Ultimissime

Interdittiva antimafia e tutela dell’economia e della concorrenza da infiltrazioni della criminalità organizzata.
TAR Campania - Napoli, Sez. I, sent. 24 gennaio 2020, n. 345
L'interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa.
L’informativa interdittiva antimafia è una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento dell’amministrazione pubblica: nella sostanza, essa comporta che l’autorità prefettizia escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – possa considerarsi affidabile e instaurare rapporti contrattuali con enti pubblici ovvero essere destinatario di titoli abilitativi individuati dalla legge.
L’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste.
Ai fini dell'interdittiva antimafia, la Pubblica Amministrazione può dare rilievo ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari — che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose -laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del « più probabile che non », che l'impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto: nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, infatti, all'interno della famiglia si può verificare una « influenza reciproca » di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch'egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l'influenza del “capofamiglia” e dell'associazione.
Hanno dunque rilevanza, circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, quali, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo la Pubblica Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l'esistenza — su un'area più o meno estesa — del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito)