Giurisprudenza Penale

Sentenza 4 luglio 2017 (Ricorso n. 10947/2011)
Il reato di diffamazione nella visione CEDU
Il reato di diffamazione rappresenta uno dei punti di maggiore frizione tra la disciplina nazionale e quella sovranazionale. Invero, la tensione si evidenzia, all’atto pratico, allorquando la normativa italiana e la prassi giudiziaria forniscono preminenza alla tutela dell’onore, mentre la CorteEdu tende a fornire maggior rilievo alla libertà di stampa. Quest’ultima è stata oggetto di un rafforzamento, basata sul fatto che la libertà di stampa non è atta solo a garantire l’espressione giornalistica, ma concerne anche il diritto della collettività a ricevere informazioni su questioni di interesse generale.
Nell’ambito di tali poli antipodici, si pone la pronuncia in commento, nella quale la Corte di Strasburgo ha stabilito che un giornalista non possa essere condannato per diffamazione se riporta, in un’intervista, le dichiarazioni di una militante di un partito politico su questioni di interesse per la collettività. Invero, non si può chiedere, ad un professionista che agisce in buona fede, di controllare tutte le dichiarazioni rese in un’intervista. Inoltre, i giudici della CorteEDU indicano come sia necessario valutare il comportamento del presunto diffamato, specie allorquando lo stesso non richieda alcuna rettifica e non agisca nei confronti di chi ha reso le dichiarazioni, limitandosi a denunciare il giornalista.
Sostanzialmente, la Corte europea parte dalla constatazione che la condanna per diffamazione è un’ingenerosa nel diritto alla libertà di espressione. L’intervento delle autorità nazionali non è sempre illegittimo; lo diventa, violando l’art. 10 della CEDU, nei casi in cui si proceda ad una limitazione della libertà di espressione, ossia che la misura nazionale sia necessaria in una società democratica.
A tal uopo, preme estendere la vicenda per cui è causa. Un giornalista di un quotidiano polacco aveva ricevuto una mail da un’iscritta ad un partito politico, con la quale venivano denunciati uno scandalo sessuale all’interno dello stesso, nonché atti di nepotismo. Il giornalista aveva contattato l’informatrice per telefono e, dopo averla avvisata che stata registrando la conversazione, aveva pubblicato l’intervista basandosi sulla dichiarazioni resegli. Nel corso dell’intervista, la donna aveva dichiarato di aver lavorato per un politico, il quale le avrebbe promesso un impiego in cambio di prestazioni sessuali. Nell’articolo pubblicato dal quotidiano, erano stati fatti i nomi dei politici asseritamente coinvolti nello scandalo. Un politico del Parlamento Europeo ha denunciato il giornalista, il quale veniva assolto per i fatti relativi allo scandalo sessuale, ma condannato per i fatti di nepotismo, stante che non aveva accertato che il politico cui erano stati imputati, in realtà, non avesse una figlia.
Sul punto, la CorteEDU ha chiarito che è necessario valutare gli aspetti oggettivi e soggettivi della vicenda. Sotto il primo profilo, bisogna porre mente alle dichiarazioni, al contesto ed alle circostanze del caso. In relazione al secondo, è invece necessario tenere conto del comportamento del giornalista per valutare se abbia agito in buona fede e seguendo le regole deontologiche. Nel caso di specie, la Corte rileva come articolo riportasse notizie di interesse per la collettività. In merito al comportamento tenuto dal giornalista, la Corte di Strasburgo opera un distinguo tra quello che scrive un articolo e colui il quale pubblica un’intervista. Nella fattispecie de qua, il fulcro dell’articolo è un’intervista nella quale il giornalista non riporta proprie opinioni, ma notizie riferite da un terzo. Chiedere allo stesso di, oltre che verificare le notizie, prendere le distanze dalle altrui dichiarazioni o aggiungere postille alle stesse è incontrato con il diritto alla libertà di espressione, del quale fa anche parte quella di scegliere lo stile e le tecniche giornalistiche. Nel caso portato alla cognizione della CorteEDU, il giornalista aveva inviato il testo dell’articolo all’intervistata, onde correggere eventuali errori, nonché tentato di acquisire opinioni e dichiarazioni dei politici coinvolti. L’ultimo profilo evidenziato dalla Corte nel suo iter motivazionale afferisce al comportamento del politico che si era ritenuto diffamato. Specificamente, i giudici internazionali mettono in risalto che l’uomo non aveva chiesto alcuna rettifica al giornale e non aveva agito contro l’intervistata. La sanzione comminata al giornalista, elemento essenziale al fine di potere ritenere integrata la violazione dell’art. 10 della CEDU, è sì di lieve entità, ma è di matrice penalistica ed ha effetto negativo sulla libertà di stampa, come testimoniato anche dal fatto che fosse stata iscritta nel casellario giudiziale. La misura sanzionatoria comminata è stata ritenuta, comunque, sproporzionata, sicché la Corte di Strasburgo ha ritenuto non essere stato raggiunto un giusto bilanciamento tra il diritto alla libertà di stampa e quello alla tutela della reputazione. Pertanto, la Corte ha accertato la violazione dell’art. 10 CEDU ed ha obbligato lo Stato polacco a versare 5 mila euro nei confronti del giornalista a titolo di indennizzo.