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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

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Onere della prova nei giudizi su diritti soggettivi che si svolgono davanti al giudice amministrativo. Pronuncia del Consiglio di Stato.

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Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. del 27 luglio 2021, n. 5560.

Nei giudizi su diritti soggettivi che si svolgono davanti al giudice amministrativo, la misura e l’ampiezza dell’onere della prova deve essere valutato caso per caso, avuto riguardo al dato sostanziale della disponibilità o meno delle prove in capo alle parti e, su questa base, tarare e calibrare, in modo assai rigoroso, l’esercizio istruttorio “suppletivo” condotto dal giudice.

Ha ricordato la Sezione che, con riguardo ai poteri istruttori esercitabili dal giudice amministrativo, il legislatore, ai sensi degli artt. 63, 64 e 65 c.p.a., ha recepito il tradizionale indirizzo giurisprudenziale che ha delineato un modello intermedio, tra quello dispositivo puro e quello inquisitorio puro, c.d. dispositivo con metodo acquisitivo, in cui l’onere della prova si attenua nel più sfumato onere del principio di prova, con la conseguenza che il giudice esercita un potere di soccorso della parte che non è in grado, senza colpa, di fornire la prova dei fatti dedotti, pur potendo fornire un “principio di prova”.

E’ altresì noto che la ragione di tale modello istruttorio riposa sulla necessità di riequilibrare la posizione di sostanziale disparità tra le parti del giudizio, essendo evidente come, nel processo amministrativo impugnatorio per la tutela di interessi legittimi, la posizione processuale della parte privata, nell’accedere alla documentazione rilevante, risenta della condizione di sostanziale inferiorità rispetto alla pubblica amministrazione, con la conseguente necessità dell’intervento in soccorso da parte del giudice amministrativo (artt. 64, comma 3, e 65, commi 1 e 3, c.p.a.).

A differenza dell’art. 2697 c.c., dall’art. 64, comma 1, c.p.a. si ricava una correlazione - tipica del processo amministrativo - tra onere della prova e disponibilità della prova stessa: l’onere della prova cioè sussiste nei limiti della disponibilità e non oltre: il criterio di riparto dell’onere probatorio non è individuato in ragione di uno schema precostituito ed astratto, incentrato sulla valenza dei fatti (costitutiva, ovvero modificativa o estintiva), ma secondo un criterio flessibile ispirato al principio di vicinanza della prova, di modo che – qualora il privato ricorrente non sia nella disponibilità della prova – venga sollevato dal relativo onere, che verrà addossato sulla pubblica amministrazione, la quale dovrà depositare gli atti che siano nella sua disponibilità (art. 64, comma 3, c.p.a.).

Sulle parti grava comunque l’onere di allegare i fatti da provare, e dunque di circoscrivere non solo il thema decidendum, ma anche il thema probandum: è massima consolidata quella secondo cui, sebbene, in tema di prova, il processo amministrativo impugnatorio non sia retto dal principio dispositivo pieno, tuttavia l’attività istruttoria d’ufficio del giudice presuppone quanto meno l’allegazione dei fatti da provare, ad opera delle parti, in maniera sufficientemente circostanziata e precisa; permane in sostanza l’onere del principio di prova e l’attività istruttoria che può svolgere il giudice amministrativo ha carattere complementare ed integrativo, mai invece sostitutivo della parte rimasta colpevolmente inerte.

Nei contenziosi vertenti su diritti soggettivi rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – ove viene in luce uno stretto intreccio fra rapporto paritario e rapporto autoritativo – le regole processuali in materia di poteri istruttori del giudice amministrativo restano identiche: tuttavia nelle liti sui diritti soggettivi, l’onere del principio di prova va valutato con particolare rigore, in relazione ai fatti che rientrano nella disponibilità della parte attrice (sia essa pubblica o privata).

Si deve, infatti, considerare che le norme del processo amministrativo, relative ai poteri istruttori d’ufficio del giudice (artt. 63, 64 e 65 c.p.a.), non distinguono tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione esclusiva, essendo pertanto in astratto applicabili ad entrambi i tipi di giurisdizione; d’altro canto, nel processo civile, non sono esclusi poteri istruttori d’ufficio anche in relazione ai diritti soggettivi (emblematico è il processo del lavoro).

Il giudice amministrativo, nel suo prudente apprezzamento, deve da un lato rispettare il principio della parità delle parti, dall’altro lato – come visto - deve considerare che la ratio della sua iniziativa istruttoria è quella di colmare situazioni effettive di disparità tra le medesime parti, per venire in soccorso di quella parte che, pur con la dovuta diligenza, non è riuscita ad avere la disponibilità delle prove: sicché se deve ammettersi, in astratto, la possibilità di esercizio da parte del giudice amministrativo di poteri istruttori d’ufficio anche in relazione a diritti soggettivi, tuttavia tale esercizio deve costituire una extrema ratio.

 In altre parole nei giudizi su diritti soggettivi che si svolgono davanti al giudice amministrativo, la misura e l’ampiezza dell’onere della prova deve essere valutato caso per caso, avuto riguardo al dato sostanziale della disponibilità o meno delle prove in capo alle parti e, su questa base, tarare e calibrare, in modo assai rigoroso, l’esercizio istruttorio “suppletivo” condotto dal giudice.

Analogamente, nel processo su interessi legittimi, si è ad esempio escluso il potere istruttorio d’ufficio da parte del giudice, per la prova di fatti che rientrano nella disponibilità della parte, quale è la prova della qualità di erede ai fini della legittimazione ad agire: il principio dispositivo puro deve trovare integrale applicazione qualora non ricorra quella disuguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato, che giustifica in generale l’applicazione, nel processo amministrativo, del principio dispositivo con metodo acquisitivo.