Ultimissime

Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo Schema di decreto legislativo sul riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate.
Consiglio di Stato, Sez. Consultiva per gli Atti Normativi, parere del 13 novembre 2019
NUMERO AFFARE 01447/2019
OGGETTO: Presidenza del Consiglio dei Ministri. Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dell’articolo 1, commi 2, lettera a), 3, 4 e 5, della Legge 1 dicembre 2018, n. 132;
LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con nota prot. n. 2044 del 30 settembre 2019, con la quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto in oggetto;
esaminati gli atti e udito i relatori, consiglieri Vincenzo Neri e Daniele Ravenna;
Premesso
1. Con nota 30 settembre 2019, prot. n. 2044, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dell’articolo 1, commi 2, lettera a), 3, 4 e 5, della Legge 1 dicembre 2018, n. 132.
Riferisce l’Amministrazione che lo schema di decreto legislativo in oggetto:
è stato adottato sulla base della delega contenuta nell’art. 1, co. 2, lett. a), L. n. 132 del 2018, a mente del quale il Governo è delegato ad adottare, entro il 30 settembre 2019, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate nonché correttive del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 94, recante “Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1, comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244”;
è stato perfezionato osservando i princìpi e i criteri direttivi di cui all'art. 1, co. 5, secondo periodo, L. n. 244 del 2012 - che rinviano ai princìpi di cui agli articoli 2, comma 1, e 3, comma 3, della legge 6 marzo 1992, n. 216, al fine di assicurare la sostanziale equiordinazione tra Forze armate e Forze di polizia, a ordinamento militare e civile - nonché i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. legge Madia).
2. Lo schema di decreto è composto di 12 articoli aventi la medesima rubrica delle omologhe disposizioni del decreto di riordino, che trattano, rispettivamente, le seguenti materie:
Articolo 1 Disposizioni comuni a più categorie,
Articolo 2 Disposizioni a regime in materia di ufficiali,
Articolo 3 Disposizioni transitorie in materia di ufficiali,
Articolo 4 Disposizioni a regime in materia di marescialli,
Articolo 5 Disposizioni transitorie in materia di marescialli,
Articolo 6 Disposizioni a regime in materia di sergenti,
Articolo 7 Disposizioni transitorie in materia di sergenti,
Articolo 8 Disposizioni a regime in materia di graduati e truppa,
Articolo 9 Disposizioni transitorie in materia di graduati e truppa,
Articolo 10 Trattamento economico e previdenziale a regime del personale militare,
Articolo 11 Disposizioni di coordinamento, transitorie e finali,
Articolo 12 Copertura finanziaria.
Considerato
3. Per comodità si riportano le disposizioni che riguardano la materia oggetto del presente parere.
In base all’articolo 1, comma 2, lett. a), l. n. 132 del 2018, il Governo è delegato “ad adottare…uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate nonché correttive del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 94” (tale ultimo decreto sempre concernente il riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate).
Per raggiungere tale obiettivo il comma 3 del medesimo articolo 1 stabilisce che “I decreti legislativi di cui al comma 2, lettere a) e b), fermo restando il mantenimento della sostanziale equiordinazione del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia, sono adottati osservando, rispettivamente, i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244, e i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), della legge 7 agosto 2015, n. 124. La rideterminazione delle dotazioni organiche complessive delle Forze di polizia, ivi prevista, è attuata in ragione delle aggiornate esigenze di funzionalità e della consistenza effettiva alla data del 1° gennaio 2019, ferme restando le facoltà assunzionali autorizzate e non esercitate alla medesima data”.
I principi e criteri direttivi, che il Governo delegato deve osservare per conseguire siffatti obbiettivi, sono quelli testualmente individuati:
dall’art. 1, comma 5, secondo periodo, l. n. 244 del 2012, secondo cui: “Una quota parte non superiore al 50 per cento dei risparmi di spesa di parte corrente di natura permanente, di cui all'articolo 4, comma 1, lettere c) e d), della presente legge, anche tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 3, comma 155, ultimo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, è utilizzata per adottare, entro il 1º luglio 2017, ulteriori disposizioni integrative, con le medesime procedure di cui al comma 3 del presente articolo, al fine di assicurare la sostanziale equiordinazione nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 2, comma 1, e 3, comma 3, della legge 6 marzo 1992, n. 216, e dei criteri direttivi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), della legge 7 agosto 2015, n. 124”;
dall'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), della legge 7 agosto 2015, n. 124, secondo cui: “la revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera, tenendo conto del merito e delle professionalità, nell'ottica della semplificazione delle relative procedure, prevedendo l'eventuale unificazione, soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e la rideterminazione delle relative dotazioni organiche, comprese quelle complessive di ciascuna Forza di polizia, in ragione delle esigenze di funzionalità e della consistenza effettiva alla data di entrata in vigore della presente legge, ferme restando le facoltà assunzionali previste alla medesima data, nonché assicurando il mantenimento della sostanziale equiordinazione del personale delle Forze di polizia e dei connessi trattamenti economici, anche in relazione alle occorrenti disposizioni transitorie, fermi restando le peculiarità ordinamentali e funzionali del personale di ciascuna Forza di polizia, nonché i contenuti e i princìpi di cui all'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, e tenuto conto dei criteri di delega della presente legge, in quanto compatibili”;
dall’art. 2, comma 1, l. n. 216 del 1992, secondo cui: “Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare, entro il 31 dicembre 1992, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della difesa, delle finanze, di grazia e giustizia, dell'agricoltura e delle foreste, per la funzione pubblica e del tesoro, un decreto legislativo che definisca in maniera omogenea, nel rispetto dei princìpi fissati dai relativi ordinamenti di settore, stabiliti dalle leggi vigenti, ivi compresi quelli stabiliti dalla legge 11 luglio 1978, n. 382, le procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di polizia anche ad ordinamento militare, ai sensi della legge 1° aprile 1981, n. 121, nonché del personale delle Forze armate, ad esclusione dei dirigenti civili e militari e del personale di leva. Fino alla riforma della contrattazione collettiva del pubblico impiego nulla è innovato per ciò che concerne i dipendenti civili delle amministrazioni”;
- infine, dall’art. 3, comma 3, l. n. 216 del 1992, secondo cui: ”Per le finalità di cui al comma 1, i decreti legislativi potranno prevedere che la sostanziale equiordinazione dei compiti e dei connessi trattamenti economici sia conseguita attraverso la revisione di ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra, anche mediante la soppressione di qualifiche o gradi, ovvero mediante l'istituzione di nuovi ruoli, qualifiche o gradi con determinazione delle relative dotazioni organiche, ferme restando le dotazioni organiche complessive previste alla data di entrata in vigore della presente legge per ciascuna Forza di polizia e Forza armata. Allo stesso fine i decreti legislativi potranno prevedere che: a) per l'accesso a determinati ruoli, gradi e qualifiche, ovvero per l'attribuzione di specifiche funzioni sia stabilito il superamento di un concorso pubblico, per esami, al quale sono ammessi a partecipare candidati in possesso di titolo di studio di scuola media di secondo grado; b) l'accesso a ruoli, gradi e qualifiche superiori sia riservato, fino al limite massimo del 30 per cento dei posti disponibili e mediante concorso interno, per titoli ed esami, al personale appartenente al ruolo, grado o qualifica immediatamente sottostante in possesso di determinate anzianità di servizio, anche se privo del prescritto titolo di studio. Il limite predetto può essere diversamente definito per il solo accesso dai ruoli degli assistenti e degli agenti ed equiparati a quello immediatamente superiore. Con i medesimi decreti legislativi saranno altresì previste le occorrenti disposizioni transitorie”.
4. Si passa ora ad esporre le osservazioni sullo schema di decreto legislativo in generale e sulle specifiche disposizioni da questo introdotte.
4.1. Merita apprezzamento il criterio cui si è conformato il Governo nel predisporre il testo in esame, che si configura essenzialmente in forma di novella al Codice dell’ordinamento militare (d. lgs. 15 marzo 2010, n. 66, di seguito anche “Codice” o “c.o.m.”) e al già ricordato d. lgs. 29 maggio 2017, n. 94, le due fonti normative in cui si trova, sistematicamente ordinata, la disciplina dello status giuridico ed economico del personale delle Forze armate.
In tal modo, operando con il metodo della “ordinaria manutenzione” dei testi normativi, si mantiene nel tempo la validità e l’efficacia della imponente opera di riordino e codificazione a suo tempo effettuata con l’adozione del Codice e del suo regolamento di attuazione (d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246”).
4.2. Per ciò che attiene agli aspetti puramente redazionali, il testo appare complessivamente rispettoso delle regole in materia (in particolare la circolare della Presidenza del Consiglio del 20 aprile 2001 n. 1.1.26/10888/9.92, recante “Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi”); si raccomanda, tuttavia, prima del varo definitivo, un’ulteriore verifica di rispondenza ai criteri redazionali ora menzionati.
4.3. Con riferimento all’articolo 1, comma 1, lett. b), - recante modifiche all’art. 627 attraverso l’introduzione del seguente periodo: “Gli appartenenti al ruolo Sergenti svolgono mansioni esecutive anche qualificate e complesse” - va osservato che, ferma restando la necessità di valutarne l’omogeneità con i compiti previsti per gli analoghi ruoli dei sovrintendenti delle Forze di polizia a ordinamento militare e civile, occorre modificare la collocazione della disposizione. La norma in questione, infatti, non dovrebbe essere inserita nell’art. 627, che si occupa di ordinamento gerarchico del personale (sia in servizio, sia in congedo), ma nell’art. 840 che tratta proprio dei compiti degli appartenenti al ruolo dei sergenti.
4.4. In relazione all’introduzione del comma 1-ter all’interno dell’art. 635, ad opera dell’articolo 1, comma 1, lett. c), la Sezione prende atto favorevolmente dell’introduzione di una disciplina di fonte legislativa, soprattutto allo scopo di limitare la discrezionalità dell’amministrazione e così ridurre la possibilità di contenzioso.
4.5. Passando ora all’esame del comma 2-bis dell’art. 635, introdotto dall’articolo 1, comma 1, lett. c), va rilevato che la norma si presenta opportuna nella sua formulazione di principio ma, a giudizio della Sezione, deve essere modificata.
Ed invero, facendo riferimento all’articolo 530, comma 1, c.p.p., la disposizione in questione distingue tra le sentenze di assoluzione pronunciate ai sensi del comma 1 da quelle, sempre di assoluzione, pronunciate ai sensi del comma 2 (“Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”). Sotto un profilo letterale ciò significa che il militare assolto ai sensi del comma 2 del citato articolo 530 c.p.p. dovrebbe incorrere nella causa di esclusione prevista dalla lettera g-bis), a differenza del collega che è stato assolto ai sensi del primo comma.
Tale regola si presenta errata per due ragioni.
In primo luogo perché, così facendo, reintroduce l’assoluzione per insufficienza di prove che l’attuale codice, in applicazione del principio costituzionale di presunzione di innocenza, ha eliminato. Nella logica accusatoria del codice di procedura penale del 1988, è l’organo dell’accusa che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato superando il dato di partenza fornito dalla presunta innocenza dello stesso. In quest’ottica le risultanze probatorie incomplete o controverse non sono sufficienti alla condanna e devono portare all’assoluzione. Sviluppando tale dato nel 2006, il legislatore ha modificato l’articolo 533 c.p.p. stabilendo che “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”. In altri termini la sentenza deve sempre considerarsi di assoluzione senza distinguere tra primo e secondo comma; spetterà all’amministrazione, invece, nel procedimento disciplinare avviato a seguito dell’assoluzione, valutare la rilevanza dei fatti sotto il profilo disciplinare, evidentemente considerando in modo differente – dopo attenta valutazione della motivazione della sentenza – le ragioni per cui è intervenuta l’assoluzione.
In secondo luogo la previsione non è opportuna perché non sempre il giudice penale nel dispositivo della sentenza di assoluzione specifica se l’assoluzione è avvenuta ai sensi del primo o del secondo comma dell’art. 530 c.p.p.
Per queste ragioni, appare corretto mantenere la regola prevista dal comma 2 bis – che si vuole introdurre – purché venga eliminato il riferimento al comma 1 dell’articolo 530 c.p.p. e rimanga, invece, il richiamo all’articolo 530 c.p.p. per intero. In tal modo l’amministrazione, ricevuta la sentenza di assoluzione, procederà a valutarla nella sede disciplinare in relazione a quanto affermato dal giudice penale nella motivazione, anche a prescindere che si tratti di assoluzione in virtù del primo o del secondo comma.
La Sezione raccomanda, nella redazione delle norme, di tenere in considerazione che il codice di procedura penale nell’ampio genus delle sentenze di proscioglimento fa rientrare tre diverse tipologie di sentenze: quelle di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.), quelle di assoluzione vera e propria (art. 530 c.p.p.) e quelle che dichiarano l’intervenuta estinzione del reato (art. 531 c.p.p.). È opportuno che l’amministrazione differenzi tali ipotesi sia da un punto di vista lessicale sia sotto il profilo delle conseguenze che ne possono derivare nel rapporto di impiego nelle forze armate.
4.6. La modifica del comma 3 dell’art. 858, compiuta dall’articolo 1, comma 1, lett. n), suscita perplessità di ordine formale e sostanziale:
sotto il profilo formale, la disposizione, nella parte in cui fa riferimento a “altre cause stabilite dalla legge”, dovrebbe meglio essere coordinata con gli artt. 625, co. 1, e 2267, co. 2, in considerazione del fatto che tutte le cause di detrazione di anzianità per un militare devono essere previste nel codice dell’ordinamento militare e non dovrebbero trovare collocazione al di fuori di esso;
dal punto di vista sostanziale, la norma potrebbe essere penalizzante per il militare che rientra da una aspettativa per motivi privati, concessa dall’amministrazione solo per valide ragioni di carattere personale o familiare del richiedente.
La Sezione, pertanto, reputa opportuno un approfondimento ulteriore anche allo scopo di individuare soluzioni meglio bilanciate.
4.7. Le modifiche introdotte nell’art. 862 appaiono opportune perché rendono omogenea la disciplina di stato giuridico di tutte le categorie di militari.
È necessario tuttavia che tale modifica venga coordinata con quanto stabilito all’articolo 861, comma 2, che ancora si esprime in questi termini: “Le dimissioni volontarie riguardano soltanto gli ufficiali”. Inoltre, occorre salvaguardare il principio di fondo – elaborato dal diritto vivente (Cons. Stato, Ad. plen., nn. 2 e 4 del 2002; n. 15 del 1999; n. 8 del 1997; sez. VI, n. 2916 del 2011) e cristallizzato nella norma sancita in via generale dall’art. 920, comma 5, del Codice e, come corollario applicativo, dall’art. 1377, comma 5 – per cui gli effetti amministrativi ed economici di un’eventuale sospensione precauzionale dall’impiego, in quanto interinali, devono essere sempre consolidati all’interno di un procedimento disciplinare di stato, onde evitare la restitutio in integrum e un eventuale danno.
4.8. Le modifiche recate all’art. 914, in tema di sospensione dall’impiego a seguito di condanna penale, vanno meglio precisate dal punto di vista lessicale riscrivendo nei termini che seguono la locuzione che l’articolo 1, comma 1, lett. r), vuole introdurre: “, ovvero della pena accessoria dell’interdizione temporanea dei pubblici uffici per tutto il periodo di espiazione della predetta pena accessoria”.
4.9. In tema di transito nell’impiego civile, le modifiche introdotte all’art. 930 dal comma 1-quater potrebbero comportare perplessità applicative, nella parte in cui si stabilisce che il transito nell’impiego civile è non solo impedito, ex nunc, ma anche “annullato” ex tunc al verificarsi delle condizioni elencate; in tal modo si darebbe rilievo ad ipotesi di perdita del grado o di perdita dello stato di militare verificatesi successivamente al transito nell’impiego civile, magari a distanza di anni. Va invece confermata la preclusione al transito stabilita dal comma 1 quater.
Si suggerisce altresì di rinumerare consecutivamente i commi da 1-bis a 1-sexies [oltre che eliminare un refuso nella lettera c) del comma 1-quater] curando la modifica di altre disposizioni che eventualmente a queste si riferiscono.
4.10. Quanto al comma 1-bis dell’articolo 1373, giova formulare alcune considerazioni di carattere preliminare.
L’articolo 1373, come è noto, si occupa della rinnovazione del procedimento disciplinare dopo l’annullamento di uno o più atti del procedimento disciplinare a seguito di autotutela o di giudicato amministrativo o decreto decisorio di ricorso straordinario.
L’istituto trae origine dall’art. 119 d.P.R. n. 3/1957 che, come è noto, stabilisce: “Quando il decreto del Ministro che infligge la sanzione disciplinare sia annullato per l'accoglimento di ricorso giurisdizionale o straordinario e la decisione non escluda la facoltà dell'amministrazione di rinnovare in tutto o in parte il procedimento, il nuovo procedimento deve essere iniziato a partire dal primo degli atti annullati entro trenta giorni dalla data in cui sia pervenuta al Ministero la comunicazione della decisione giurisdizionale ai sensi dell'art. 87 comma primo del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, ovvero dalla data di registrazione alla Corte dei conti del decreto che accoglie il ricorso straordinario od entro trenta giorni dalla data in cui l'impiegato abbia notificato al Ministero la decisione giurisdizionale o lo abbia costituito in mora per la esecuzione del decreto che accoglie il ricorso straordinario.
Decorso tale termine il procedimento disciplinare non può essere rinnovato”.
Sulla base di tale quadro giuridico, occorre dunque distinguere il termine che la legge assegna all’amministrazione per riavviare il procedimento disciplinare – che l’articolo 119 d.P.R. n. 3/1957 individua in trenta giorni e l’articolo 1373 c.o.m. in sessanta giorni – dal termine che l’amministrazione deve rispettare nel momento in cui riavvia il procedimento disciplinare, generalmente a seguito di un annullamento giurisdizionale del procedimento e della sanzione inflitta.
Rispetto a quest’ultimo termine – che in modo atecnico potrebbe essere definito “termine per la prosecuzione del procedimento dopo l’annullamento” – in astratto potrebbero ipotizzarsi tre differenti soluzioni. L’amministrazione, dopo aver riavviato il procedimento disciplinare:
1) nel nuovo procedimento ha un termine esattamente pari a quello che aveva quando ha iniziato il primo procedimento poi annullato;
2) ha un termine nuovo che coincide col termine di conclusione del procedimento amministrativo previsto dall’articolo 2 l. n. 241/1990;
3) deve concludere il nuovo procedimento in un termine pari a quello massimo originariamente previsto, una volta detratto il termine che era già stato consumato nell’originario procedimento sino al primo degli atti annullati.
La soluzione sub 1) non può neppure prospettarsi perché esporrebbe il dipendente, ad ogni riavvio del procedimento disciplinare, ad un nuovo termine che inizia a decorrere nuovamente per intero, magari a distanza di diversi anni.
La soluzione sub 2) non ha un solido fondamento normativo.
La Sezione reputa condivisibile, invece, la soluzione sub 3) perché maggiormente coerente con i principi di carattere generale nonché con la necessità di salvaguardare l’interesse del dipendente a non vedersi esposto alla possibilità di un procedimento disciplinare, con termini che decorrono ex novo ad ogni annullamento giurisdizionale.
In altri termini, annullato il procedimento disciplinare già concluso, l’amministrazione nel termine di sessanta giorni deve valutare se può riavviare il procedimento disciplinare. Dopodiché se il procedimento disciplinare può essere riavviato, allora il nuovo procedimento deve ripartire, in applicazione dei principi generali, dal primo degli atti annullati. Ciò risponde, come detto, ad un principio di carattere generale e conferma la regola che è contenuta sia all’interno dell’articolo 119 d.P.R. n. 3/1957 sia nell’articolo 1373 c.o.m..
Una volta ripreso il procedimento disciplinare, poi, l’amministrazione deve concludere il nuovo procedimento in un termine pari a quello massimo originariamente previsto, una volta detratto il termine che era già stato consumato nel primo procedimento sino al primo degli atti annullati.
Così ricostruito il quadro giuridico, il comma 1-bis risponde certamente alle regole or ora condivise dalla Sezione a condizione che nel primo comma, dopo la locuzione “gli originari termini perentori,” sia inserito l’incidentale “fatto salvo quanto stabilito dal comma 1 bis,”.
4.11. Per quanto concerne le modifiche introdotte negli articoli 1392 e 1393, è necessario formulare qualche considerazione di carattere generale.
L’attuale disciplina stabilita all’art. 1393, comma 1, prevede un’ipotesi di azione disciplinare obbligatoria da parte dell’amministrazione, ogniqualvolta per un identico fatto stia procedendo anche l’autorità giudiziaria (locuzione volutamente ampia che si riferisce sia al pubblico ministero, sia al giudice). Per tale motivo, dopo che il primo periodo del comma 1 dell’art. 1393 stabilisce l’obbligatorietà dell’azione disciplinare, il secondo e terzo periodo dello stesso comma si premurano di definire le eventuali deroghe a tale obbligo:
a) la prima deroga è rimessa ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione (relativa alla complessità dell’accertamento dei fatti e alla mancanza di elementi conoscitivi sufficienti per formulare un atto di contestazione disciplinare), con la possibilità, quindi, da parte dell’amministrazione, di non iniziare il procedimento disciplinare;
b) la seconda deroga è obbligatoria (relativa a procedimenti disciplinari aventi ad oggetto atti e comportamenti posti in essere nell’esercizio delle proprie funzioni), con il dovere dell’Amministrazione di attendere gli esiti definitivi del processo penale.
Con le modifiche proposte nello schema si rende l’azione disciplinare facoltativa (“può essere avviato, proseguito e concluso”) e conseguentemente diventano poco giustificabili le deroghe. Eliminando l’obbligo di procedere in pendenza di procedimento penale, l’amministrazione rimane sempre libera di procedere durante il procedimento penale o a conclusione dello stesso, in quest’ultimo caso nei termini stabiliti per l’esame del giudicato penale.
In altri termini, se si afferma che “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto in tutto o in parte fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, può essere avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale”, non è poi opportuno stabilire che “L’autorità competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto contestato al militare può sospendere il procedimento disciplinare”, perché non si comprende chiaramente la ragione per cui dovrebbe decidere di sospenderlo se non ha l’obbligo di iniziarlo. Inoltre appare del tutto ovvio che “il procedimento disciplinare può essere promosso ovvero riattivato se l’amministrazione viene in possesso di elementi nuovi sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo”.
Per tali motivi la Sezione esprime il parere di eliminare quanto si vuole introdurre con le modifiche di cui all’art. 1392, comma 2-bis e 1393, commi 1 e 1-bis, e di mantenere l’attuale testo.
4.12. Le integrazioni recate al comma 3 dell’art. 1392, in tema di sospensione del procedimento per impossibilità temporanea dell’incolpato di esercitare in modo cosciente e volontario il diritto di difesa, in caso di accertata incapacità psichica o fisica, sono opportune a condizione che:
si stabilisca da quale struttura pubblica ospedaliera possa provenire l’accertamento, escludendo, ad esempio, l’accertamento compiuto dal medico di famiglia;
si preveda quali incapacità, soprattutto di tipo psichico, possano venire in rilievo, scartando, ad esempio, le situazioni di semplice disagio o minore serenità;
si coordini con l’ipotesi in cui venga accertata una situazione irreversibile tale da determinare l’idoneità al servizio militare.
4.13. La Sezione rileva, inoltre, che il comma 3-bis, che si vuole introdurre nell’articolo 1392, delinea una fattispecie molto generica perché prevede un apprezzamento eccessivamente discrezionale dell’amministrazione circa l’esatta valutazione dei fatti recata da un provvedimento giurisdizionale e perché la compiuta ricostruzione dei fatti – con l’acquisizione di elementi istruttori – è rimessa proprio alla fase dell’inchiesta formale, ai sensi dell’art. 1377.
Si suggerisce dunque di eliminare tale disposizione perché la conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione, copre perfettamente ogni esigenza.
4.14. All’articolo 2, comma 1, lett e), occorre sostituire la locuzione “comma 3” con quella più corretta “comma 4”, perché la valutazione “senza demerito” è esclusivamente prevista al comma 4 dell’articolo 678.
4.15. Con riferimento a quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lett. n) – nella parte in cui modifica l’art. 900, comma 1 – giova osservare che la norma, dettando una disciplina transitoria o comunque temporanea, andrebbe inserita nel libro nono, titolo II, capo II, sezione IV, del codice dell’ordinamento militare, dove sono raccolte le disposizioni temporanee e transitorie in materia di stato giuridico del personale militare. Del resto questa è stata la buona prassi seguita in occasione di analoghi interventi integrativi del codice in parte qua.
4.16. In relazione alla introduzione del comma 2-bis nell’art. 1094, ad opera dell’articolo 2, comma 1, lett. aa), si osserva che la norma andrebbe inserita armonicamente nella sede propria, ovvero come lettera autonoma sub art. 801, comma 4, del codice dell’ordinamento militare - Ufficiali in soprannumero agli organici – recante la individuazione e la disciplina di tutti gli ufficiali da collocare in soprannumero.
4.17. L’articolo 4, comma 1, lettera b), numero 1.1), novella l’articolo 682 del Codice (“Alimentazione dei ruoli dei marescialli”). Nel testo attuale, l’articolo 682 in questione, al comma 4, lettera a), numero 3), prevede che al pubblico concorso per il reclutamento nei ruoli dei marescialli [di cui all’articolo 679, comma 1, lettera a)] possano partecipare i giovani che siano in possesso del diploma di corso quinquennale di secondo grado “o lo conseguono nell’anno in cui è bandito il concorso”. La suddetta disposizione dell’articolo 4 in esame intende modificare il predetto testo prescrivendo che, ai fini dell’ammissione al concorso, il predetto diploma debba essere posseduto “entro il termine stabilito dal bando di concorso e comunque non oltre la data di approvazione della graduatoria”. La Sezione ritiene che il predetto diploma debba essere invece posseduto “entro l’anno solare in cui è bandito il concorso o, se successivo, entro il termine previsto dal bando per la presentazione delle domande”.
4.18. L’art. 4, comma 1, lettera d), n. 2, introduce nell’art. 816 del Codice, rubricato “Militari dell'Aeronautica militare”, un comma aggiuntivo 2-bis, concernente le procedure di avanzamento a scelta per il personale appartenente ai ruoli dei marescialli e dei sergenti.
La collocazione sistematica della norma è errata poiché va inserita armonicamente nella sede propria, che potrebbe essere all’interno della Sezione I del Capo XIII del Titolo VII del Libro quarto del Codice (riservata alla disciplina dell’avanzamento e specificamente alle condizioni particolari dell’avanzamento dei sottufficiali).
P.Q.M.
Nelle suesposte considerazione è il parere della Sezione.