ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

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Il CGARS si esprime sull'abuso del rinvio pregiudiziale.

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CGARS,  sent. non def. del 26 aprile 2021, n. 371.

Al fine di reprimere un “abuso del rinvio pregiudiziale”, devono ritenersi inammissibili questioni non pertinenti perché manifestamente irrilevanti per la soluzione del giudizio principale o perché del tutto generali o di natura meramente ipotetica, o comunque ove risulti in modo evidente che la richiesta di interpretazione del diritto dell’Unione non presenta alcun legame concreto con l’oggetto della causa

Non è concepibile, nell’ambito di un corretto andamento processuale ispirato a leale collaborazione dei soggetti del processo, che una questione pregiudiziale, quale può essere la rimessione alla Corte di giustizia Ue, ben sollevabile prima della decisione della causa, venga prospettata solo dopo la decisione – parziale - della causa stessa, ove l’esito della decisione sia considerato non soddisfacente

Ha ricordato la Sezione che Cons. Stato, sez. IV, 7 agosto 2020, n. 4970, ha affermato che la presenza di una “inconferente” e “irrilevante” istanza di rimessione alla Corte di giustizia UE esclude l’obbligo di rinvio pregiudiziale. 

Ha aggiunto che a seguito di ordinanza 5 marzo 2012 n. 1244, con la quale il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte di Giustizia il quesito “se osti o meno all’applicazione dell’art. 267, [comma] 3, TFUE, in relazione all’obbligo del giudice di ultima istanza di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto comunitario sollevata da una parte in causa, un potere di filtro da parte del giudice nazionale in ordine alla rilevanza della questione e alla valutazione del grado di chiarezza della norma comunitaria”, la Corte (con la nota decisione 18 luglio 2013 causa C-136/12, punto 26) ha chiaramente risposto che “dal rapporto fra il secondo e il terzo comma dell’art. 267 TFUE deriva che i giudici di cui al comma terzo dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto dell’Unione onde consentir loro di decidere. Tali giudici non sono, pertanto, tenuti a sottoporre una questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad essi se questa non è rilevante, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della controversia (sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., 283/81). 

Ha ricordato il C.g.a. che secondo la Corte di giustizia UE (10 lugllio 2014 C-213/13) il giudicato nazionale è intangibile, se così stabiliscono le norme processuali interne, e per converso tangibile solo se le norme procedurali interne applicabili glielo consentono. 

In tale ottica, il C.g.a. ha avuto occasione di affermare che la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha ripetutamente precisato che il principio dell’intangibilità del giudicato nazionale è stato assunto anche come principio generale dell’ordinamento giuridico comunitario e che, al di fuori di alcuni casi eccezionali, il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione (sentenza del 3 settembre 2009 su causa C-2/08; cfr. anche sentenza della sez. I, 16 marzo 2006, C-234/04). 

E se anche ci sono limitati spazi per superare un giudicato nazionale in contrasto con il diritto eurounitario, tanto deve ritenersi ammesso quando il contrasto non era denunciabile prima del giudicato, e si manifesta dopo di esso, a causa di sopravvenienze normativa o di una sopravvenuta decisione della Corte di giustizia. 

Non è certo concepibile, nell’ambito di un corretto andamento processuale ispirato a leale collaborazione dei soggetti del processo, che una questione pregiudiziale, ben prospettabile prima della decisione della causa, venga prospettata solo dopo la decisione- parziale- della causa stessa, ove l’esito della decisione sia considerato non soddisfacente. Questo costituisce una singolare inversione dell’ordine logico delle questioni, in cui quelle “pregiudiziali” vanno decise, per definizione normativa e logica, “prima” del “giudizio di merito” e non dopo, al fine di porre nel nulla un giudizio di merito non conforme alle aspettative di parte. ​​​​​​​