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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Criteri applicabili ai fini della concessione della protezione umanitaria nei casi di minaccia grave e individuale alla vita di un civile derivante da situazioni di conflitto armato. Pronuncia della CGUE.

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CGUE, comunciato n. 101 del 10 giugno 2021, sent. nella causa C-901/19 Bundesrepublik Deutschland.

Quando sono investite di una domanda di protezione sussidiaria, le autorità competenti degli Stati membri devono esaminare tutte le circostanze pertinenti che caratterizzano la situazione del Paese d’origine del richiedente per determinare il grado di intensità di un conflitto armato La sistematica applicazione, da parte delle autorità competenti degli Stati membri, di un unico criterio quantitativo, quale una soglia minima di vittime civili, potrebbe escludere persone che hanno effettivamente bisogno di protezione CF e DN, due civili afgani originari della provincia di Nangarhar (Afghanistan), hanno presentato domande di asilo in Germania, presso il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati).

A seguito del rigetto delle stesse, essi hanno adito il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land BadenWürttemberg, Germania) chiedendo che fosse loro concessa la protezione sussidiaria. Detto giudice chiede alla Corte di giustizia chiarimenti in ordine all’interpretazione della direttiva 2011/95 1 relativa alla protezione internazionale dei rifugiati. Si chiede in sostanza alla Corte di chiarire quali siano i criteri applicabili ai fini della concessione della protezione sussidiaria nei casi di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla «violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato». Si tratta di una questione su cui la Corte non ha ancora avuto modo di pronunciarsi espressamente. Inoltre, la giurisprudenza dei vari organi giurisdizionali in tale ambito non è uniforme. Sebbene si sia talvolta proceduto ad una valutazione complessiva sulla base di tutte le circostanze del caso di specie, altri orientamenti si basano su un’analisi fondata essenzialmente sul numero di vittime civili.

Il giudice tedesco è dell’avviso che il suo diritto nazionale subordini necessariamente la constatazione di una minaccia grave e individuale ad una valutazione quantitativa del «rischio di morte e di lesioni», espresso in termini di rapporto tra il numero di vittime nella zona interessata e il numero totale di individui di cui è composta la popolazione di tale zona. Il risultato ottenuto deve obbligatoriamente raggiungere un certo livello minimo. Se detto livello non è raggiunto, non è necessaria alcuna valutazione ulteriore dell’intensità del rischio. Nel caso descritto, una valutazione complessiva delle specifiche circostanze del caso di specie non può condurre a una constatazione di una minaccia grave e individuale. Tuttavia, secondo il giudice stesso, se si procedesse ad una valutazione complessiva che tenga conto altresì di altre circostanze generatrici di rischi, il grado attuale di violenza sussistente nella provincia di Nangarhar dovrebbe essere considerato talmente elevato che CF e DN, i quali non hanno accesso alla protezione all’interno del Paese, subirebbero gravi minacce in ragione della loro semplice presenza nel territorio stesso. Per contro, se l’accertamento dell’esistenza di una minaccia grave e individuale dipendesse principalmente dal numero di vittime civili, le loro domande di protezione sussidiaria dovrebbero essere respinte.

Nella sua odierna sentenza, la Corte dichiara che, nel caso in cui un civile non sia interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, una normativa nazionale secondo cui l’accertamento dell’esistenza di una «minaccia grave e individuale» è subordinato alla circostanza che il rapporto tra il numero di vittime civili e il numero totale di individui nella regione di cui trattasi raggiunga una determinata soglia è incompatibile con la direttiva 2011/95. La Corte rammenta anzitutto che uno degli scopi della direttiva è di assicurare che tutti gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale. Essa precisa a tal proposito che lo status di protezione sussidiaria previsto da tale direttiva dev’essere, in linea di principio, riconosciuto a qualunque cittadino di un Paese terzo o all’apolide che, in caso di rinvio nel suo Paese d’origine o nel Paese della sua residenza abituale, corra un rischio effettivo di subire un grave danno.

La Corte rileva che la constatazione dell’esistenza di una «minaccia grave e individuale» ai sensi della direttiva non è subordinata alla condizione che il richiedente la protezione sussidiaria fornisca la prova di essere specificamente interessato a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Infatti, il termine «individuale» dev’essere inteso nel senso che esso riguarda danni contro civili a prescindere dalla loro identità, qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato raggiunga un livello così elevato che sussistono seri e fondati motivi di ritenere che un civile rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire una minaccia grave. La Corte dichiara che il criterio quantitativo attinente al numero di vittime rispetto al totale della popolazione della regione di cui trattasi contrasta, in primo luogo, con le finalità della direttiva 2011/95 e in particolare con la necessità che tutti gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale. Orbene, l’applicazione sistematica, da parte di uno Stato membro, di un unico criterio quantitativo, come un numero minimo di vittime, può indurre le autorità a negare la concessione della protezione internazionale, in violazione dell’obbligo gravante sugli Stati membri di identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di tale protezione. In secondo luogo, una siffatta interpretazione potrebbe spingere i richiedenti protezione internazionale a recarsi negli Stati membri che non applicano il criterio di una determinata soglia di vittime già accertate o che applicano, al riguardo, una soglia meno elevata, il che potrebbe incoraggiare una prassi di forum shopping volta ad eludere le norme introdotte dalla direttiva 2011/95.

Orbene, ai sensi della direttiva in parola, il ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e al contenuto dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria dovrebbe segnatamente contribuire a limitare il movimento secondario dei richiedenti protezione internazionale tra gli Stati membri, nei casi in cui tale movimento sia dovuto esclusivamente alla diversità dei quadri giuridici nazionali. La Corte dichiara, inoltre, che la nozione di «minaccia grave e individuale» alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria deve essere oggetto di interpretazione estensiva. Pertanto, è richiesto un esame complessivo di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie, in particolare di quelle che caratterizzano la situazione del Paese d’origine del richiedente. Tra tali elementi figurano segnatamente, ai sensi della direttiva, tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda. Più specificamente, possono altresì essere presi in considerazione l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti e la durata del conflitto, quali elementi rilevanti in sede di valutazione del rischio effettivo di un danno grave, come pure altri elementi, quali l’estensione geografica della situazione di violenza indiscriminata, la destinazione effettiva del richiedente in caso di rinvio nel Paese o nella regione di cui trattasi e l’aggressione eventualmente intenzionale nei confronti di civili compiuta dai belligeranti.

Di conseguenza, l’applicazione sistematica, da parte delle autorità competenti di uno Stato membro, di un criterio, come un numero minimo di vittime civili, ferite o decedute, al fine di determinare il grado di intensità di un conflitto armato, senza che siano esaminate tutte le circostanze pertinenti che caratterizzano la situazione del Paese d’origine del richiedente la protezione sussidiaria, è contraria alle disposizioni della direttiva 2011/95 in quanto può indurre dette autorità a negare la concessione della protezione, in violazione dell’obbligo gravante sugli Stati membri di identificare le persone che hanno effettivamente bisogno della protezione stessa.