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Consulta: sono illegittime le preclusioni assolute per accedere alle misure penali di comunità, ai permessi premio e al lavoro esterno per i detenuti minorenni.
Corte Costituzionale, sent. n. 263 del 6 dicembre 2019.
I detenuti minorenni e i giovani adulti, condannati per uno dei cosiddetti reati ostativi, possono accedere ai benefici penitenziari (misure penali di comunità, permessi premio e lavoro esterno) anche se, dopo la condanna, non hanno collaborato con la giustizia. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 263 depositata oggi (relatore Giuliano Amato), la prima sul nuovo Ordinamento penitenziario minorile, che ha dichiarato illegittima la disposizione dell’articolo 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 121 del 2018. La Corte ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, relativa all’applicazione nei confronti dei condannati minorenni e giovani adulti del meccanismo “ostativo” previsto dall’articolo 4-bis, commi 1 e 1-bis, dell’Ordinamento penitenziario, secondo cui i condannati per uno dei reati in esso indicati, che non collaborano con la giustizia, non possono accedere ai benefici penitenziari previsti per la generalità dei detenuti. Con riferimento ai condannati minorenni, questo meccanismo preclusivo è stato ritenuto in contrasto anzitutto con i principi della legge delega n. 103 del 2017, di riforma dell’ordinamento penitenziario, che imponeva di ampliare i criteri di accesso alle misure alternative alla detenzione e di eliminare qualsiasi automatismo nella concessione dei benefici penitenziari ai detenuti minorenni. In secondo luogo, la Corte – richiamando la propria costante giurisprudenza sulla finalità rieducativa della pena e sulle sue implicazioni nei confronti dei minori – ha ritenuto che la disposizione censurata contrasta con gli articoli 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, perché l’automatismo legislativo si basa su una presunzione assoluta di pericolosità che si fonda soltanto sul titolo di reato commesso e impedisce perciò alla magistratura di sorveglianza una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di risocializzazione, che devono presiedere all’esecuzione penale minorile. Nella sentenza la Corte ha spiegato che «Dal superamento del meccanismo preclusivo che osta alla concessione delle misure extramurarie non deriva in ogni caso una generale fruibilità dei benefici, anche per i soggetti condannati per i reati elencati all’art. 4-bis ordin. penit. Al tribunale di sorveglianza compete, infatti, la valutazione caso per caso dell’idoneità e della meritevolezza delle misure extramurarie, secondo il progetto educativo costruito sulle esigenze del singolo. Solo attraverso il necessario vaglio giudiziale è possibile tenere conto, ai fini dell’applicazione dei benefici penitenziari, delle ragioni della mancata collaborazione, delle condotte concretamente riparative e dei progressi compiuti nell’ambito del percorso riabilitativo, secondo quanto richiesto dagli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, Cost.».