Ultimissime

L’Adunanza Plenaria si esprime sulla legittimazione e interesse a ricorrere contro i titoli edilizi.
Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. del 9 dicembre 2021, n. 22.
L’Adunanza plenaria ha stabilito che in materia di impugnazione di titoli edilizi va riaffermata la distinzione e l’autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, con la conseguenza che, in via di principio, è necessario verificare che siano presenti entrambe per scendere all’esame del merito della controversia.
L’Adunanza plenaria ha enunciato i seguenti principi di diritto:
a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;
b) l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso;
c) l’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
d) nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.
I. – Con la sentenza in rassegna, l’Adunanza plenaria, analizzando i quesiti sollevati da Cons. giust. amm., 27 luglio 2021, n. 759 (oggetto della News US n. 72 del 9 settembre 2021 alla quale si rinvia per approfondimenti) ha formulato i principi di diritto di cui in massima. II. – La vicenda oggetto di causa può essere sintetizzata come segue:
a) il Comune di Palermo ha rilasciato nel 2011 una concessione edilizia per la realizzazione di una villetta residenziale bifamiliare su un terreno contraddistinto in catasto da due particelle derivanti dal (duplice) frazionamento di una particella originale. Tale concessione è stata poi volturata in favore di un acquirente e nuovo proprietario delle suddette particelle. Gli originari proprietari, tuttavia, erano rimasti proprietari dell’immobile, già edificato, iscritto su una quota residuale della particella originale oggetto della concessione;
b) avverso la concessione, e prima ancora avverso il frazionamento che l’aveva preceduta, i proprietari di un altro edificio sito nella medesima strada ma in una distinta particella, hanno impugnato la concessione deducendo una serie di vizi concernenti il mancato rispetto delle distanze, sia nei confronti delle costruzioni vicine, sia rispetto al confine con le altre proprietà, lamentando nell’insieme la violazione dell’art. 30 del d.p.r. 380 del 2001, degli artt. 2, 3 e 56 del regolamento edilizio del Comune di Palermo, degli artt. 873 e 878 del codice civile e dell’art. 9 del d.m. 1444/1968;
c) con sentenza 6 marzo 2012, n. 663 il T.a.r. per la Sicilia sede di Palermo ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in altra parte infondato. Il T.a.r. ha ritenuto che la violazione delle distanze tra le proprietà non arrecasse alcun pregiudizio alla parte ricorrente, rilevando, inoltre, come tra i primi fosse intervenuto un accordo negoziale in forza del quale i vicini avevano rinunciato al rispetto della distanza nei confronti dell’acquirente della concessione;
d) in sede di appello, il Consiglio di giustizia ha disposto una verificazione volta ad accertare la corretta rappresentazione dei luoghi per cui era causa e il reale posizionamento degli edifici di proprietà, rispettivamente, degli originari proprietari, dell’acquirente della concessione e dei proprietari vicini. L’esito della complessa verificazione ha condotto il giudice dell’appello a respingere tutti i motivi del ricorso, oltre alla domanda di risarcimento del danno, ad eccezione del settimo, per il quale la causa è stata rimessa all’Adunanza plenaria;
e) il settimo motivo dell’appello concerne la censura riferita alla violazione della distanza tra la costruzione di proprietà dell’acquirente e quella di proprietà dei danti causa, in ordine alla quale il verificatore ha accertato che sebbene fosse stata rispettata la distanza minima di cinque metri dal confine, non era stata rispettata invece la distanza minima di dieci metri tra i fronti dei due fabbricati, entrambi provvisti di finestra;
f) alla luce di tale esito istruttorio il C.g.a. ha rilevato la violazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968, che prescrive tale distanza in termini inderogabili ed assoluti, il che comporterebbe l’annullamento della concessione, ma che prima si dovesse esaminare l’eccezione in rito sollevata sia dalla parte appellata, sia dall’amministrazione comunale in ordine alla carenza di interesse delle parti appellanti a far valere una violazione riguardante la distanza tra la costruzione del proprio vicino e (anziché la propria) quella di un altro proprietario non direttamente confinante;
g) il C.g.a. si è interrogato, quindi, se, per impugnare i titoli edilizi altrui, il requisito della vicinitas, inteso quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene oggetto del titolo in contestazione, sia sufficiente a fondare insieme la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso, quali condizioni dell’azione di annullamento;
h) ha dunque sollevato i seguenti articolati quesiti:
- se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario sopra illustrato, è di per sé idonea non solo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione;
- se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli provoca;
- in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus patito dal ricorrente;
- nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla legge urbanistica: se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno confinante, ma comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della vicinitas; se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione dedotta. III. – Il collegio, dopo aver analizzato la vicenda processuale sottesa, le argomentazioni delle parti e quelli della sezione rimettente, nel decidere nel merito la controversia, ha osservato quanto segue: i) nella casistica giurisprudenziale i criteri della qualificazione e della differenziazione, utilizzati per distinguere gli interessi legittimi dagli interessi di fatto e da quelli cd. semplici, sono strettamente collegati, sebbene nell’impostazione più formale la qualificazione discenderebbe dalla norma attributiva del potere, mentre la differenziazione si coglierebbe sulla base di criteri materiali o caratteri fattuali;
j) nei casi in cui procedimento e provvedimento non siano di particolare ausilio, in quanto il soggetto terzo non vi ha partecipato e l’atto finale di lui non fa menzione, può essere rilevante l’elemento fisico-spaziale della vicinitas, intesa quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l’area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto contestato;
k) nel quadro storico caratterizzato dal dilagare del fenomeno dell’abusivismo edilizio, che nel secondo dopoguerra aveva deturpato le principali città italiane, come risposta all’Adunanza plenaria 8 gennaio 1966, n. l si colloca l’art. 10, comma 9, della legge 6 agosto 1967, n. 765 (cd. legge Ponte), che ha novellato l’art. 31 della legge urbanistica n. 1150 del 1942, prevedendo che: “Chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”;
k1) la giurisprudenza seguita a tale disposizione ha escluso, però, che potesse rinvenirsi nella norma citata un’azione popolare, richiedendo che i soggetti ricorrenti dovessero considerarsi incisi in un proprio interesse all’insediamento abitativo, ossia alla “radicazione in loco” dei propri “interessi di vita”, familiari, economici o relativi ad altri “qualificati e consolidati rapporti sociali”. Sicché, dal ripudio della tesi dell’azione popolare, è emerso sin da allora un criterio o concetto, quello della vicinitas, piuttosto elastico, la cui concreta individuazione era (e sarebbe stata in seguito) rimessa al prudente apprezzamento del giudice;
k2) alla luce del suddetto contesto storico, la decisione in commento esamina la ricostruzione del quadro giurisprudenziale offerta nella sentenza del C.g.a., dove si dà atto (al punto 39 della motivazione) di un orientamento maggioritario, per cui la vicinitas quale criterio idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi assorbe in sé anche il profilo dell’interesse al ricorso; e di un secondo indirizzo per cui la vicinitas da sola non basta a fondare anche l’interesse, dovendo il ricorrente fornire la prova concreta di un pregiudizio sofferto;
k3) tale contrasto è probabilmente meno acuto, e quindi meno problematico, di quanto si potrebbe a prima vista ritenere, nella misura in cui, da un lato, in molti casi l’adesione al primo indirizzo fa velo della (riconosciuta o riconoscibile) presenza, nei fatti, anche del pregiudizio; e, dall’altro, anche i precedenti più qualificanti ascrivibili al secondo indirizzo “scontano” situazioni nelle quali a mancare potrebbe essere già la stessa legittimazione. Quanto alle pronunce della Corte di cassazione rese sul punto, è necessario considerare che esse hanno ad oggetto giudizi di impugnazione nei confronti di sentenze in unico grado del Tribunale superiore delle acque pubbliche e, quindi, vertono su cause che non sono di edilizia in senso stretto e in cui i temi della protezione ambientale ricevono preminente attenzione;
l) questa prevalenza delle situazioni di fatto sugli schemi concettuali può spiegare quel “singolare regime di liquidità” che, a giudizio di una dottrina più recente, caratterizzerebbe la materia delle condizioni dell’azione nel processo amministrativo, caratterizzata negli ultimi anni dal fiorire di nuovi studi dottrinali, soprattutto in tema di legittimazione a ricorrere; l1) di questa categoria gli studiosi sono tornati ad indagare le differenze con il suo omologo nel processo civile, interrogandosi se sia ancora giustificato, da parte della giurisprudenza amministrativa, impostare il problema nei termini tradizionali di una effettiva titolarità di tale posizione anziché di semplice affermazione della stessa, come avviene nel giudizio civile; l2) sono state poi evidenziate le tendenze in atto nella legislazione degli ultimi dieci anni a costruire legittimazioni speciali, in capo a talune Amministrazioni indipendenti (quali AGCM, ART e ANAC), a presidio di determinati beni pubblici (in particolare la tutela della concorrenza); tendenze che si legano e seguono i casi, divenuti più frequenti nello Stato policentrico delle autonomie, in cui a proporre ricorso davanti al giudice amministrativo siano soggetti pubblici (i Comuni in particolare) nella loro veste di enti esponenziali che si contrappongono ad altri livelli di governo;
l3) su un piano opposto, altri mettono in relazione la legittimazione a ricorrere con il principio di sussidiarietà in senso orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, Cost., trovandovi il fondamento per nuovi “diritti civici” sui quali costruire una cittadinanza attiva, che nella tutela dinanzi al giudice amministrativo troverebbe una delle sue possibili forme di espressione e manifestazione. Nella stessa direzione la legittimazione al ricorso “rivisitata” è collegata alla teoria dei cd. beni comuni e diventerebbe uno strumento per controllare, anche in forme giurisdizionali, i governanti e i poteri pubblici, come in parte sembrerebbe confermare la recente disciplina sull’accesso civico di cui al d.lgs. 33 del 2013 dove all’art. 5, comma 2 riappare, a distanza di molti decenni, la parola “chiunque” (dopo il citato art. 10, comma 9, della legge Ponte);
l4) sempre nel quadro della tutela degli interessi meta-individuali, si invoca una sorta di “liberazione” della vicinitas dal suo perimetro originario, sino a ritenerla esistente anche quando la relazione di prossimità tra il soggetto ed il bene protetto non sia fisica, ma assiologica;
m) l’insieme di queste tendenze per così dire espansive, sul terreno della legittimazione al ricorso, denunciano la “crisi” dei controlli amministrativi e i limiti sempre maggiori, di tempo e di spazio, che incontra l’autotutela amministrativa, nella convinzione che molto spesso, complice anche l’oblio dei ricorsi amministrativi e l’assenza di validi rimedi alternativi, la sola via per rimediare agli errori, anche gravi, delle amministrazioni pubbliche sia quella giurisdizionale;
m1) si osserva in proposito che non a caso, dove l’amministrazione pubblica è considerata più efficace ed efficiente, come ad esempio in Germania, si registra da sempre un approccio assai più cauto al tema della legittimazione ad agire nel processo. Mentre nell’esperienza francese, del pari contrassegnata da un’amministrazione pubblica tradizionalmente di buona qualità, la legittimazione ad agire è stata invece riconosciuta con maggiore larghezza, per quanto nel quadro di una concezione in origine fortemente oggettiva del sindacato giurisdizionale e che poi si è progressivamente modificata;
m2) l’analisi comparata dei principali sistemi nazionali di giustizia amministrativa registra piuttosto da qualche tempo, sotto l’influenza del diritto europeo, una convergenza su talune linee di fondo; si possono fare gli esempi dell’estensione della legittimazione ad agire in materia ambientale, realizzatasi un po’ ovunque, del riconoscimento, nel contenzioso sui contratti pubblici e sotto l’influenza della Corte di giustizia UE, di interessi meritevoli di tutela diversi ed ulteriori rispetto a quello, cd. finale, più direttamente preordinato all’aggiudicazione della procedura;
m3) sempre nella riflessione dottrinale sulle condizioni dell’azione, l’autonomia della nozione dell’interesse al ricorso, rispetto a quella della legittimazione, è un dato oramai acquisito, nonostante i dubbi di carattere teorico sollevati in passato (quando l’interesse ad agire era stato definito persino come “la quinta ruota del carro” o considerato, nel processo amministrativo, “ridondante”). Il suo fondamento è rinvenuto, come noto, nell’art. 100 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., ed è caratterizzato dalla “prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato”;
n) il codice del processo amministrativo fa più volte riferimento, direttamente o indirettamente, all’interesse a ricorrere: all’art. 35, primo comma, lett. b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13, comma 4-bis e, in modo più sfumato, all’art. 31, primo comma, sembrando confermare, con l’accentuazione della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e l’arricchimento delle tecniche di tutela, la necessità di una verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa, in chiave di filtro delle domande di annullamento tenuto conto che il processo è una risorsa scarsa. Verifica da condurre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che “la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione”, ma non anche che “abbia subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite;
o) con specifico riferimento alla vicinitas, in ambito edilizio-urbanistico, dove la “qualificazione” dell’interesse del terzo può farsi discendere in ultimo dall’art. 872 c.c., dopo l’abrogazione dell’art. 31 della legge urbanistica ad opera dell’art. 136, comma 1, lett. a) del d.p.r. 380/2001, il discorso va ora ricondotto entro gli schemi generali ricavabili dal c.p.a.;
p) il ragionamento intorno all’interesse al ricorso, inteso come uno stato di fatto, si lega all’utilità ricavabile dalla tutela di annullamento e dall’effetto ripristinatorio, che a sua volta è in funzione e specchio del pregiudizio sofferto. Tale pregiudizio, a fronte di un intervento edilizio contra legem, è rinvenuto in giurisprudenza nel possibile deprezzamento dell’immobile, confinante o comunque contiguo, ovvero nella compromissione dei beni della salute e dell’ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata. Situazioni quali possono essere la diminuzione di aria, luce, visuale o panorama, ma anche le menomazioni di valori urbanistici, le degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico;
q) nella vicenda in esame la vicinitas si pone in termini di stretto collegamento tra la (proprietà di) parte ricorrente e l’area oggetto dell’intervento edilizio, trattandosi di immobili direttamente e immediatamente confinanti, sebbene il mancato rispetto delle distanze non riguardi l’edificio del ricorrente, ma quello di chi a sua volta confina dall’altro lato con quello confinante (la costruzione dell’acquirente la licenza edilizia si è incastonata tra quella di parte ricorrente e quella dei danti causa, dove in precedenza non c’era nulla, inserendosi per così dire “tra di loro”, diminuendone aria e luce, visuale e panorama);
r) passando dal pregiudizio all’utilità, si deve considerare ancora che l’accoglimento del ricorso condurrebbe all’annullamento, almeno in parte, della concessione edilizia del 2011, producendo, oltre all’effetto giuridico legato al venir meno del titolo in termini retroattivi, conseguenze conformative non prevedibili poiché legate all’applicazione, a valle dell’annullamento giurisdizionale, dell’art. 38 del t.u. 380 del 2021 (quali la possibile rimozione dei vizi amministrativi, la riduzione in pristino, l’applicazione di una sanzione pecuniaria alternativa);
s) su un piano più generale, l’interesse ad agire dovrebbe essere escluso nei casi in cui il titolo edilizio impugnato fosse affetto da vizi solamente formali o procedurali, sicuramente emendabili, quand’anche ne fosse possibile l’annullamento, quindi senza che a tale annullamento possa seguire l’applicazione di una qualunque sanzione; o, ancora più in radice, laddove al rilascio illegittimo del titolo edilizio non fosse poi seguita alcuna attività e nel frattempo fosse maturato il termine di decadenza del permesso;
t) in conclusione, ricostruite le linee generali della materia, l’Adunanza ritiene che al primo dei quesiti (di cui alla lettera a) debba rispondersi nel senso che, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario in via di principio che ricorrano entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di differenziazione, valga da solo ed in automatico a soddisfare anche l’interesse al ricorso;
u) in relazione ai quesiti di cui alle lettere b) e c), si deve rispondere nel senso che lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento edilizio che si assume illegittimo, e che è necessario sussista, può comunque ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del giudicante, essendo questione rilevabile d’ufficio nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e quindi nel contraddittorio tra le parti;
v) quanto al (sotto)tema della violazione delle distanze, posto con il quesito di cui alla lettera d), si ritiene che, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione possa essere rilevante, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo. IV. – Si segnala per completezza quanto segue:
w) la questione, come già evidenziato, è stata rimessa all’Adunanza plenaria dalla citata Cons. giust. amm., 27 luglio 2021, n. 759; alla relativa News si rinvia, oltre che per l’esame dei quesiti e delle argomentazioni sviluppate dal collegio: ai §§ f) e g) per la ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali sul criterio della vicinitas; ai §§ da h) d m) per i temi della legittimazione al ricorso e dell’interesse ad agire; ai §§ o), p) e q) sulla compresenza necessaria delle tre condizioni dell’azione nel processo amministrativo (interesse ad agire, legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam attiva/passiva); al § v) per quanto riguarda la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi lesi dall’azione amministrativa come giurisdizione di tipo soggettivo e non oggettivo, ad iniziativa di parte, che presuppone l’accertamento puntuale della situazione soggettiva lesa;
x) sul tema della vicinitas si segnala: x1) Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2021, n. 6500; sez. IV, 8 giugno 2021 n. 4387; sez. II, 10 marzo 2021, n. 2056 (in www.ildirittoamministrativo.it con nota di M. DE BIASE “Il valore ambientale e i suoi ambiti problematici”); Cass. civ., sez. un., 30 giugno 2021, n. 18493 (in Foro,it.Rep, 2021, Acque pubbliche e private, e in Ced Cass. civ. rv. 661654-01), citate nella decisione in commento, secondo le quali la vicinitas quale criterio idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi assorbe in sé anche il profilo dell’interesse al ricorso;
x2) Cons. St., sez. V, 16 giugno 2021, n. 4650; idem, sez. IV, 7 febbraio 2020, n. 962; idem, sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4830; C.g.a., 30 giugno 2020, n. 488; 17 gennaio 2012, n. 6262, citate nella decisione in commento, secondo le quali la vicinitas da sola non basta a fondare anche l’interesse, dovendo il ricorrente fornire la prova concreta di un pregiudizio sofferto. In particolare secondo l’ultima delle rassegnate decisioni “l'interesse al ricorso del vicino contro provvedimenti ampliativi della posizione giuridica dei terzi in materia urbanistico/edilizia presuppone l'allegazione e la dimostrazione di un concreto pregiudizio che quel provvedimento reca alle facoltà dominicali del ricorrente”;
x3) l’Adunanza plenaria 8 gennaio 1966, n. l (in Foro it., vol. 89, n. 2 - febbraio 1966 - pag. 75/76-81/82), citata nella decisione in commento, aveva affermato il principio della inammissibilità del ricorso contro una licenza edilizia (altrui), per violazione delle prescrizioni del piano regolatore che vincola la zona a verde pubblico, ove l’attuazione della prescrizione fosse in linea di fatto divenuta impossibile;
y) sul tema della legittimazione delle associazioni e dei gruppi si veda Cons. Stato, Ad. plen, 20 febbraio 2020, n. 6 (in Foro it., 2020, III, 289 con nota di TRAVI, nonché oggetto della News US n. 27 del 13 marzo 2020), citata nella decisione in commento, secondo cui “gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l'azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un'espressa previsione di legge in tal senso”.
L'adunanza plenaria afferma che le associazioni esponenziali sarebbero «titolari» in senso tecnico degli interessi diffusi negli ambiti corrispondenti: tali interessi non sarebbero più semplicemente «adespoti», secondo una terminologia spesso utilizzata per gli interessi ambientali, ma diventerebbero «personali» dell'associazione, una volta che essa abbia acquisito i tre requisiti citati. Tale decisione affianca la legittimazione delle associazioni e dei gruppi a quella molecolare dei singoli, ed evidenzia il ruolo “suppletivo” che le associazioni portatrici di interessi superindividuali – in questo agevolate anche dalle norme di derivazione europea - sono venute svolgendo, prima nella giurisprudenza e in seguito nella legislazione nazionali;