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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Il Consiglio di Stato sulle pratiche commerciali scorrette e il riparto di competenza tra Autorità antitrust e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

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Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 7296 del 25 ottobre 2019.

Il riparto di competenze tra Autorità garanza della concorrenza e del mercato in materia di pratiche commerciali scorrete e Autorità indipendente di settore deve essere definito sulla base non dei criteri, di matrice penalistica, di specialità o assorbimento ma del criterio autonomo di incompatibilità; la regola generale, pertanto, è rappresentata dalla competenza esclusiva dell’Autorità antitrust, potendosi configurare la competenza delle Autorità di settore soltanto nel caso in cui le norme di regolazione contengano profili di disciplina incompatibili con quelle previste dalle norme generali in materia di pratiche commerciali scorrette.

 Ha ricordato la Sezione che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenze 11 maggio 2012, nn. 11-13 e nn. 15-16) si è occupata del rapporto tra la normativa generale relativa alle pratiche commerciali scorrette e la normativa di settore relativa alle comunicazioni elettroniche.

L’Adunanza plenaria ha ritenuto che l’espressione «contrasto» tra la normativa sulle pratiche commerciali scorrette e quella di settore, contenuta nel riportato art. 19 del Codice consumo, ai fini della individuazione dei casi in cui trova applicazione quest’ultima, non deve essere intesa come «vera e propria antinomia normativa» ma come «diversità di disciplina».

Ne è conseguito, secondo la Plenaria, che il criterio per individuare la disciplina applicabile deve essere quello di specialità di cui all’art. 15 cod. pen..

Tale norma prevede che «quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito».

Successivamente la stessa Adunanza plenaria (9 febbraio 2016, n. 3), richiamando ancora una volta concetti penalistici, ha fatto applicazione del criterio dell’assorbimento o della consunzione.

Nel diritto penale i sostenitori della cd. teoria pluralistica ritengono che non sia possibile risolvere il concorso apparente di norme in applicazione del solo criterio dell’art. 15 cod. pen.

È stato elaborato, tra gli altri, il criterio dell’assorbimento o della consunzione secondo il quale la commissione di un reato comporta, normalmente, la commissione di un secondo reato, con la conseguenza che il primo assorbe l’intero disvalore del fatto concreto. Si inserisce in questo ambito anche la cd. progressione criminosa che postula l’esistenza di condotte che realizzano lesioni di crescente gravità del medesimo bene giuridico.

Applicando questo criterio penalistico nella materia in esame, la Plenaria ha ritenuto che il concorso di norme dovesse essere risolto in favore della disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette.

In questa prospettiva, l’espressione «aspetti specifici» delle pratiche commerciali scorrette, contenuta nell’art. 19, comma 3, cod. cons., deve essere riferita alla fattispecie concreta.

Questo allontanamento dalla fattispecie astratta comporta che la fattispecie concreta disciplinata dalla normativa di settore, pur presentando un disvalore “omogeno” rispetto alla fattispecie concreta disciplinata dalla normativa generale, non necessariamente debba essa qualificata come pratica commerciale scorretta. In altri termini, l’impiego di questa tecnica, ancorata non alla norma ma alla condotta concreta, non fornisce elementi di certezza ma necessariamente demanda ad una indagine casistica.

In definitiva, l’Adunanza Plenaria del 2016, applicando il criterio di specialità per fattispecie concrete e non per settori, è giunta ad un risultato opposto a quello cui erano pervenute le sentenze del 2012, ritenendo che la competenza debba essere riconosciuta all’Autorità antitrust.

Ancora successivamente, in una terza fase, a seguito del rinvio pregiudiziale disposto da questa Sezione, è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea (sez. II, sentenza 13 settembre 2018, n. 54).

La Corte ha affermato che la nozione di «contrasto» denota «un rapporto tra le disposizioni cui si riferisce che va oltre la mera difformità o la semplice differenza, mostrando una divergenza che non può essere superata mediante una formula inclusiva che permetta la coesistenza di entrambe le realtà, senza che sia necessario snaturarle». Ne consegue che «contrasto» sussiste unicamente quando «disposizioni estranee» alla direttiva n. 29 del 2005, disciplinanti «aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali», impongono «ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili» con quelli stabiliti dalla suddetta direttiva.

Da quanto esposto risulta come il Giudice Europeo ritiene che il criterio di risoluzione di una possibile concorrenza di norme che disciplinano la condotta contestata sia costituito non dal “criterio di specialità” ma dal “criterio di incompatibilità”.

La Corte di Giustizia decreta, pertanto, l’abbandono dei criteri di matrice penalistica che sono poco compatibili con la natura delle regole di condotta contemplate nei due settori. Queste, come già sottolineato, essendo espressione del principio di buona fede e demandando al caso concreto la loro completa tipizzazione, non si prestano ad un confronto astratto mediante comparazione delle fattispecie.

In questa prospettiva, l’espressione «aspetti specifici» della pratica commerciale scorretta impone un confronto non tra interi settori o tra fattispecie concrete, ma tra singole norme generali e di settore, con applicazione di queste ultime soltanto qualora esse contengano profili di disciplina incompatibili con quelle generali di disciplina delle pratiche commerciali scorrette. Ne consegue che la normativa di settore non disciplinerà pratiche commerciali scorrette, ma condotte che presentano aspetti di divergenza radicale con tali pratiche.

In definitiva, alla luce di quanto affermato dalla Corte di Giustizia, la regola generale è che, in presenza di una pratica commerciale scorretta, la competenza è dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La competenza delle altre Autorità di settore è residuale e ricorre soltanto quando la disciplina di settore regoli «aspetti specifici» delle pratiche che rendono le due discipline incompatibili.