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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Legittimazione dell’Anac ad agire in giudizio per l'impugnazione dei bandi di gara. Pronunci del TAR Salerno.

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TAR Salerno, Sez. I, sent. del 2 gennaio 2021, n. 1.

Ai sensi dell’art. 211, comma 1 ter, d.lgs. n. 50 del 2016, sussistono i presupposti fondativi della legittimazione ex lege all’impugnazione degli atti di gara da parte dell’Anac che ha emesso un parere motivato segnalando all’Amministrazione le gravi violazioni riscontrate negli atti di gara e, a fronte del rifiuto della stessa Amministrazione di conformare la propria attività al citato parere, impugna gli atti ritenuti illegittimi.

Ha ricordato il Tar che i commi 1 bis e 1 ter dell’art. 211, d.lgs. n. 50 del 2016 legittimano l’Anac ad agire in giudizio “per l'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” ovvero “se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice”; la medesima Autorità, poi, “con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter”.

Con il “Regolamento sull'esercizio dei poteri di cui all'articolo 211, commi1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i.”, approvato il 13 giugno 2018, l’Autorità ha dato attuazione alla citata disposizione, prevedendo, in relazione all’art. 211, comma 1 bis: all’art. 3 la contestazione dei contratti di rilevante impatto, in particolare di quelli che riguardano, ancorché potenzialmente, un ampio numero di operatori; all’art. 4 l’impugnazione degli atti amministrativi di carattere generale, quali le determine a contrarre, i bandi e i capitolati speciali di appalto; in relazione all’art. 211, comma 1 ter; all’art. 6 la contestazione delle gravi violazioni delle norme in materia di contratti pubblici, tassativamente indicate al comma 2 del medesimo articolo, che include il caso del “bando o altro atto indittivo di procedure ad evidenza pubblica che contenga clausole o misure ingiustificatamente restrittive della partecipazione e, più in generale, della concorrenza”; all’art. 7 l’impugnazione degli atti amministrativi di carattere generale, quali le determine a contrarre, i bandi e i capitolati speciali di appalto.

Come affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 6787 del 2020 “In entrambe le ipotesi, la motivazione della decisione dell’Autorità di agire in giudizio deve rendere conto della sussistenza dei presupposti ricavabili dall’art. 211 del Codice dei contratti pubblici e, nei termini in cui siano conformi, dalle disposizioni regolamentari citate, dalle quali, peraltro, non si evincono ulteriori elementi cui sia condizionato l’esercizio del potere di azione attribuito all’ANAC”.

Nel caso di specie l’Autorità fa valere l’illegittimità della procedura e di singole clausole in relazione alla qualificazione della Asmel Consortile e al ruolo svolto dalla stessa nell’ambito della gara, alla luce delle disposizioni che disciplinano l’affidamento dei servizi di committenza ausiliari, prestati dall’Asmel in relazione alla procedura in questione sulla base di un corrispettivo che si assume illegittimamente posto a carico dell’aggiudicatario con una alterazione della concorrenza. L’Autorità fa valere quindi violazioni gravi delle regole della concorrenza nell’ambito del mercato dei servizi di committenza ausiliari e dello specifico mercato a cui attiene l’oggetto della procedura. Infatti l’individuazione dei soggetti ammessi a svolgere le attività di committenza ausiliarie attiene al più ampio assetto del mercato relativo a tali attività, nell’ambito del quale le modalità di affidamento sono determinate in considerazione anche della qualità rivestita dall’affidatario; allo stesso modo l’imposizione di specifici oneri a carico dei concorrenti e dell’aggiudicatario incide sulla partecipazione alla specifica procedura.

Ricorrono pertanto i presupposti previsti dall’art. 211, comma 1 ter, del d.lgs. n. 50/216 e dal relativo Regolamento, che legittimano l’Autorità alla contestazione degli atti della procedura.

In ogni caso occorre rilevare che l’art. 211 del già citato decreto conferisce all’ANAC un’ampia legittimazione ad agire contro le violazioni delle disposizioni in materia di contratti pubblici che, disciplinando procedure competitive volte all’affidamento di tali contratti e all’attribuzione dei benefici da questi derivanti, sono peraltro di per sé in grado di incidere in maniera diretta o indiretta e comunque rilevante su profili relativi alla partecipazione e alla concorrenza.

Tale legittimazione, attribuita direttamente dalla legge, è volta infatti ad assicurare tutela agli interessi particolari e differenziati, eppure pubblici, di cui l’Autorità è portatrice, legati alla corretta applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici e, di conseguenza, alla piena ed effettiva realizzazione degli obiettivi posti dal legislatore con la citata disciplina, consentendo alla stessa di agire al fine di ristabilire la legalità violata (con una particolare configurazione, quindi dell’interesse ad agire) a prescindere dall’iniziativa di singoli concorrenti che lamentino una lesione diretta e immediata della loro sfera giuridica.

Come affermato infatti dalla già citata pronuncia del Consiglio di Stato, “La legittimazione a ricorrere attribuita per legge all’Anac si inserisce nel solco di altre fattispecie di fonte legislativa che in passato hanno riconosciuto alle autorità indipendenti il potere di agire in giudizio (si possono richiamare l’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 per l’AGCM; e, più recentemente, l’art. 36, comma 2, lett. m) e n), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per l’Autorità di regolazione dei trasporti; per altre ipotesi si rinvia a Cons. Stato, Ad. plen., n. 4 del 2018, al punto 19.3.4.) e non può essere qualificata nemmeno come legittimazione straordinaria o eccezionale rispetto al criterio con cui si identifica la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad agire o a ricorrere, ossia il collegamento dell’interesse a ricorrere con la titolarità (o l’affermazione della titolarità) di un interesse tutelato dall’ordinamento sul piano sostanziale. Collegamento soggettivo che, nel caso di specie, si instaura senz’altro tra l’Autorità e gli interessi e funzioni pubbliche che la legge affida alla sua cura; questi non hanno ad oggetto la mera tutela della concorrenza nel settore [concorrenza per il mercato], ma sono più in generale orientati - per scelta legislativa e configurazione generale di questa Autorità, come ricavabile dalle sue molte funzioni - a prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici (tanto che la norma primaria dice solo che la ragione dell’azione sta nella violazione de «le norme in materia di contratti pubblici»), anche indipendentemente da iniziative o interessi dei singoli operatori economici o dei partecipanti alle procedure di gara (il cui interesse è piuttosto individuale, non generale come quello curato dall’Anac, ed è diretto al bene della vita connesso all’aggiudicazione, sicché esso - soprattutto nella fase della indizione della gara - non sempre coincide con gli interessi curati dall’Anac, come sopra ricordato: cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2018 cit., al punto 19.3.5.).

L’Anac, pertanto, è titolata a curare anche in giustizia, seppure nei termini generali e nelle forme proprie del processo amministrativo, gli interessi e le funzioni cui è preposta dalla legge e sintetizzate dai precetti di questa: perciò le è consentito (anche) di agire in giudizio seppur nei limiti segnati dall’art. 211 e dal suo regolamento (così anche la citata pronuncia della Adunanza Plenaria, n. 4 del 2018, che - pur qualificando il potere di agire ex art. 211 cit. come un caso di «legittimazione processuale straordinaria» - precisa che «la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 [non] si muove nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse […] a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge»)”.

Il parere reso dall’Autorità, poi, sollecita l’eliminazione delle violazioni riscontrate ma non costituisce strumento di autotutela né vincola la Stazione appaltante all’esercizio di poteri di autotutela; afferma infatti la già citata pronuncia del Consiglio di Stato che il parere di cui all’art. 211, comma 1 ter, d.lgs. n. 50 del 2016 “non è riconducibile all’ambito degli strumenti di autotutela, posto che non ha natura vincolante per l’amministrazione destinataria e nemmeno crea un obbligo di agire in autotutela e in conformità al suo contenuto (come, invece, prevedeva l’art. 211, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, per la «raccomandazione vincolante» dell’Anac, al cui mancato adeguamento seguiva l’applicazione di una sanzione pecuniaria: disposizione abrogata dall’art. 123, comma 1, lett. b), del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56).

Non si può assumere, quindi, che quel parere costituisca l’atto di avvio di un procedimento di riesame in autotutela da parte della stazione appaltante, con le conseguenze che – quanto a disciplina della fattispecie e, in specie, necessaria valutazione degli interessi coinvolti - deriverebbero da tale premessa (si osservi che il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, n. 1119 del 26 aprile 2018, reso sullo schema di regolamento per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 211 cit., qualifica il parere di cui al comma 1-ter come atto «privo di natura provvedimentale, trattandosi di un atto di sollecitazione all’eventuale autonomo esercizio del potere di autotutela da parte della stazione appaltante […]»: punto III.3.2.)”.

Inoltre, l’esercizio del potere di ritiro da parte della Stazione appaltante sembra prescindere, nel caso previsto dall’art. 211, comma 1 ter, da una specifica valutazione circa la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, configurandosi come un potere di autotutela sui generis strettamente collegato al potere dell’Autorità di settore di rilevare la violazione della disciplina ad esso relativa e di ricorrere avverso gli atti di gara.

In ogni caso l’impugnazione proposta dall’Autorità è rivolta nei confronti degli atti della procedura e non della decisione della Stazione appaltante di non procedere al ritiro degli stessi nell’esercizio del potere di autotutela, che funge semplicemente da presupposto ulteriore della legittimazione dell’Autorità alla impugnazione dei provvedimenti. Infatti qualora l’Amministrazione decidesse, attenendosi al parere formulato dall’Autorità, di eliminare i vizi da questa riscontrati, la citata Autorità non avrebbe ragione di impugnare gli atti della procedura.