Ultimissime

Il Consiglio di Stato sui poteri di revoca di una autorizzazione alla coltivazione per fatti sopravvenuti.
Consiglio di Stato, Sez. II, sent. del 14 marzo 2020, n. 1837.
In tema di revoca di una autorizzazione alla coltivazione di una cava di ghiaia l’Amministrazione regionale ha il potere di rivalutare l’autorizzazione alla luce dei fatti sopravvenuti, ma deve esplicitare le ragioni di interesse pubblico in relazione ai principi di proporzionalità e affidamento del privato, tenuto conto delle concrete modalità con cui si dispone la revoca (1).
(1) Il potere di revoca può essere esercitato - in attuazione del principio di conservazione degli atti - anche con una revoca parziale (Cons. St., sez. VI, 9 aprile 2010, n. 2380; id. 28 febbraio 2006, n. 895).
Nella specie la Regione poteva rivalutare la situazione posta alla base del provvedimento impugnato in primo grado, in relazione a fatti sopravvenuti, quali l’aumento dell’impatto ambientale dovuto al rilascio dell’autorizzazione provinciale all’impianto di frantumazione, ma tale potere avrebbe dovuto essere esercitato conformemente ai principi generali, successivamente codificati dall’art. 21 quinquies, l. 7 agosto 1990, n. 241, nel testo modificato dalla l. 11 febbraio 2015, n. 15, ma comunque applicabili anche agli atti precedentemente adottati, in base ai principi già elaborati dalla giurisprudenza, ovvero in relazione alla valutazione della sussistenza di un interesse pubblico attuale alla revoca anche in considerazione dell’ affidamento ingenerato nel privato.
L’atto di revoca, infatti, anche se per sua natura ampiamente discrezionale, deve dar conto del raffronto con l’interesse privato sotteso all’atto oggetto di revoca.
Il giudice di appello ha, infatti, evidenziato che la revoca si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione di un atto ad efficacia durevole, in esito ad una nuova e diversa valutazione dell'interesse pubblico. I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall'art. 21 quinquies, con formule lessicali volutamente generiche e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto, imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento e in una rinnovata e diversa valutazione dell'interesse pubblico originario. A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca resta, comunque, rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell'Amministrazione procedente.
Peraltro, la previsione normativa dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990 deve essere interpretata alla luce anche dei principi generali dell'ordinamento della tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione e del buon andamento dell’azione amministrativa, che implicano il rispetto della imparzialità e della proporzionalità, per cui la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario deve essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare; non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell'atto originario; le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l'intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell'atto originario; la motivazione della revoca deve esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell'interesse pubblico, ma anche la prevalenza di tale interesse pubblico su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole.