ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 06 - Giugno 2025

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La Suprema Corte si esprime sulla causa di non punibilità nel reato di resistenza a pubblico ufficiale.

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Corte di Cassazione, Sez. VI, sent. del 22 agosto 2022, n. 31365.

Sulla base di tale quadro di riferimento il ricorso rivela la sua infondatezza. Il profilo maggiormente problematico della causa di non punibilità prevista dall'art. 393 bis cod. pen. riguarda storicamente il concetto di "atto arbitrario", che costituisce la modalità con la quale il pubblico funzionario deve eccedere le proprie competenze per rendere legittima l'altrui reazione. Secondo un primo consolidato orientamento di legittimità, cui aderisce anche parte della dottrina, l'eccesso arbitrario non si esaurisce nella mera illegittimità dell'atto compiuto dal pubblico ufficiale, ma richiede un elemento ulteriore, soggettivamente caratterizzante il suo agire; l'atto, per potersi definire "arbitrario", deve manifestare "malanimo, capriccio, settarietà, prepotenza, sopruso ed altri simili motivi" e, comunque, esprimere "il consapevole travalicamento da parte del pubblico ufficiale dei limiti e delle modalità entro cui le pubbliche funzioni debbono essere esercitate" (Sez. 6, n. 5414 del 23/01/2009, Amara, Rv. 242917). Se il legislatore, si sostiene, avesse voluto ancorare l'istituto alla sola, oggettiva contrarietà dell'atto all'ordinamento, non avrebbe inserito il riferimento agli "atti arbitrari", ribadito, peraltro, in più occasioni; la locuzione, infatti, sarebbe stata del tutto pleonastica, se non addirittura tautologica, se l'analisi avesse dovuto essere limitata soltanto al profilo dell'illegittimità dell'atto. Ne discende, secondo l'impostazione in parola, la necessità di interpretare il richiamo contenuto nella disposizione nel senso della necessità di un elemento ulteriore, che non può non interessare il profilo soggettivo del pubblico ufficiale; un atto, quindi, non solo obiettivamente illegittimo, ma anche "partecipato" dall'agente con un consapevole atteggiamento di abuso, se non con una deliberata volontà vessatoria. Sotto altro profilo, si è aggiunto che una ricostruzione diversa della norma ne amplierebbe la portata in modo eccessivo, tale addirittura da travalicarne la ratio ispiratrice e concedere al privato una troppo generosa licenza.

In tal senso si spiega l'affermazione consolidata, secondo cui presupposto necessario per l'applicazione della causa di giustificazione prevista dall'art. 4 del d.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, è un'attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell'azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario. (tra le altre, Sez. 6, n. 16101 del 18/03/2016, Bonomi, Rv. 266535; Sez. 5, n. 35686 del 30/05/2014, Plivieri, Rv. 260309). In definitiva, la tesi in esame è fondata sull'assunto secondo cui il concetto di "arbitrarietà" avrebbe una sua autonomia rispetto a quello di "eccesso", in un'ottica essenzialmente soggettiva, come consapevole volontà (e quindi malafede) del pubblico ufficiale di eccedere i limiti delle sue funzioni. Con l'ulteriore corollario per cui l'istituto non potrà operare quando risulti che il pubblico funzionario abbia agito nella consapevolezza (pur colposamente erronea) di adempiere ad un dovere d'ufficio e, per contro, il privato abbia reagito violentemente, non essendo consapevole dell'abuso oggettivo compiuto nei suoi riguardi. Si è sottolineato da altra parte della giurisprudenza di legittimità come, pur nell'ambito della ricostruzione strettamente soggettiva dell'istituto, sarebbe tuttavia legittima la reazione del privato all'atto realizzato con modalità non consentite dalla legge, perché provocatorie, oppure quello costituente reato (ingiurie, minacce, percosse, ecc.), oppure ancora, all'atto contrario alle norme elementari dell'educazione e del costume sociale (Sez. 6, n. 36009 del 21/06/2006 Tonione, Rv. 235430); si tratta di una impostazione che, da una parte, recepisce l'indirizzo maggioritario di cui si è detto, che impone di non fermarsi alla mera illegittimità dell'atto, ma, dall'altra, tende a riempire quei vuoti di tutela che una lettura troppo soggettivista comporterebbe, pure a fronte di condotte avvertite come arbitrarie dalla coscienza sociale.