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Per la Suprema Corte di Cassazione è corretto, ai fini del calcolo I.V.A., il richiamo agli studi di settore.
Corte di Cassazione, III Sez. Penale, sentenza n. 26196 del 2019.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha richiamato il principio, già rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui: “ai fini della configurabilità dei reati in materia di I.V.A., la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l'eventuale sussistenza di costi non documentati”.
Nel caso di specie l'imputato, in qualità di legale rappresentante di una s.r.l., al fine di evadere le imposte, aveva omesso di presentare nel 2012 la dichiarazione fiscale rilevante ai fini IVA ed IRAP per l'anno 2011, pur risultando accertati maggiori ricavi, e con evasione d'IVA per oltre 2oomila euro e, di conseguenza, veniva dichiarato penalmente responsabile per il reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Nel ricorso per cassazione il ricorrente contestava, tra l’altro, l'applicazione della percentuale di ricarico risultante dagli studi di settore che la Corte d’Appello aveva utilizzato per il calcolo della somma evasa.
Il Collegio ha rilevato che “l'Imposta sul Valore Aggiunto è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l'eventuale sussistenza di costi effettivi non registrati, i quali, invece, possono essere considerati con riferimento alle imposte dirette, non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali”.
La Suprema Corte, nel dichiarare l’infondatezza del ricorso, ha aggiunto: “premesso che non deve tenersi conto, ai fini I.V.A. di costi non documentati, è sicuramente corretto il richiamo al dato risultante dall'applicazione degli studi di settore”.