Ultimissime

Legittimità dell’apposizione del limite di età di 28 anni per l’accesso al concorso da vice ispettori della Polizia di Stato. Pronuncia del Consiglio di Stato.
Consiglio di Stato, Sez. II, sent. del 30 gennaio 2023, n. 1030.
Anche dopo la pronuncia della Corte di giustizia UE del 17 novembre 2022, in causa C-304/21, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione della normativa che fissa in 30 anni il limite massimo di età per l’accesso alla carriera di commissario della Polizia di Stato la scelta del legislatore di imporre il limite di età di 28 anni per l’accesso al ruolo degli ispettori di polizia va ritenuta conforme ai principi eurounitari e costituzionali. La Corte di giustizia UE ha infatti demandato al giudice del rinvio la valutazione in concreto della ragionevolezza e proporzionalità della scelta adottata, avuto riguardo alla specificità del singolo profilo professionale messo a concorso, e nel caso di specie la durata delle procedure selettive in ragione del numero dei partecipanti, ma soprattutto la lunghezza del percorso formativo prima di addivenire alla effettività delle funzioni e la natura prevalentemente operativa delle stesse portano ad escludere una situazione discriminatoria ovvero a giustificarla.
L’art. 2, comma 7, del d.P.R. n. 487 del 1994, che contiene le regole generali delle procedure selettive per l’accesso al pubblico impiego ed ispira la formulazione delle previsioni dei bandi di concorso, risponde ad esigenze di certezza e di par condicio competitorum. Il legislatore ha dovuto individuare un criterio univoco sulla data di possesso dei requisiti, valido in tutti i casi, quello della data di scadenza del termine per presentare la domanda, essendo impensabile che la data certa possa essere quella della pubblicazione del bando con riferimento all’età, mentre possa essere il termine per la presentazione della domanda con riferimento agli altri requisiti, quali il titolo di studio.
La previsione del limite di 28 anni per l’accesso al ruolo degli ispettori di polizia non presenta profili di irragionevolezza in ragione delle
specifiche mansioni richieste a tale tipologia di dipendenti, anche tenendo conto dell’esigenza di garantire un lasso di tempo utile prima del pensionamento. Essa è infatti giustificata, nei limiti della discrezionalità del legislatore, dalle caratteristiche delle funzioni di polizia da svolgere, connotate da «compiti di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica» nonché «di polizia giudiziaria, con particolare riguardo all’attività investigativa», la cui intrinseca operatività resta prevalente e comunque aggiuntiva rispetto a quella più strettamente gestionale e di coordinamento del personale (sul punto v. Cons. Stato, sez. II, ordinanze n. 3576 e 3577 del 1 luglio 2021). Un’attenta analisi della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (attuata in Italia con il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216), esclude infatti le discriminazioni (art. 4, paragrafo 1), laddove «per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato»; le giustifica (art. 6, paragrafo 1) «in ragione dell’età» laddove esse siano «oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari» (v. Corte di giustizia UE del 17 novembre 2022, in causa C-304/21, che ponendosi nel solco delle precedenti pronunce ha ribadito che la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, nello stabilire un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizione di lavoro, osta a una normativa nazionale che prevede la fissazione di un limite massimo di età [nel caso di specie a 30 anni per la partecipazione a un concorso diretto ad assumere commissari di polizia], solo allorché le funzioni effettivamente esercitate dagli stessi non richiedano capacità fisiche particolari o, qualora siffatte capacità fisiche siano richieste, se risulta che una tale normativa, pur perseguendo una finalità legittima, impone un requisito sproporzionato, demandandone la verifica al giudice del rinvio verificare).
Con l’art. 2, comma 7, del d.P.R. n. 487 del 1994, recante le norme per le procedure di accesso al pubblico impiego, il legislatore ha dovuto fare una scelta, quanto alla individuazione della data alla quale i requisiti devono essere posseduti. Essa è stata pertanto fissata in maniera univoca «alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione», così da valere sia
per i requisiti che si conseguono che per quelli che si perdono. Le esigenze di certezza e di par condicio competitorum, infatti, sono garantite non tanto e non solo dalla chiarezza delle regole per l’ammissione al concorso, esplicitate nel bando , ma anche dalla unicità del criterio temporale cui le stesse devono sottostare, essendo impensabile che la data certa per la verifica dei requisiti possa essere collocata al giorno di pubblicazione del bando con riferimento all’età, e differita a quello di scadenza del termine per la presentazione della domanda con riferimento, ad esempio, a un titolo di studio. Il Legislatore, cioè, non potendo avallare una fluttuazione dei termini, ha scelto di declinarli “sacrificando” il candidato che perde la possibilità di accesso per completamento dell’età anagrafica, nel senso chiarito a suo tempo dall’Adunanza plenaria (Ad. plen. 2 dicembre 2011, n. 21), seppure dopo la pubblicazione del bando, ma privilegiando quello che nella vigenza dello stesso ha acquisito i titoli culturali e professionali richiesti.