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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

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Il Consiglio di Stato si esprime sulla definizione di microimpresa, piccola e media impresa (art. 3 D.Lgs. n. 50/2016).

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Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. del 2 settembre 2022 n. 7667.

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera aa), del d.lgs. n. 50 del 2016, per microimprese, piccole e medie imprese devono intendersi: «le imprese come definite nella Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003. In particolare, sono medie imprese le imprese che hanno meno di 250 occupati e un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro; sono piccole imprese le imprese che hanno meno di 50 occupati e un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro; sono micro imprese le imprese che hanno meno di 10 occupati e un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro».

Il legislatore ha considerato rilevanti per la qualificazione giuridica di ‘PMI’ gli indici elencati nell’art. 2 dell’allegato alla citata Raccomandazione ‒ segnatamente, quelli occupazionale e del fatturato annuo, ovvero, in alternativa, del bilancio ‒ senza distinguere ai fini del calcolo dei predetti indici tra «impresa autonoma», «impresa associata» e «impresa collegata» (come invece si fa nel successivo art. 3 dell’allegato alla Raccomandazione), e senza neppure richiamare l’art. 6 dello stesso allegato, relativo alla determinazione dei dati dell’impresa.

La lettera della disposizione è chiara in tal senso: viene richiamata genericamente la definizione di “microimprese, piccole e medie imprese” riportata nella Raccomandazione relativa alla definizione delle micro-imprese, piccole e medie imprese, per poi specificare in modo puntuale («In particolare, sono medie imprese […]») gli indicatori necessari e sufficienti ai fini della qualificazione delle ‘PMI’ (effettivi, dati di bilancio e fatturato) e senza attribuire alcuna rilevanza giuridica ad eventuali forme di controllo o di collegamento con soggetti estranei alla gara ai fini dell’imputazione dei predetti criteri dimensionali.

La voluntas legis di non operare un richiamo all’intero portato della Raccomandazione n. 2003/361/CE ‒ recependo sì la tipologia di ‘soglie’ ma da imputarsi alla comune nozione giuridica di impresa giuridicamente autonoma, al fine probabilmente di facilitare maggiormente l’accesso delle PMI alle procedure di gara ‒ non contrasta con il primato delle fonti del diritto dell’Unione. La Raccomandazione è, infatti, un atto cui difetta un’efficacia precettiva diretta, generale ed erga omnes, consistendo, come è noto, in un’esortazione a tenere un certo comportamento suggerito, senza neppure obbligo di risultato (l’art. 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea recita: «[…] Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti»).

La stessa Raccomandazione in commento prevede poi, nella sua stessa formulazione, significativi margini di flessibilità: prevedendo che le soglie indicate all’art. 2 dell’allegato «costituiscono valori massimi» (potendo gli Stati membri «stabilire, in taluni casi, soglie inferiori»); ovvero facendo salva la possibilità di «impiegare unicamente il criterio degli effettivi per l’attuazione di determinate politiche, eccetto nei settori disciplinati dalle varie normative in materia di aiuti pubblici».

Del resto, anche sul piano dell’inquadramento sistematico, non può parlarsi di una scelta normativa incoerente: il Codice dei contratti pubblici, al fine della verifica dei requisiti generali e speciali, considera di norma quelli posseduti dalla singola impresa partecipante e non quelli, eventualmente maggiori, facenti capo ad imprese collegate o controllate, salvo ovviamente il ricorso all’avvalimento o al raggruppamento di imprese.