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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Penale



Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 12 luglio 2017 - n. 34090

Sulla nozione di furto. A cura di Valentina Praticò
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Il furto si colloca tra i delitti contro il patrimonio di più frequente verificazione, dal momento che si sostanzia in una condotta aggressiva di beni di proprietà altrui. 

Sin dall’origine, si sono registrate delle difficoltà interpretative in merito al corretto discernimento del bene giuridico oggetto di tutela legislativa in materia. 

In argomento, una prima teoria si allinea maggiormente al dato letterale recato dall’art. 624 C.p., affermando che la nozione di “detenzione” si riferisce a quel potere di fatto esercitabile sulla cosa, che costituisce il requisito minimo del possesso giuridicamente rilevante. 

Per converso, altri studiosi affermano che occorra valorizzare il requisito dell’altruità della cosa, in base al quale non sarebbe inquadrabile nel novero dei soggetti attivi del reato in esame  il titolare del diritto dominicale sulla res, posto che non potrebbe configurarsi il cd. furtum rei propriae, ovvero non potrebbe punirsi il proprietario per i danni cagionati al detentore. 

Quanto all’interpretazione del concetto di detenzione, va appurato che, ad avviso di certa speculazione dottrinale, esso debba ritenersi coincidente con la nozione di disponibilità materiale della cosa, tale da consentire ad una persona fisica l’esercizio di poteri materiali su di essa, (si parla, in proposito di cd. detenzione “in contatto” o “in vicinanza”, oppure “a distanza”, considerato che la cosa può trovarsi nella sfera della propria accessibilità fisica diretta, ovvero si può stabilire un contatto fisico con essa). 

Una tesi minoritaria, per contro, si richiama ai concetti di detenzione e possesso di matrice civilistica, per ritenere che il primo si configuri allorquando la disponibilità della cosa avvenga nomine alieno, mentre la situazione giuridica qualificabile come possesso si constata solo se l’esercizio di un diritto reale risulti accompagnato dal relativo animus, cd. animus rem sibi habendi. 

Va, pertanto, affermato che, perno centrale della nozione di furto è costituito dall’impossessamento da parte di altri del bene altrui: occorre, infatti, l’eliminazione dell’altrui possesso per effetto del cd. spossessamento, che coincide con il momento della sottrazione, la quale deve avvenire senza violenza o minaccia¹,  ma con il dissenso del derubato²

Furto con destrezza

Con la sentenza che qui si esamina, le Sezioni unite della Corte di Cassazione individuano una soluzione in merito al contrasto giurisprudenziale sorto in ordine all’applicazione della circostanza aggravante della destrezza, prevista per il delitto di furto ex art. 625, co. 1,  n. 4, C.p. 

In particolare, il testo normativo prevede che il delitto di furto è aggravato  se << il fatto è commesso con destrezza>>³

La ratio della suddetta circostanza si fonda, secondo taluni, sulla volontà legislativa di perseguire la maggiore pericolosità dimostrata dal soggetto attivo della fattispecie di  cui all’art. 624 C.p., il quale, nel commettere il reato, ha evidenziato una capacità delinquenziale superiore a quella del ladro comune, tale da riuscire ad eludere la vigilanza dell’uomo medio. 

Tanto sta a significare che, per il configurarsi di tale circostanza o <<accidentalia delicti>> del delitto di furto, è necessario che il soggetto  attivo abbia assunto un contegno idoneo ad aggirare la vigilanza normale del derubato ed a rendere la condotta furtiva per lui non percepibile (cfr. Cass. n. 31973/2009). Nello specifico, ai fini della contestazione dell’aggravante de qua, rileva la <<particolare abilità, astuzia o sveltezza dell’agente nel commettere il reato>>.

Si è discusso, inoltre, se la destrezza debba necessariamente ricadere sulla persona vittima del furto, ovvero possa incidere anche sulle cose. 

In merito, si segnalano due orientamenti contrastanti.

Una prima corrente di pensiero afferma che l’aggravante de qua si configuri solo quando la particolare abilità o astuzia dell’agente sia stata impiegata nei confronti di una persona fisica, confortando, tali studiosi, il loro ritenere sulla considerazione che siffatto requisito sia implicito nel dettato normativo in esame.  

Differente speculazione giuridica prende, per converso,  le distanze da tale orientamento e,  facendo leva su un argomento di tipo storico (la mancata specificazione nel Codice attualmente vigente, rispetto al codice Zanardelli, che la destrezza deve operare sulla persona), afferma che la circostanza in esame si configuri anche nell’ipotesi in cui la destrezza sia stata impiegata su  cose.

In realtà, deve osservarsi che il tratto peculiare di questa fattispecie di furto circostanziato non deve individuarsi nell’oggetto illegittimamente sottratto all’altrui disponibilità, dovendo, invece e più precisamente, accordarsi rilievo alle modalità di commissione del delitto e all’elusione della normale vigilanza del proprietario della cosa. 

Si deve rilevare, infine, che la sussistenza della circostanza in esame non possa essere in alcun modo legata al tipo di risultato conseguito dal ladro e, dunque, debba essere tale da escludersi  il suo ricorrere nell’ipotesi in cui si sia stata impiegata una abilità straordinaria ma il derubato si sia accorto del furto in atto

FATTO

La pronuncia della Corte di Cassazione a S.U. costituisce l’esito di un’indagine atta ad acclarare il potersi configurare dell'aggravante della destrezza nel reato di furto, nell’ambito di un delitto compiuto all’interno di un esercizio commerciale, dove il soggetto attivo aveva prelevato un computer portatile e lo aveva asportato, approfittando della distrazione del personale addetto. 

Nel caso di specie e come verificato per effetto della visione delle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza, il reo scollegava i cavi di alimentazione del dispositivo e lo collocava in una borsa prima di allontanarsi dall’esercizio. 

Tratto in giudizio, l’imputato confessava di essere stato l’autore della fattispecie ed il Tribunale procedente lo condannava alla pena di giustizia riconosciuta per il furto, pena aggravata per effetto dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625, co. 1, n. 4, C.p.

Un siffatto decisum veniva confermato in sede di gravame, e, pertanto, il condannato ricorreva in terzo grado, adducendo violazione di legge e vizio di motivazione rispetto agli articoli 546 e 605 C.p.p. e 625, co. 1, n. 4, C.p., in merito alla sussistenza dell’aggravante dell’aver agito con destrezza. 

In particolar modo, veniva dedotto che l’imputato aveva “semplicemente” approfittato della distrazione, non provocata della proprietaria del bene asportato, non avendo, dunque, creato alcuna circostanza favorevole a determinare la sottrazione del bene. 

La decisione delle S.U.

Dato atto dell’esistenza di un contrasto interpretativo in merito alla configurazione della circostanza della destrezza nel furto, la questione veniva rimessa alle S.U. 

Sul punto si confrontavano due orientamenti.

Il primo, più risalente, si fondava sull’assunto che la circostanza della destrezza avesse come fine precipuo quello di valorizzare le peculiari doti dell’agente, capace di comprendere le dinamiche fattuali del contesto in cui egli si trovava e di agire a suo vantaggio mediante la commissione del furto.

Pertanto, un aggravio di pena si sarebbe giustificato, in presenza di siffatte contingenze, al fine di stigmatizzare “lo spessore della maggiore criminalità del soggetto”, palesantesi qualora l’agente avesse approfittato di una condizione contingentemente favorevole” quale una momentanea distrazione della persona offesa siccome “impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a curare attività di vita o di lavoro” (v. Cass., sez. V, sent. 18 febbraio 2015, n. 20954).

Di diverso avviso, coloro che, più recentemente, hanno affermato che l’approfittamento delle circostanze favorevoli che si palesano nel caso specifico non debba essere ritenuto indice di peculiare abilità nell’elusione del controllo del titolare del bene: infatti, la destrezza postula una condotta che “per abilità, astuzia e rapidità, sia funzionale a superare l’attenzione della vittima, e come tale incompatibile con il mero sfruttamento di un occasionale momento di disattenzione altrui, sia esso dipendente o meno da un comportamento positivo del soggetto agente. 

Così opinando, si ritiene, dunque, che un aggravamento della pena possa giustificarsi soltanto in quanto la condotta dell’agente risulti connotata da maggiore riprovevolezza, avuto riguardo alle modalità con le quali essa è stata esternata, posto che la destrezza presuppone un’abilità superiore a quella ordinariamente usata dal comune ladro, capace di eludere la normale vigilanza dell’uomo medio.

Tale orientamento viene condiviso dalla Suprema Corte, che  accoglie il ricorso del condannato e annulla senza rinvio la decisione impugnata per difetto di querela, in virtù di un percorso argomentativo che si fa leva su  una serie complessa di ragioni. 

Innanzitutto, rilievo va attributo ad un criterio di carattere sistematico, per effetto del quale deve ritenersi che la fattispecie del furto aggravato ex art. 625, co. 1, n.4, C.p., implica che, contestualmente alla condotta rilevante ai sensi dell’art. 624 C.p., si realizzi quel quid pluris necessario a differenziarla dalla fattispecie di  furto semplice. 

A tali fini, si richiede, infatti, una particolare abilità idonea ad eludere la sorveglianza del titolare del diritto o della relazione di interesse giuridicamente rilevante con la cosa sottratta. In siffatte ipotesi, emerge, dunque, “la maggior capacità criminale [dell’agente] e la più efficace attitudine a ledere il bene giuridico protetto”. 

Secondo tale ritenere, dunque, approfittare di una circostanza propizia non presuppone alcuna particolare capacità superiore a quella del ladro comune, e non merita un aggravamento di pena, rilevando esclusivamente in tal senso la condotta di audacia e temerarietà nello sfidare il rischio di essere sorpresi.

Ulteriormente, il percorso argomentativo compiuto dalla Corte di legittimità evidenzia la necessità di compiere un raffronto tra l’aggravante della destrezza e quella di cui all’art. 625 primo comma n. 6 c.p., il quale reca aumento di  pena qualora il furto sia commesso “sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande”. 

Ad avviso della Cassazione, tale circostanza si focalizza su specifiche ipotesi di furto commesso in danno di soggetti distratti, poiché impegnati con minor efficacia alla sorveglianza sui propri beni per ragioni dettate dalla contingenza della situazione. 

Sulla base di tali motivazioni, la Corte rileva che è del tutto evidente, che, qualora la destrezza ricomprendesse già il mero approfittamento della disattenzione del derubato, la disposizione in esame risulterebbe superflua. Tanto giustifica l’avviso per cui la scelta del legislatore di assegnare rilievo alla distrazione maturata in specifiche circostanze di luogo valga a confermare l’idea che in contesti differenti tale elemento assuma una connotazione neutra e non comporti per sé solo alcun aggravamento di pena.

Infine, sul piano teleologico, la Cassazione richiama la consolidata giurisprudenza costituzionale secondo cui il principio di offensività trova applicazione anche in relazione alle aggravanti, sicché la ratio dell’aumento di pena previsto per un dato elemento si rinviene nella sua accentuata attitudine lesiva del bene giuridico (Corte cost., sent. 8 luglio 2010 n. 249). 

Fatta applicazione di tale principio In relazione alla destrezza, si impone di ritenere che l’agente non si limita ad approfittare dell’altrui distrazione, poiché ciò significherebbe “valorizzare la componente soggettiva del reato e la pericolosità individuale” a discapito del piano dell’offesa, potendo, per converso, constatarsi un’offesa più grave allorché le modalità realizzative della condotta denotino una maggior capacità lesiva per il bene giuridico, che è integrata soltanto da una particolare abilità dell’agente.

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¹ Infatti, se ricorrono violenza o minaccia, si ritiene configurata la diversa fattispecie delittuosa della rapina.

² La dottrina più attenta evidenzia che il delitto di furto rientra nel modello della cd. usurpazione unilaterale, in quanto la lesione deve essere arrecata senza la collaborazione del soggetto passivo.

³ Dopo la modifica legislativa del 2001, che ha reso autonoma la fattispecie di furto con strappo, la circostanza ex art. 625, co.1, n. 4, comprende esclusivamente il furto con destrezza, (cd. borseggio), venendo  abrogata e trasformata in un’autonoma fattispecie incriminatrice collocata nel nuovo art. 624 bis c.p. quella del furto commesso in abitazione o con strappo.

R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, Roma, 2014.

G. AMARELLI, Le circostanze, in www.iris.unina.it.