare la certezza del comando penale. La dimensione garantista del divieto in questione, si riferisce alle norme e disposizioni punitive e opera soltanto in malam, nel caso che qui interessa invece, vi è un’applicazione estensiva della causa di non punibilità in bonam.

Si è infine esclusa la natura eccezionale della norma contenente la scusante soggettiva esaminata, poiché in tal modo, l’art.14 delle preleggi, ne vieterebbe l’applicazione analogica.

L’eccezionalità non è pertanto attributo del 384 co.1 c.p . che investe la colpevolezza ed impedisce la punizione in presenza di una condotta inesigibile da parte dell’agente. La stessa norma, può quindi essere oggetto di un procedimento di applicazione analogica, racchiudendo in sé principi generali quali: nemo tenetur se detergere e ad impossibilia nemo tenetur.