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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

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Il TAR Lazio si esprime sulla concessione della cittadinanza e sulla prova della residenza.

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TAR Lazio, Sez. V bis, sent. del 18 settembre 2023, n. 13815.

Si rende necessario premettere che il requisito della residenza almeno decennale nel territorio della Repubblica italiana costituisce un presupposto indefettibile per la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, non solo sulla base della chiara formulazione letterale delle disposizioni che lo prevedono, ma anche alla luce della ratio delle relative prescrizioni.

Invero, dal tenore testuale del menzionato art. 9 lett. f) della legge n. 91/1992, laddove prevede che la cittadinanza italiana possa essere concessa allo straniero che risieda legalmente (non per dieci anni, bensì) “da almeno” dieci anni nel territorio della Repubblica, va inteso nel senso che «la parola "almeno" evidenzia che la disposizione primaria qualifica il decennio della residenza in Italia non come requisito per la proposizione della domanda, con irrilevanza di ciò che avviene dopo di essa, ma come necessario requisito di fatto che deve perdurare pur dopo la maturazione del decennio, sino al momento del giuramento» (Consiglio di Stato, sez. III, 19/04/2022, n. 2902). Del resto, l’art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 572/1993 (“Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”) stabilisce espressamente che le condizioni previste per la proposizione dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana per residenza di cui all'art. 9 della legge n. 91/1992 “devono permanere sino alla prestazione del giuramento”.

In questo quadro, la Sezione ha di recente ricordato (T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 2914/2022) come tale requisito sia necessario in quanto rilevante “criterio di collegamento” che costituisce la “causa” dell’attribuzione del particolare status allo straniero che si trovi in un Paese diverso dallo Stato di appartenenza, evidenziando come la “durata” della permanenza sul suolo nazionale assuma una particolare rilevanza, nel procedimento del riconoscimento dello status di lungosoggiornante, ai sensi dell’art. 9 TUI, che è finalizzato a “stabilizzare” la presenza in Italia dello straniero, sottraendolo a quello stato di incertezza di dover ripetutamente chiedere e ottenere ogni volta il rinnovo del titolo autorizzatorio cui è soggetto lo straniero in possesso di mero permesso di soggiorno.  

La “durata” della permanenza sul suolo nazionale assume, a maggior ragione, rilevanza anche nel procedimento di concessione della cittadinanza italiana in quanto è indicativo di quel “legame con il territorio del Paese ospitante”, divenuto “centro delle proprie relazioni”, che costituisce “il presupposto e la ragione della naturalizzazione” (cfr. Cons. St., n. 6143/2011). 

In tale prospettiva e tenendo conto della ratio della normativa in materia, va distinta la posizione di chi può vantare una posizione di soggiornante di “mero fatto” (straniero privo di permesso di soggiorno), in cui la durata della permanenza in Italia resta nell’ambito del giuridicamente irrilevante, da chi, pur partendo da un’analoga situazione di fatto, abbia poi conseguito il “riconoscimento”, da parte dell’ordinamento giuridico, della medesima circostanza (del soggiorno “di fatto” protratto per una determinata durata), quale condizione legittimante per chiedere ed ottenere un “titolo”. 

Tale ratio va tenuta in considerazione nell’interpretazione ed applicazione della normativa in materia, incluse quelle disposizioni dettate dal regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 572/93) che prescrive i requisiti della “continuità” (Consiglio di Stato, sez. I, parere 22.2.1995 n. 2800 e 1.3.1995 n. 363, nonchè TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 08/05/2020, n. 4843, secondo cui «le disposizioni succitate non esigono la mera presenza in Italia dello straniero, ma la “residenza legale ultradecennale”, ossia il mantenimento di un’ininterrotta situazione fattuale di residenza accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe») e – per quel che qui maggiormente rileva - della “legalità”, atteso che l’art. 1, comma 2, lett. a) del menzionato d.P.R. n. 572/93 dispone che “si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica”.

Dalle coordinate che precedono emerge che, ai fini della concessione della cittadinanza, non assume rilievo il tempo trascorso dallo straniero sul nostro territorio in posizione di mera “residenza abituale”, ma solo quello in “posizione di legalità” nel senso sopra delineato, in quanto “indicativo della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell’aspirante cittadino” (Consiglio di Stato, sez. I, parere 30.11.92 n. 2482).