ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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L'Adunanza Plenaria si esprime sul rapporto intercorrente tra Commissario ad acta ed amministrazione soccombente e definisce il valore degli atti emanati da entrambi i soggetti.

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Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. del 25 maggio 2021, n. 8.

la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso la decisione sui medesimi quesiti a questa Adunanza Plenaria, perché possano essere definiti i seguenti punti di diritto:

a) “se la nomina del commissario ad acta (disposta ai sensi dell’art. 117, comma 3, c.p.a.) oppure il suo insediamento comportino – per l’amministrazione soccombente nel giudizio proposto avverso il suo silenzio - la perdita del potere di provvedere sull’originaria istanza, e dunque se l’amministrazione possa provvedere tardivamente rispetto al termine fissato dal giudice amministrativo, fino a quando il commissario ad acta eserciti il potere conferitogli (e, nell’ipotesi affermativa, quale sia il regime giuridico dell’atto del commissario ad acta, che non abbia tenuto conto dell’atto tardivo ed emani un atto con questo incoerente)”;

b) “per il caso in cui si ritenga che sussista – a partire da una certa data – esclusivamente il potere del commissario ad acta, quale sia il regime giuridico dell’atto emanato tardivamente dall’amministrazione”. La Sezione remittente sottopone inoltre alla valutazione di questa Adunanza Plenaria se, per la soluzione dei quesiti, “occorra affrontare anche le questioni che possono sorgere quando la nomina del commissario ad acta sia disposta non con una sentenza che si sia pronunciata sul silenzio dell’amministrazione, ma con una sentenza di cognizione (anche di annullamento dell’atto impugnato) resa ai sensi dell’art. 34, co. 1, lett. e), o con una sentenza resa nell’esercizio della giurisdizione N. 00019/2020 REG.RIC.A.P. di merito ai sensi dell’art. 114, co. 4, lett. d), del codice del processo amministrativo”.

La Sezione remittente sottopone inoltre alla valutazione di questa Adunanza Plenaria se, per la soluzione dei quesiti, “occorra affrontare anche le questioni che possono sorgere quando la nomina del commissario ad acta sia disposta non con una sentenza che si sia pronunciata sul silenzio dell’amministrazione, ma con una sentenza di cognizione (anche di annullamento dell’atto impugnato) resa ai sensi dell’art. 34, co. 1, lett. e), o con una sentenza resa nell’esercizio della giurisdizione di merito ai sensi dell’art. 114, co. 4, lett. d), del codice del processo amministrativo”.

L’ordinanza di rimessione si pone, innanzi tutto, il problema “se, nel regime giuridico attuale, sia possibile individuare una disciplina unitaria, composta da principi e regole comuni, per il commissario ad acta, in relazione alle diverse tipologie di giudizi nei quali esso è nominato (giudizio di ottemperanza, giudizio sul silenzio e giudizio cautelare)”. Quanto agli specifici quesiti sottoposti a questa Adunanza Plenaria, l’ordinanza richiama i diversi orientamenti giurisprudenziali in materia: - innanzi tutto, un risalente orientamento, secondo il quale il potere – dovere dell’amministrazione di dare esecuzione alla pronuncia verrebbe meno già dopo la nomina del commissario ad acta; - altro orientamento ritiene che il cd. esautoramento dell’organo inottemperante si verificherebbe solo con l’operatività dell’investitura commissariale ovvero dopo il suo “insediamento”, che attuerebbe il definitivo trasferimento del munus pubblico dall’ente che ne è titolare per legge a quello che ne diviene titolare in ragione della sentenza del giudice amministrativo; - un ulteriore orientamento, in base al quale la competenza commissariale rimane concorrente con quella dell’amministrazione, che continua ad operare nell’ambito delle attribuzioni che la legge le riconosce e che non prevede siano estinte con l’insediamento del commissario. L’ordinanza ricorda, inoltre, che i primi due orientamenti sopra riportati considerano “nulli” gli atti adottati dall’amministrazione, mentre il terzo orientamento ritiene legittimo – ovviamente, in relazione allo specifico profilo inerente al potere di emanarlo – l’atto adottato dall’amministrazione dopo la nomina e/o insediamento del commissario ad acta. Il giudice rimettente, con una pluralità di argomentazioni, propende per la tesi della conservazione del potere in capo all’amministrazione, affermando (pag. 13) che “salva una diversa, chiara ed univoca statuizione del giudice che ha nominato il commissario, l’organo istituzionalmente competente possa e debba provvedere”, potendosi risolvere ogni eventuale divergenza o mancanza di collaborazione tra amministrazione e commissario ad acta “mediante la richiesta di chiarimenti al giudice amministrativo”. In questi sensi, “non si pone alcuna questione di validità dei provvedimenti e degli atti emanati dall’amministrazione, dopo la nomina o l’insediamento del commissario ad acta” (pag. 14). Allo stesso tempo, l’ordinanza pone il problema del “regime giuridico degli atti adottati dal commissario ad acta dopo che il Comune ha provveduto”. 3. Dopo il deposito effettuato dalle parti di memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

A seguito di elaborato ragionamento l'Adunanza Plenaria ha articolato le seguenti risposte:

a) gli atti emanati dall’amministrazione, pur in presenza della nomina e dell’insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati affetti da nullità, poiché essi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l’insediamento del commissario medesimo. Tali atti potranno essere, ricorrendone le condizioni, dichiarati nulli dal giudice per la diversa ipotesi di violazione o elusione del giudicato (art. 21-septies, l. n. 241/1990), ovvero annullati perché ritenuti illegittimi all’esito di domanda di annullamento in un ordinario giudizio di cognizione, ma non possono in ogni caso essere considerati emanati in difetto assoluto di attribuzione e, per questa ragione, ritenuti affetti da nullità;

b) il commissario ad acta nominato dal giudice potrà esercitare il proprio potere fintanto che l’amministrazione non abbia eventualmente provveduto. Qualora persista il dubbio del commissario in ordine all’esaurimento del proprio potere per intervenuta attuazione della decisione (poiché, ad esempio, questa è reputata dal commissario parziale o incompleta), lo stesso potrà rivolgersi al giudice che lo ha nominato, ai sensi dell’art. 114, co. 7 c.p.a.;

c) gli atti emanati dal commissario ad acta, non essendo espressione di potere amministrativo, non sono annullabili dall’amministrazione in esercizio del proprio potere di autotutela. Qualora l’amministrazione intenda dolersi di tali atti (ritenendoli illegittimi ovvero non coerenti con il comando contenuto nella decisione del giudice), potrà esclusivamente rivolgersi al giudice dell’ottemperanza, ai sensi dell’art. 114, co. 6, c.p.a., ovvero al giudice del silenzio, ai sensi dell’art. 117, co. 4, c.p.a.;

d) qualora il commissario ad acta adotti atti dopo che l’amministrazione abbia già provveduto a dare attuazione alla decisione, gli stessi sono da considerarsi inefficaci e, ove necessario, la loro rimozione può essere richiesta da chi vi abbia interesse al giudice dell’ottemperanza o del giudizio sul silenzio. Allo stesso modo deve concludersi per la speculare ipotesi di atti adottati dall’amministrazione dopo che il commissario abbia provveduto.