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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Temi e Dibattiti



Modifica della normativa nazionale in materia di contratti pubblici con legge regionale: la Corte Costituzionale torna a ribadirne l’impossibilità e boccia i tentativi delle Regioni Toscana e Sicilia (Corte Cost. 98/2020 e 16/2021).

Di Anna Laura Rum
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Modifica della normativa nazionale in materia di contratti pubblici con legge regionale: la Corte Costituzionale torna a ribadirne l’impossibilità  e boccia i tentativi delle Regioni Toscana e Sicilia (Corte Cost. 98/2020 e 16/2021).

Di ANNA LAURA RUM

 

 

Abstract: Il presente contributo si sofferma sul tema dell’ammissibilità di modifiche alla normativa nazionale in materia di contratti pubblici ad opera di leggi regionali, e dell’operatività del limite di cui all’art. 117 c. 2 lett. e) Cost., nel panorama del riparto di competenza legislativa Stato-Regioni.

Verrà dato conto di due recenti pronunce della Corte Costituzionale in materia, la n. 98/2020 e la n. 16/2021, che consolidano l’ormai granitico orientamento, tutt’altro che possibilista, sul punto.

 

 

Sommario: 1. Introduzione. 2. La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge della Regione Toscana 16 aprile 2019, n. 18 (Corte Cost. sent. 98/2020). 3. La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, e dell’art. 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Corte Cost. sent. 16/2021).

 

 

  1. Introduzione.

La materia degli appalti, più volte oggetto di tentativi da parte delle Regioni di legiferarvi con legge regionale, come precisato dalla Consulta, è strettamente riservata alla competenza legislativa statale.

La Corte Costituzionale, in più occasioni e da ultimo con due recenti pronunce di incostituzionalità avverso, rispettivamente, una legge regionale della Regione Toscana (Corte Cost. sent. 98/2020) e una legge regionale della Regione Sicilia (Corte Cost. sent. 16/2021), ha ribadito il criterio di riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni, in materia di contratti pubblici.

Secondo il costante orientamento del Giudice delle Leggi, come scandito e confermato recentemente, le disposizioni del codice dei contratti pubblici regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza e le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme; ciò anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia, senza che rilevi che la procedura sia aperta o negoziata.

Diversamente, la Regione incorrerebbe nella violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

Ciò premesso, può procedersi ad un’analisi delle due ultime pronunce, sul punto, della Corte Costituzionale, ancora espressive di questo granitico orientamento, la n. 98/2020 e la n. 16/2021.

 

 

  1. La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge della Regione Toscana 16 aprile 2019, n. 18 (Corte Cost. sent. 98/2020[1]).

La pronuncia della Corte Costituzionale n. 98/2020 ha toccato la materia degli appalti pubblici, come interessata da talune norme della Regione Toscana. In particolare, il riferimento è all’affidamento di lavori per contratti di valore inferiore alla soglia comunitaria e alla possibile riserva di partecipazione alle gare, per una quota non superiore al 50%, a favore delle micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale.

In sostanza, viene in rilievo una potenziale violazione della competenza esclusiva statale nella materia della tutela della concorrenza.

La vicenda oggetto di sindacato di legittimità costituzionale  ha visto il Presidente del Consiglio dei ministri impugnare l’art. 10, comma 4, della legge della Regione Toscana 16 aprile 2019, n. 18, ovvero una norma inserita nel capo II della legge regionale, che disciplina (come risulta dal suo art. 8) le «procedure negoziate per l’affidamento di lavori di cui all’articolo 36 del d.lgs. 50/2016» (cioè, dei contratti di valore inferiore alla soglia comunitaria), e stabilisce che, «[i]n considerazione dell’interesse meramente locale degli interventi, le stazioni appaltanti possono prevedere di riservare la partecipazione alle micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale per una quota non superiore al 50 per cento e in tal caso la procedura informatizzata assicura la presenza delle suddette imprese fra gli operatori economici da consultare».

Secondo il ricorrente, la possibilità di riservare la partecipazione, per una quota non superiore al 50 per cento, «alle micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale» sarebbe illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

Essa, infatti, si porrebbe in contrasto con l’art. 30, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), «che impone il rispetto dei principi di libera concorrenza e non discriminazione».

La previsione della «riserva regionale» comporterebbe «una indebita restrizione del mercato escludendo gli operatori economici non toscani dalla possibilità di essere affidatari di pubbliche commesse».

Si afferma che la norma impugnata comporterebbe una «limitazione della concorrenza che non è giustificata da alcuna ragione se non quella – vietata – di attribuire una posizione di privilegio alle imprese del territorio per favorire l’economia regionale».

Si lamenta, in sintesi, che la norma regionale impugnata risulterebbe dunque invasiva della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e sarebbe indebitamente difforme dalla disciplina dettata dallo Stato.

La Regione Toscana resistente, invece, sosteneva che la norma impugnata fosse rispettosa delle disposizioni del codice dei contratti pubblici, in particolare l’art. 30, «coniugando, al contempo, il principio di libera concorrenza e non discriminazione ed il favor partecipationis per le microimprese, le piccole e le medie imprese».

La Corte Costituzionale ha accolto il ricorso, affermando che la norma impugnata è inserita in un capo che «disciplina le modalità di svolgimento delle indagini di mercato e di costituzione e gestione degli elenchi degli operatori economici da consultare nell’ambito delle procedure negoziate per l’affidamento di lavori di cui all’articolo 36 del d.lgs. 50/2016, in applicazione delle linee guida approvate dall’Autorità nazionale anticorruzione» (art. 8 della legge reg. Toscana n. 18 del 2019).

La Corte specifica che l’art. 36 regola, fra l’altro, l’affidamento dei lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria, che è fissata – per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni – in euro 5.350.000 (art. 35, commi 1, lettera a, e 3 del d.lgs. n. 50 del 2016). A seguito della modifica introdotta dal decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55, lo stesso art. 36 prevede che, «salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie», le stazioni appaltanti procedono all’affidamento di lavori «mediante la procedura negoziata di cui all’articolo 63» in due ipotesi: quello dei lavori di importo compreso fra 150.000 euro e 350.000 euro e quello dei lavori di importo compreso fra 350.000 euro e 1.000.000 di euro.

In entrambi i casi è richiesta la previa consultazione di almeno dieci o, rispettivamente, quindici operatori economici, ove esistenti, «nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici». L’avviso «sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati».

L’art. 63, poi, disciplina la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

La Consulta specifica, inoltre, che le procedure di affidamento dei contratti sotto soglia sono poi regolate dalle Linee guida dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), adottate con delibera 26 ottobre 2016, n. 1097, in attuazione del previgente art. 36, comma 7, cod. contratti pubblici. In base alle Linee guida, la procedura «prende avvio con la determina a contrarre ovvero con atto a essa equivalente secondo l’ordinamento della singola stazione appaltante». Successivamente la procedura «si articola in tre fasi: a) svolgimento di indagini di mercato o consultazione di elenchi per la selezione di operatori economici da invitare al confronto competitivo; b) confronto competitivo tra gli operatori economici selezionati e invitati e scelta dell’affidatario; c) stipulazione del contratto» (punti 4.2 e 4.3). Nell’avviso di indagine di mercato la stazione appaltante si può riservare la facoltà di selezionare i soggetti da invitare mediante sorteggio (punti 4.1.5 e 4.2.3).

Ancora, la Corte rammenta che il vigente art. 216, comma 27-octies, cod. contratti pubblici prevede l’adozione di un regolamento governativo ma stabilisce che «le linee guida e i decreti adottati in attuazione delle previgenti disposizioni di cui agli articoli […] 36, comma 7, […] rimangono in vigore o restano efficaci fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma».

Dunque, tratteggiato il contesto normativo in cui si inserisce la norma impugnata, la Corte Costituzionale ha ritenuto opportuno precisare la sua esatta portata, anche alla luce di alcune affermazioni del ricorrente.

Per un verso infatti la disposizione non fissa un requisito di accesso alle procedure negoziate, sicché non si può dire che essa escluda a priori le imprese non toscane dalla partecipazione agli appalti in questione, essendo la riserva di partecipazione (che le stazioni appaltanti possono prevedere) limitata al massimo al 50 per cento delle imprese invitate al confronto competitivo.

Per altro verso non è nemmeno esatto dire che essa richiede in via alternativa la sede legale o la sede operativa nel territorio regionale: la disposizione utilizza la congiunzione «e», né ci sono ragioni logiche che portino a superarne la lettera. Dalla possibile riserva di partecipazione sono dunque escluse le micro, piccole e medie imprese che hanno solo una delle due sedi nel territorio regionale.

Inoltre, poiché la norma impugnata precisa che si tratta di una possibile riserva della «partecipazione», si deve ritenere che il suo oggetto si collochi nel secondo passaggio della procedura sopra ricordata, cioè nella fase dell’invito a presentare un’offerta, dopo lo svolgimento della consultazione degli operatori economici. In virtù della disposizione censurata, la stazione appaltante può prevedere che un certo numero di offerte (non più del 50 per cento) debba provenire da micro, piccole e medie imprese toscane, e può così svincolarsi dal rispetto dei criteri generali previsti per la selezione delle imprese da invitare. In altri termini, la norma impugnata può giustificare l’invito di imprese toscane che dovrebbero essere escluse a favore di imprese non toscane, in quanto – in ipotesi – maggiormente qualificate sulla base dei criteri stessi.

Quindi, così precisata la portata della disposizione impugnata, la Corte Costituzionale afferma che essa risulta costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ricordando che, in base alla giurisprudenza della stessa Corte, «le disposizioni del codice dei contratti pubblici […] regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e […] le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (sentenza n. 39 del 2020). Ciò vale «anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), […] senza che rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sentenza n. 322 del 2008)» (sentenza n. 39 del 2020).

Ancora, la Corte ricorda che, in tale contesto, la stessa ha più volte dichiarato costituzionalmente illegittime norme regionali di protezione delle imprese locali, sia nel settore degli appalti pubblici (sentenze n. 28 del 2013 e n. 440 del 2006) sia in altri ambiti (ad esempio, sentenze n. 221 e n. 83 del 2018 e n. 190 del 2014).

Ed infatti, la norma impugnata disciplina in generale una fase della procedura negoziata di affidamento dei lavori pubblici sotto soglia ed è dunque riconducibile all’ambito materiale delle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, che, in quanto attinenti alla «tutela della concorrenza», sono riservate alla competenza esclusiva del legislatore statale (sentenza n. 28 del 2013).

Allora, la Corte prosegue affermando che, considerata nel suo contenuto, la norma censurata prevede la possibilità di riservare un trattamento di favore per le micro, piccole e medie imprese radicate nel territorio toscano e, dunque, anche sotto questo profilo è di ostacolo alla concorrenza, in quanto, consentendo una riserva di partecipazione, altera la par condicio fra gli operatori economici interessati all’appalto.

Ed infatti, la Corte Costituzionale, concludendo l’iter argomentativo, rileva che la norma impugnata, in effetti, contrasta con entrambi i parametri interposti invocati dal ricorrente: con l’art. 30, comma 1, cod. contratti pubblici perché viola i principi di libera concorrenza e non discriminazione in esso sanciti, e con l’art. 36, comma 2, dello stesso codice perché introduce una possibile riserva di partecipazione (a favore delle micro, piccole e medie imprese locali) non consentita dalla legge statale.

Per tali ragioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge della Regione Toscana 16 aprile 2019, n. 18.

 

 

  1. La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, e dell’art. 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Corte Cost. sent. 16/2021[2]).

La vicenda oggetto del sinsacato di legittimità costituzionale ha visto il Presidente del Consiglio dei ministri impugnare gli artt. 4, commi 1 e 2, e 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’).

Secondo il ricorrente, l’art. 4, comma 1, primo periodo, della citata legge regionale avrebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, poiché, stabilendo l’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo per gli appalti di lavoro d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria, quando l’affidamento degli stessi avviene con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo, si porrebbe in contrasto con gli artt. 36 e 95 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che demanderebbero invece alle singole stazioni appaltanti l’individuazione del criterio da utilizzare.

Inoltre, lamenta il ricorrente che il medesimo parametro costituzionale sarebbe violato anche dall’art. 4, «ai commi 1, dal secondo periodo in poi, e comma 2», incidendo su un ambito di competenza esclusiva dello Stato. La disciplina regionale individuerebbe infatti, in presenza del criterio di aggiudicazione del minor prezzo, un metodo di calcolo della soglia di anomalia delle offerte diverso da quello dettato dall’art. 97, commi 2, 2-bis e 2-ter del d. lgs. n. 50 del 2016.

Il comma da ultimo citato, in particolare, attribuisce al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la facoltà di procedere con decreto alla rideterminazione dei criteri per l’individuazione delle soglie di anomalia, allo scopo di «non rendere nel tempo predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo» delle soglie stesse.

Poiché la normativa statale relativa alle procedure di selezione e aggiudicazione delle gare sarebbe strumentale a garantire la tutela della concorrenza (sono citate le sentenze di questa Corte n. 221, n. 186 e n. 45 del 2010, n. 320 del 2008 e n. 401 del 2007), e poiché si sarebbe in presenza di una materia di competenza esclusiva statale, anche alle autonomie speciali titolari di competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici sarebbe preclusa la possibilità di dettare discipline suscettibili di alterare le regole di funzionamento del mercato. In particolare, la potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana in materia di «lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale» affermata dall’art. 14, primo comma, lettera g), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, dovrebbe comunque esercitarsi «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato».

Ciò, secondo il ricorrente, varrebbe anche con riferimento alle modalità di valutazione delle offerte anomale relative agli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, per i quali ugualmente rileverebbe la finalità di tutela della concorrenza.

Il ricorrente impugna anche l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019, ritenendo che tale previsione violi l’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost., e l’art. 17, lettera a), dello statuto reg. Siciliana: la disposizione censurata, differendo di un triennio la durata delle concessioni dei servizi di trasporto pubblico locale in essere al momento dell’entrata in vigore della stessa legge regionale, si porrebbe in contrasto con quanto statuito dall’art. 8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70.

A dire del ricorrente, tale previsione avrebbe infatti individuato nella data del 3 dicembre 2019 il termine ultimo accordato agli Stati membri per conformarsi alle disposizioni dettate dall’art. 5, paragrafo 3, dello stesso regolamento, secondo cui l’aggiudicazione dei contratti di trasporto locale avviene con una procedura di gara equa, aperta a tutti gli operatori e nel rispetto dei principi di trasparenza e di non discriminazione: la proroga disposta dal legislatore regionale violerebbe pertanto gli obblighi affermati dalla disciplina europea.

L’evidenziata difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa europea integrerebbe così la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

Inoltre, secondo il ricorrente, la mancata indizione di regolari gare d’appalto violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

La convenuta Regione Siciliana si è limitata a eccepire l’inammissibilità del ricorso per un vizio relativo alla notifica dello stesso, effettuata esclusivamente a mezzo PEC.

Secondo la resistente, «in ragione della sua inapplicabilità nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, la notifica telematica effettuata al Presidente della Regione risulta tamquam non esset e, quindi, essendosi consumato il termine perentorio di legge, la Presidenza del Consiglio dei Ministri è irrimediabilmente decaduta dal potere di impugnativa delle norme regionali».

A sostegno di tale eccezione, la Regione Siciliana richiama la sentenza n. 200 del 2019, nella quale la Corte costituzionale ha affermato che, «[a]ttesa la specialità dei giudizi innanzi a questa Corte, la modalità della notifica mediante PEC non può, allo stato, ritenersi compatibile – né è stata sin qui mai utilizzata – per la notifica dei ricorsi in via principale o per conflitto di attribuzione».

Nello stesso giudizio è intervenuta l’associazione ANCE Sicilia – Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani (di seguito: ANCE Sicilia), con atto di intervento ad opponendum, con riferimento alle censure mosse nei confronti dell’art. 4 della legge reg. Siciliana impugnata.

La Corte Costituzionale ha dichiarato fondata, in primo luogo, la questione relativa all’art. 4, comma 1, primo periodo, della legge della Regione Siciliana n. 13 del 2019, a tenore del quale, nel territorio regionale «le stazioni appaltanti sono tenute ad utilizzare il criterio del minor prezzo, per gli appalti di lavori d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria, quando l’affidamento degli stessi avviene con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo».

Si evidenzia che per l’aggiudicazione degli appalti di lavori, la disposizione regionale introduce, in capo alle stazioni appaltanti, un vero e proprio vincolo all’utilizzo del criterio del minor prezzo.

E, per la Corte, tale previsione statuisce in difformità da quanto prevede il codice dei contratti pubblici, che demanda alle singole stazioni appaltanti l’individuazione del criterio da utilizzare. Nel disciplinare l’aggiudicazione dei contratti sotto soglia, il suddetto codice, a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge cosiddetto “sblocca cantieri”– decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, in legge 14 giugno 2019, n. 55 – prevede attualmente, all’art. 36, comma 9-bis, che, «[f]atto salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa».

Anche l’art. 95, comma 2, del medesimo codice prevede che «le stazioni appaltanti […] procedono all’aggiudicazione degli appalti […] sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell’elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, conformemente all’articolo 96».

Pertanto, secondo la Corte, ne risulta che, per gli appalti di lavori, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 32 del 2019, i due criteri (quello dell’offerta più vantaggiosa e quello del minor prezzo) sono alternativi senza vincoli, e la scelta è appunto rimessa alla stazione appaltante, fatti salvi casi specifici in cui è mantenuto il primato del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

La Corte Costituzionale rileva come non colga nel segno l’argomento della Regione Siciliana, secondo cui il comma 1 dell’art. 4 impugnato riprodurrebbe il contenuto dell’art. 95, comma 4, lettera a), del codice dei contratti pubblici, nella formulazione antecedente alla riforma operata dal d.l. n. 32 del 2019.

La Consulta ravvisa un contrasto con la disciplina statale, poiché in tema di aggiudicazione di lavori pubblici, il legislatore regionale ha introdotto una normativa che invade la sfera di competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza», adottando previsioni in contrasto con quelle del codice dei contratti pubblici.

La Corte Costituzionale afferma, in definitiva, che è palese la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

Il Giudice delle Leggi prosegue, poi, affermando che secondo il costante orientamento della stessa Corte, «le disposizioni del codice dei contratti pubblici [...] regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (di recente, sentenze n. 98 e n. 39 del 2020).

E questo orientamento, per la Corte, vale «anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007)» (così, ancora, sentenze n. 98 e n. 39 del 2020).

Per le stesse ragioni, la Corte ritiene fondate anche le censure mosse agli artt. 4, comma 1 (dal secondo periodo in poi), e comma 2, e 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019.

La Corte ribadisce che anche per le concessioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali vale, quanto la stessa ha più volte stabilito in tema di concessioni di beni demaniali, da ultimo con la sentenza n. 10 del 2021, e cioè che «discipline regionali che preved[ono] meccanismi di proroga o rinnovo automatico delle concessioni» sono da ritenersi invasive della competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che «rappresenta sotto questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze regionali».

Solo il legislatore statale, afferma il giudice delle Leggi, ha – in conformità all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – la competenza ad adottare misure di proroga delle concessioni dei servizi di trasporto pubblico.

Per tali ragioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, e dell’art. 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13.

 

 

[1] In www.cortecostituzionale.it

[2] In www.cortecostituzionale.it