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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Civile



La disciplina dell’usura si applica anche agli interessi di mora?

Di Alessandra Talamonti
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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE CIVILI,

SENTENZA 18 settembre 2020, n.19597

 

La disciplina dell’usura si applica anche agli interessi di mora?

 

Di ALESSANDRA TALAMONTI

 

Le Sezioni Unite, con la recentissima pronuncia n. 19597 del 18 settembre 2020, sono intervenute a dirimere il contrasto riguardo l’applicazione della disciplina dell’usura anche agli interessi moratori.

Al fine di esaminare compiutamente l’argomento, è necessaria una breve premessa sull’istituto dell’usura: dal latino “ utor”, il termine sta proprio ad indicare il corrispettivo dell’uso del denaro o di una cosa fungibile.

La pratica dell’usura è stata sempre avversata e la sua repressione, attraverso una soglia invalicabile da rispettare, è antichissima; nel corso del tempo, il contesto storico- politico- sociale ha influenzato la disciplina dell’ usura che , sempre avversata, ha subito , però, dei mutamenti.

In epoca romana, ad esempio, veniva previsto un tasso soglia come si evince dagli Annales di Tacito; successivamente, nel diritto tardo antico e alto- medioevale la legislazione si fece molto più restrittiva e venne introdotto il divieto di pattuire interessi tout court; tale divieto assoluto divenne impraticabile ed anacronistico con il nuovo sviluppo dei commerci e dei mercati e , per tale ragione, cominciarono ad essere inserite delle deroghe sempre maggiori per rendere lecite le pattuizioni sugli interessi.

Tali pattuizioni, infatti, erano e sono espressione della naturale fecondità del denaro ed operano a favore di chi ha prestato il capitale e non ne ha avuto per quel tempo la disponibilità.

In Italia, la disciplina sull’usura viene inserita per la prima volta nel Codice penale del 1930 all’art. 644 cp che punisce colui che, approfittando dello stato di bisogno di una persona, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o vantaggi usurari.

Prima di tale intervento, l’usura non veniva punita né sul piano penalistico né sul piano civilistico ma si riteneva sufficiente la necessità di rispettare il requisito della forma scritta nel caso di pattuizione di interessi ultralegali; il dilagare dello strozzinaggio condusse, però, ad un serio intervento giurisprudenziale sul punto che fu recepito sia dal Codice penale del 1930 che dal Codice civile del 1942.

La disciplina sull’usura è stata riformata dalla legge n.108 del 1996 che ha riscritto sia l’art. 644 cp che l’art. 1815 cc definendo l’usura come un fenomeno unitario.

L’art. 1815 cc stabilisce, al comma 2, che, se sono convenuti interessi usurari, la relativa clausola è nulla e non sono dovuti interessi: la disposizione in esame riguarda l’usura pecuniaria ad interessi che consiste nella dazione di denaro contro altro denaro restituito ratealmente.

Per quanto concerne, invece, le altre tipologie di usura come l’usura pecuniaria non ad interessi e l’usura reale in cui il corrispettivo è dato dalla dazione di un bene mobile o immobile o da una prestazione professionale o personale economicamente valutabile, il rimedio è la rescissione per lesione ex art. 1448 cc.

Inoltre, restano sempre ferme le sanzioni previste in ambito penale dall’art. 644 cp essendo l’usura un fenomeno di natura unitaria.

Se la disciplina sull’usura, come fin qui sinteticamente descritta, e le relative sanzioni sono state pacificamente applicate agli interessi cosiddetti corrispettivi, diverse perplessità sono sorte riguardo l’applicabilità agli interessi moratori; in altre parole, ci si è chiesti se la disciplina sull’usura potesse o meno essere applicata anche a tale tipologia di interessi.

Un primo orientamento sosteneva l’irrilevanza dell’usura moratoria e basava il proprio assunto su diversi argomenti: innanzitutto, dal punto di vista letterale, l’art. 1815 cc prevede la “corresponsione” degli interessi ad indicare la rilevanza dei soli interessi corrispettivi; da un punto di vista sistematico, inoltre, la disciplina sull’usura mira ad evitare prestazioni inique ed inaccettabili e , dunque, non può che riferirsi agli interessi corrispettivi e non ai moratori che hanno una funzione prioritariamente risarcitoria e sanzionatoria.

Infatti, mentre gli interessi corrispettivi sono tipici della fase del finanziamento e costituiscono il corrispettivo per l’uso del denaro, i moratori intervengono in una fase successiva e ristorano il danno che l’inadempimento del debitore ha arrecato al finanziatore.

Agli interessi moratori, di conseguenza, non si applica la disciplina prevista dall’art. 1815 cc ma le norme del codice civile che , come avviene per la clausola penale, sanzionano l’ammontare eccessivo e prevedono una rideterminazione da parte del giudice.

Al riconoscimento dell’usura in relazione agli interessi moratori sarebbe altresì d’ostacolo la circostanza che gli stessi non rientrano nella rilevazione del T.E.G.M ovvero il tasso effettivo globale medio che fissa la soglia, oltre la quale, si configura l’usura.

Infine, tale tesi rinviene un argomento di conferma nel D.L. n. 185/2008 che, ai fini dell’applicazione degli artt. 1815 cc, 644 cp, 2 e 3 della Legge n. 108/1996 , afferma che rilevano gli interessi che prevedono una remunerazione a favore della banca; “ remunerazione” ,infatti, vuol dire “ corrispettivo” per l’uso del denaro.

Alla descritta tesi contraria si contrappone la tesi favorevole e maggioritaria secondo cui gli interessi convenzionali di mora soggiacciono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente rispetto a quello stabilito dalla Legge 108 del 1996, vanno qualificati come usurari; le Sezioni Unite n. 19597/2020 aderiranno a questo secondo orientamento.

Tale tesi ripercorre gli argomenti contrari e li contraddice rovesciando completamente la prospettiva.

Dal punto di vista letterale, ritiene che nè il testo dell’art. 644 cp, nè l’art. 2 della Legge 108/1996 e neppure il D.L. 394/2000 di interpretazione autentica dell’art. 644 cp suddividano gli interessi in varie categorie ma fanno riferimento agli interessi tout court e a qualsiasi titolo pattuiti; d’altra parte, il giudizio di usurarietà che si limitasse soltanto agli interessi corrispettivi sarebbe iniquo e molto poco risolutivo in termini di lotta all’usura, scopo principale della disciplina.

Inoltre, la differenza tra interessi corrispettivi e moratori nasce storicamente con i due codici in passato esistenti ovvero il Codice civile che si occupava degli interessi moratori e il Codice del commercio che prendeva in considerazione i corrispettivi.

Ora tale duplicità è venuta meno e i codici sono stati unificati in un unico testo; di conseguenza, la differenza tra le due tipologie di interessi è un mero retaggio del passato da considerarsi ormai superato.

La tesi favorevole contrasta aspramente anche la paventata differenza di funzione dei due interessi: all’affermazione per cui l’interesse moratorio non sarebbe una controprestazione ma un risarcimento del danno forfettizzato legalmente o convenzionalmente controbatte che non c’è incompatibilità tra funzione risarcitoria e remuneratoria.

Infatti, economicamente, la funzione sostanziale è comunque la remunerazione del denaro anche se il titolo dell’obbligazione di pagamento degli interessi può essere diverso: gli interessi possono essere pattuiti a titolo di corrispettivo della cessione di un capitale, a titolo di remunerazione di una prestazione a pagamento differito ed anche a titolo di mora; tali differenze non incidono sul fenomeno economico che resta lo stesso e riguarda l’uso da parte di un soggetto di un bene fruttifero altrui che produce un arricchimento.

D’altronde, l’irrilevanza, ai fini dell’usura, degli interessi moratori porterebbe al paradosso che, per il creditore, sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento : infatti, prima della messa in mora, vi sarebbe un controllo usurario sugli interessi mentre , successivamente alla stessa, vi sarebbe la possibilità di pattuire interessi anche superiori alla soglia legale senza incorrere in nessun divieto.

Potrebbero altresì svilupparsi pratiche fraudolente, consistenti, ad esempio, nel fissare termini di adempimento brevissimi in modo tale da far scattare la mora e poter pretendere interessi non soggetti ad alcun limite.

Le Sezioni Unite condividono tutti gli argomenti forniti dalla tesi favorevole all’applicabilità della disciplina antiusura anche agli interessi moratori e specificano ,ancor di più, la questione della mancata rilevazione degli interessi di mora nel calcolo del T.E.G.M.: tenendo in considerazione la natura non solo corrispettiva ma anche risarcitoria degli interessi moratori, il loro ammontare sarà necessariamente più elevato; pertanto, è opportuno adeguare il tasso globale medio alla misura superiore che nel mercato hanno gli interessi moratori. Sarebbe iniquo, infatti, colpire con un tasso uguale due interessi di tipo diverso; le Sezioni Unite hanno dunque ritenuto opportuno incrementare  il T.E.G.M del tasso medio mora che di solito si aggira intorno al 2%.

L’azione di accertamento del carattere usurario dell’interesse moratorio non richiede una menomazione certa ma è sufficiente che sia lesiva l’incertezza oggettiva, l’esposizione concreta ad un rischio ancorchè non attuatosi.

Le Sezioni Unite hanno anche indicato la norma che opera rispetto agli interessi moratori usurari: secondo il dictum, si applica l’art. 1815 comma 2 cc e , dunque, non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti ma vige l’art. 1224 comma 1 cc con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.

Ove cioè l’interesse corrispettivo risulti lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che soltanto questi ultimi sono illeciti e preclusi; resta salva l’applicazione dell’art. 1224 comma 1 cc con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti.

La regolamentazione del mercato del credito, infatti, secondo le Sezioni Unite, non può condurre a premiare il debitore inadempiente rispetto a colui che adempia ai suoi obblighi con puntualità.

In altre parole, la nullità della clausola degli interessi moratori usurari non inficia la pattuizione degli interessi corrispettivi: pertanto, gli interessi moratori saranno dovuti nella misura lecitamente convenuta ex art. 1224 cc.

In un’ottica di concorso alternativo di rimedi , il debitore può, a sua scelta, far valere  anche la tutela prevista agli articoli 33 e 36 del Codice del consumo o servirsi dell’art. 1384 cc per ridurre l’ammontare dell’interesse moratorio manifestamente eccessivo.

L’attesa pronuncia delle Sezioni Unite costituisce ,in definitiva, un risultato molto importante in termini di disincentivo alle pattuizioni usurarie che possono inficiare anche gli interessi di mora.

La pronuncia è stata ,pertanto, accolta con molto favore e le uniche critiche finora riscontrate si incentrano principalmente sulla scelta della sanzione applicabile che risulterebbe incoerente con l’impalcatura del ragionamento delle Sezioni Unite: infatti, le stesse riconoscono l’usurarietà degli interessi di mora principalmente in virtù dell’identità di funzione tra questa tipologia di interessi e gli interessi corrispettivi; nella scelta del rimedio applicabile le Sezioni Unite sembrano contraddire tale assunto applicando agli interessi moratori l’art. 1224 comma 1 cc e non l’art. 1815 comma 2 cc.

Si tratta, in definitiva, di prime perplessità che potranno essere, nel corso del tempo, confermate o smentite.