Ultimissime

La Corte Costituzionale dichiara la legittimità del divieto di porto d’armi se vi è una condanna per furto, così come previsto dal TULPS, anche in caso di riabilitazione, senza nessun margine discrezionale per la p.a.
Corte Cost., Sent. n. 109 del 9.5.2019
La Corte di legittimità, con la Sentenza n. 109 del 9 maggio 2019, decidendo in tema di divieto di porto d’armi in costanza di un sentenza di condanna per furto, ha ripreso la precedente decisione n. 440 del 1993 stabilente che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il “buon uso” delle armi stesse».
Ha continuato, poi, affermando, proprio in ragione dell’inesistenza nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, che deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica (su tale dovere, ex plurimis, sentenze n. 115 del 1995, n. 218 del 1988, n. 4 del 1977, n. 31 del 1969 e n. 2 del 1956): beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi.
Ha stabilito, perciò, che non può ritenersi manifestamente irragionevole una disciplina, pur particolarmente severa, che sancisce un divieto assoluto di concessione della licenza di porto d’armi anche nei confronti di chi sia stato condannato per furto e abbia ottenuto la riabilitazione, dal momento che tale delitto comporta pur sempre una diretta aggressione ai diritti altrui, che pregiudica in maniera significativa la sicurezza pubblica e al tempo stesso rivela una grave mancanza di rispetto delle regole basilari della convivenza civile da parte del suo autore.
La Corte ha precisato, tuttavia, che resta naturalmente libero il legislatore, entro il limite della non manifesta irragionevolezza, di declinare diversamente il bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco, ad esempio attraverso previsioni – come quella introdotta con il già citato d.lgs. n. 104 del 2018, della quale i ricorrenti nei giudizi a quibus potranno ora avvalersi reiterando le rispettive domande alle questure competenti – che attenuino la rigidità della preclusione, allorché sia intervenuta la riabilitazione del condannato.