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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

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Il Consiglio di Stato si esprime sulla legittimità della domanda di mutamento di nome, cognome e pseudonimo.

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Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 19 settembre 2023, n. 8422 – Pres. Corradino.

L’art. 89 del d.P.R. n. 396/2000, dispone che:

1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta.

2. Nella domanda si deve indicare la modificazione che si vuole apportare al nome o al cognome oppure il nome o il cognome che si intende assumere.

3. In nessun caso può essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza”.

Da tale disposizione si evince la correttezza dei principi esposti dall’Amministrazione nella parte introduttiva dell’atto di appello: la valutazione del Prefetto circa l’istanza di cambio del cognome si configura come un potere di natura discrezionale, che si esercita bilanciando l’interesse dell’istante (da circostanziare esprimendo le “ragioni a fondamento della richiesta”), con l’interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale.

A tale fine, secondo la circolare del Ministero dell’Interno n. 14 del 21 maggio 2012, è fondamentale il giudizio di ponderazione del Prefetto medesimo, accompagnato da una motivazione che dia conto del processo argomentativo alla base di ciascuna decisione, valutati anche gli interessi di eventuali controinteressati.

Condivisibilmente, nella suddetta circolare, viene previsto il contraddittorio con la persona controinteressata (nel caso di specie, il padre), affinché possa rappresentare eventuali ragioni a sostegno del mantenimento dello status quo, che devono essere valutate e ponderate dal Prefetto prima di adottare il provvedimento decisorio.

Nel caso di specie, il consenso della madre, risulta, invece, dalla dichiarazione resa in sede procedimentale e versata in atti.

In definitiva, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio di cognome abbia natura di interesse legittimo, e che la P.A. disponga del potere discrezionale in merito all’accoglimento o meno dell’istanza (cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 26-09-2019, n. 6462), tenuto conto che – a fronte dell’interesse soggettivo della persona, spesso di carattere “morale” – esiste anche un rilevante interesse pubblico alla sua 'stabile identificazione nel corso del tempo' (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; Sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2752).

È stato quindi ritenuto dalla giurisprudenza che l'art. 89 cit. non consente al richiedente di 'scegliere' il proprio nome: altrimenti opinando, vi sarebbe un serio vulnus a tale interesse pubblico, che riguarda tutti gli aspetti della vita degli individui, nei loro molteplici rapporti (anche informatici) con i soggetti pubblici e privati.

Venendo alla fattispecie in esame, occorre innanzitutto considerare che la richiedente ha chiesto di cambiare il cognome paterno con quello materno, per le ragioni in precedenza esposte.

È del tutto evidente che, al momento della nascita, alla ricorrente è stato attribuito il cognome del padre, secondo quanto previsto dalla legge al momento vigente.

Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2022 è mutato il regime normativo relativo all’attribuzione del cognome ai figli: la Corte ha stabilito che, in via generale, il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine concordato dagli stessi, fatto comunque salvo il loro accordo di trasmetterne uno soltanto.

Nella sentenza n. 131/2022, la Corte costituzionale ha precisato che la nuova disciplina riguarda “il momento attributivo del cognome del figlio, sicché la presente sentenza, dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, troverà applicazione alle ipotesi in cui l’attribuzione del cognome non sia ancora avvenuta, comprese quelle in cui sia pendente un procedimento giurisdizionale finalizzato a tale scopo”.

La Corte costituzionale ha quindi aggiunto che “eventuali richieste di modifica del cognome, salvo specifici interventi del legislatore, non potranno, dunque, che seguire la procedura regolata dall’art. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000, come sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 54 del 2012”.

La presente controversia non ricade, ovviamente, nella disciplina attualmente vigente dopo la sentenza della Corte costituzionale, nondimeno – ritiene il Collegio – che taluni principi espressi dalla Corte in tale decisione (ed in quelle che l’hanno preceduta), possano assumere rilevanza nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispone il Prefetto in sede di decisione sulle richieste di mutamento del cognome in ambito familiare.

Occorre partire, innanzitutto, dal cambio di prospettiva che la Corte Costituzionale ha abbracciato in ordine alla portata e alla valenza del cognome dell'individuo, anche in ragione dell'influenza della Corte EDU.

Da un iniziale approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia e, quindi, come strumento per individuare l'appartenenza della persona a un determinato gruppo familiare (Corte Cost., ordinanze n. 176/1988 e n. 586/1988), si è passati ad un processo di valorizzazione del diritto all'identità personale, valore assoluto avente copertura costituzionale ex art. 2 Cost., in virtù del quale il cognome assurge ad espressione dell'identità del singolo (Corte Cost. n. 286/2016).

Invero, la originaria procedura di attribuzione del cognome era basata, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 61/2006, su un sistema costituente retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale, non più ritenuta coerente con i principi dell'ordinamento.

Tale sistema è stato abbandonato dalla Corte Costituzionale, anche a seguito della condanna dello Stato italiano da parte della Corte EDU (Cusan-Fazzo contro Italia, del 7 gennaio 2014), dapprima, con la citata pronuncia n. 286/2016 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che non consentono ai coniugi di trasmettere, di comune accordo, il cognome materno e, più di recente, con la sentenza n. 131/2022 con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l'automatica attribuzione del cognome del padre con riferimento ai figli nati "dentro e fuori dal matrimonio" e a quelli adottivi (cfr. sul punto TAR Lazio, Sez. I Ter, 1 luglio 2022 n. 8964).

Nella successiva sentenza n. 135 del 10 maggio – 4 luglio 2023, la Corte Costituzionale, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 1, del codice civile, che imponeva nel caso di adozione di persona maggiorenne, l’obbligatoria anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato, ha ripercorso la propria giurisprudenza sul diritto all’identità personale e sul diritto al nome, dichiarando l’illegittimità dell’irragionevole compressione del diritto inviolabile all’identità personale. Ha richiamato, in particolare, la sentenza n. 286 del 2016, secondo cui “il diritto al nome [sarebbe] indissolubilmente collegato al diritto all’identità personale e che la protezione di esso sostanzi e determini realizzazione di quest’ultima”.

È emersa, quindi, una particolare sensibilità sul tema del “cognome”, come testimonianza del legame del figlio con entrambi i suoi genitori, o, se si vuole, con ciascuno di essi, in quanto l’assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell’identità del figlio.