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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

  Ultimissime



L’Adunanza plenaria pronuncia sulla clausola di salvaguardia ex art. 92, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 applicata alla concessione di finanziamenti pubblici.

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Consiglio di Stato, Ad.Plen., sent. del 26 ottobre 2020, n. 23.

1) Non è sufficiente a consentire l'istanza di intervento ad opponendum la sola circostanza per cui il proponente tale istanza sia parte in un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella divisata nell'ambito del giudizio

2) La salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli artt. 92, comma 3 (secondo cui i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'art. 67 sono corrisposti sotto “condizione risolutiva” di una eventuale informazione antimafia positiva intervenuta successivamente al pagamento), e 94, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture

La questione è stata rimessa dalla sez. III con sentenza non definitiva 23 dicembre 2019, n. 8672.

1) Si è chiarito (Cons. Stato, A.P., n. 23 del 2016) che "laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l'intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, in toto scisse dall'oggetto specifico del giudizio cui l'intervento si riferisce". 

Non a caso, del resto, in base ad un orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, nel processo amministrativo l'intervento, ad adiuvandum o ad opponendum, può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale. Tali considerazioni non mutano per il solo fatto che il Giudice innanzi al quale pende il giudizio, in cui è parte chi (successivamente) spiega intervento innanzi all’Adunanza Plenaria, abbia ritenuto di disporre la sospensione del medesimo, in attesa della enunciazione del principio di diritto, cui conformare la propria successiva pronuncia. Si tratta, in questo caso, di sospensione disposta dal Giudice, ai sensi degli artt. 79, comma 1, c.p.a. e 295 c.p.c.., che, per un verso, è sorretta da ponderate ragioni di opportunità e, per altro verso, non incide direttamente sul thema decidendum, ma consente al medesimo Giudice di vagliare gli approdi cui perviene l’Adunanza Plenaria in funzione nomofilattica. Ciò, per di più, senza che la pronuncia attesa possa inevitabilmente condizionare l’esito del giudizio in cui è parte chi ha spiegato intervento, ben potendo il Giudice di tale controversia non condividere il principio di diritto enunciato e disporre ai sensi dell’art. 97, comma 3, c.p.a.. 

2) L’Adunanza Plenaria ha ritenuto che la salvezza del “pagamento delle opere già eseguite e il rimborso del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, di cui agli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, vada riferita solo al recesso dai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, con esclusione, dunque, delle ipotesi riconnesse alla concessione di finanziamenti pubblici o simili. 

Ha preliminarmente precisato gli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevedono, in modo sostanzialmente simile, che i soggetti di cui all’art. 83, nel caso di informazione antimafia interdittiva, “revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. 

Stabilire, dunque, se “il limite normativo” delle “utilità conseguite” si riferisca solo ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, oppure anche ai finanziamenti e contributi pubblici, così come richiede il Giudice del deferimento, presuppone innanzi tutto stabilire se la salvezza “del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente” si riferisca solo ai predetti contratti o anche ai finanziamenti. 

Difatti, è la “salvezza” del pagamento il vero “limite” normativo (ovvero l’eccezione agli effetti della revoca e del recesso dai contratti), contribuendo invece il limite delle “utilità conseguite” solo alla definizione del “quantum” di una salvezza già verificata sussistente. 

In sostanza, è solo nei casi in cui si riconosce la salvezza del pagamento (“an” dell’eccezione alla revoca e al recesso) che può poi verificarsi il limite (il “quantum”) del pagamento da disporre, di modo che, sul piano logico-giuridico – e proprio per dare compiuta risposta alla questione di diritto deferita – occorre: in primo luogo, stabilire se la “salvezza” del pagamento, nei termini normativamente previsti, si applichi solo ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture ovvero anche alle concessioni di finanziamenti e contributi (essendo più propriamente questa la questione da risolvere); in secondo luogo, e solo in caso di esito positivo della prima verifica, occorre stabilire - al fine di definire il quantum di un pagamento già riconosciuto (salvato) nell’”an” - cosa si intenda per utilità conseguita.  

Che poi quest’ultimo aspetto possa costituire argomento a sostegno della soluzione ermeneutica è fuor di dubbio, ma si tratta di argomento “di rinforzo” per una o l’altra soluzione, laddove il problema dell’ambito di applicazione della norma di eccezione (e dunque la vera questione oggetto di esame da parte dell’Adunanza Plenaria) riguarda la salvezza del pagamento, e non già, almeno in prima battuta, il significato e la misura delle utilità conseguite dall’amministrazione con riguardo all’interesse pubblico.  

Ha aggiunto l’Alto consesso che l’incapacità non può incontrare limiti di ordine pubblico economico (integrale realizzazione del programma beneficiato, lungo tempo trascorso, rilascio in favore della medesima impresa di precedenti informative di carattere liberatorio), posto che – come condivisibilmente affermato dal Giudice remittente - “tali limiti di ordine pubblico non risultano adeguatamente tracciati e motivati nei loro presupposti, ma rimessi ad una valutazione “casistica” ed “equitativa”, formulabile dal giudice in relazione alle singole fattispecie esaminate”. Limiti, dunque, che – oltre a non trovare conforto nelle previsioni normative – contribuirebbero a rendere incerte le conseguenze dell’interdittiva antimafia e, in primis, l’ambito stesso dell’incapacità nei confronti della pubblica amministrazione. 

Da quanto esposto consegue che – a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze (posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) – costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex art. 14 disp. prel. cod. civ.: Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2011, n. 5799), quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni. 

Pertanto, l’esame ermeneutico degli artt. 92, comma 3 e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” – da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati – deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione. 

Ha aggiunto l’Adunanza plenaria che ciò che, in contemperamento della pluralità di esigenze connesse alla tutela di interessi pubblici e privati, viene effettuato dai soggetti di cui all’art. 83 (rilascio di autorizzazioni o concessioni, erogazione di contributi e simili, stipulazione di contratti) avviene sotto la rigida condizione dell’accertamento della stessa capacità del soggetto privato ad essere parte del rapporto con la pubblica amministrazione, con la ovvia conseguenza che – laddove per il tramite dell’informazione antimafia interdittiva tale capacità venga accertata come insussistente – non possono che manifestarsi in termini di nullità sia i provvedimenti amministrativi rilasciati (per difetto di un elemento essenziale del medesimo, ex art. 21-septies, l. n. 241 del 1990), sia il contratto stipulato con soggetto incapace. 

Giova precisare che ciò che consegue alla interdittiva antimafia non costituice un “fatto” sopravvenuto che determina la revoca del provvedimento emanato ovvero la risoluzione del contratto per factum principis, bensì il (pur tardivo) accertamento della insussistenza della capacità del soggetto ad essere parte del rapporto con l’amministrazione pubblica: quella incapacità che – laddove fosse stata, come di regola, previamente accertata – avrebbe escluso in radice sia l’adozione di provvedimenti sia la stipula di contratti.  

In questo senso, può concordarsi con quanto affermato dalla sentenza parziale che ha disposto il deferimento, laddove la stessa ritiene che “poiché i contributi risultano concessi in via provvisoria, l’atto c.d. di revoca non rappresenta affatto (come farebbe pensare il nomen) un nuovo provvedimento adottato in autotutela dall’amministrazione nell’esercizio di un potere discrezionale, ma un mero atto ricognitivo che constata l’avvenuta verificazione della condizione risolutiva afferente al contributo ancora precario”.  

E ciò con la sola precisazione che le disposizioni degli articoli 92 e 94 intendono affermare per il tramite del non appropriato riferimento agli istituti della “revoca” (del provvedimento) e del “recesso” (dal contratto), che l’accertamento dell’intervenuta “condizione risolutiva” altro non è che l’accertamento successivo (consentito dalla legge) dell’incapacità giuridica del soggetto ad essere destinatario di provvedimenti amministrativi ovvero ad essere parte del contratto ad evidenza pubblica.  

A ciò consegue, quanto ai provvedimenti di concessione di benefici economici, comunque denominati, che l’intervenuto accertamento dell’incapacità del soggetto, cui si riconnette la “precarietà” degli effetti dei medesimi, espressamente enunciata dalle norme, esclude che possa esservi legittima ritenzione delle somme da parte del soggetto beneficiario (ma giuridicamente incapace). 

Né è possibile ipotizzare, in presenza di un chiaro riferimento normativo alla “precarietà” dei provvedimenti adottati o del provvedimento stipulato, l’insorgere di un “affidamento” in capo al soggetto privato. 

Allo stesso modo, nelle ipotesi di contratto stipulato con la pubblica amministrazione, l’accertamento dell’incapacità comporta l’insuscettività dello stesso ad essere fonte di obbligazioni in capo alla pubblica amministrazione nei confronti del soggetto incapace. 

A tale assetto degli effetti, discendente dai principi generali e dalla specifica normativa antimafia, è la stessa disciplina antimafia a prevedere talune “eccezioni”: gli artt. 92, comma 4, e 94, comma 2 (oggetto del quesito deferito a questa Adunanza Plenaria), prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”;  l’art. 94, comma 3, dispone che i soggetti di cui all’art. 83 “non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”. 

Si tratta, come è evidente, di norme “di eccezione” ai principi generali, rese necessarie dai “postumi” dell’applicazione di una disciplina essa stessa “derogatoria” (e dunque essa stessa “eccezionale”) rispetto all’ordinario modus procedendi imposto all’amministrazione (quella, cioè, che ha consentito di emanare i provvedimenti e/o di stipulare i contratti in assenza della tempestiva informativa antimafia).  

Si tratta, dunque, di norme di strettissima interpretazione. 

Ha quindi concluso l’Alto Consenso che nel caso considerato nella presente sede, l’operazione interpretativa che dovrebbe comportare l’estensione – per il tramite della presenza nel testo del riferimento alle “concessioni” - della salvezza del pagamento di quanto realizzato sulla base di finanziamenti, comporta sul piano ermeneutico un duplice passaggio estensivo dell’interpretazione: in primo luogo, quello di estendere la salvezza del pagamento dal caso di recesso dal contratto (in aderenza al quale è prevista nel testo la salvezza dei pagamenti) anche alle “concessioni” precedentemente citate e, come si è già detto, non collocate nel testo con immediata aderenza alla “salvezza”; in secondo luogo, quello di operare una interpretazione “selettiva” del termine “concessioni”, ritagliando nel più ampio ambito proprio di tale genus, quelle di esse (e solo quelle) che hanno per oggetto attribuzioni patrimoniali (contributi, finanziamenti e simili) dalle quali dipende la “esecuzione di opere”. 

Si tratta, a tutta evidenza, di una operazione ermeneutica per così dire “di doppio grado”, molto lontana dai limiti propri della interpretazione delle norme eccezionali e, dunque, non consentita. 

Le eccezioni di cui agli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia. ​​​​​​​