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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

  Temi e Dibattiti



Enti Locali, le dimissioni dal servizio a seguito di assunzione in altra Amministrazione e la dibattuta applicazione della indennità di mancato preavviso.

Di Pasquale Iorio
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Enti Locali, le dimissioni dal servizio a seguito di assunzione in altra Amministrazione

 e la dibattuta applicazione della indennità di mancato preavviso.

 

 

Di Pasquale Iorio* 

 

 

Abstract

Il contributo approfondisce il tema delle dimissioni volontarie presentate dal dipendente degli Enti Locali, la loro irrevocabilità e il riconosciuto diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro, senza retribuzione, per un arco temporale pari alla durata del periodo di prova formalmente prevista dalle disposizioni contrattuali applicate nell’amministrazione di destinazione. Ampio spazio è, poi, riservato all’onere di osservare i termini di preavviso al datore di lavoro e la corresponsione della indennità sostitutiva.

 

The contribution deepens the issue of voluntary resignations presented by the employee of the Local Authorities, their irrevocability and the recognized right to keep their job, without pay, for a period of time equal to the duration of the trial period formally envisaged by the contractual provisions applied in the destination administration. Ample space is then reserved for the duty of observing the terms of notice to the employer and the payment of the indemnity to give notice.

 

 

Sommario: 1. Cenni introduttivi. – 2. Le dimissioni dal servizio, profilo definitorio e quadro normativo di riferimento. – 3. La dibattuta applicazione dell’indennità di mancato preavviso. – 4. Il diritto alla conservazione del posto di lavoro fino al superamento del periodo di prova. – 5. L’opposta ipotesi della rinuncia alla chiamata nel nuovo ente e il timore del depennamento dalla graduatoria. – 6. Conclusioni.

 

  1. Cenni introduttivi

 

Negli Enti Locali si va sempre più diffondendo, ad opera di giovani e ambiziosi dipendenti, il caso  delle dimissioni volontarie dal servizio rassegnate a seguito di assunzione presso altra Amministrazione dello Stato, in una categoria più elevata o, sovente, in una località più vicina alla propria residenza.

La loro efficacia è immediata o subordinata all’accoglimento da parte dell’Ente? Quali sono gli oneri a carico del dipendente? La posizione lavorativa consolidata che si lascia scompare del tutto o la legge riconosce una sorta di paracadute nel caso in cui il nuovo lavoro non dovesse convincere del tutto?

A questi ed altri quesiti risponde il contributo che si ha in lettura, seppur nella economia generale di trattazione, che si propone di approfondire le norme di riferimento e far chiarezza sulla loro corretta applicazione, anche tenendo conto delle recenti interpretazioni della giurisprudenza amministrativa. Ampio spazio sarà poi riservato ai profili discrezionali degli Enti rispetto alla determinazione dell’indennità di mancato preavviso.  

 

  1. Le dimissioni dal servizio, profilo definitorio e quadro normativo di riferimento

 

Il sostantivo femminile dimissione, dal latino dimissiònen (da dimissus, participio passato di dimittere: mandare in diversa parte, lasciar andare), indica l’atto con cui si rimette un mandato o si abbandona una carica.

È proprio il caso del dipendente dell’Ente Locale[1] a tempo indeterminato che manifesta la propria volontà di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro rassegnando le dimissioni dal servizio. In subiecta materia, come può notarsi, il termine viene sempre usato al plurale.

«L’istanza volta ad ottenere la risoluzione anticipata del rapporto deve rivestire la forma scritta e deve rispettare i termini di preavviso. Essa non deve essere necessariamente motivata, nel senso che il dipendente non è tenuto ad indicare le ragioni, che possono essere di natura personale, familiare, economica, che lo hanno indotto a presentare le dimissioni»[2].

Tale atto costituisce «[…] un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui […] venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle […]»[3].

Le dimissioni, pertanto, non necessitano dell’adozione di un provvedimento di accoglimento da parte della pubblica amministrazione ai fini della loro efficacia. Grava sull’Ente il solo accertamento dell’assenza di impedimenti legati alla risoluzione del rapporto lavorativo.

L’istanza presentata dal dipendente non può essere sottoposta a condizioni, questo a pena di nullità.

Ne consegue che, una volta risolto il rapporto, per la sua ricostituzione[4] è necessario che le parti stipulino un nuovo contratto di lavoro: la revoca, infatti, non è ritenuta sufficiente ad eliminare l’effetto risolutivo che si è prodotto con le dimissioni da parte del lavoratore, neppure se la stessa interviene in costanza di preavviso.

Sicché, le dimissioni volontarie hanno effetto immediato e divengono, con ciò, irrevocabili. Per cui un eventuale ripensamento non produrrebbe alcun effetto proprio perché il suo intervento si registra in un rapporto già risolto che fa venir meno tutte le situazioni soggettive del lavoratore.

Va precisato che il lavoratore è tenuto a rispettare dei termini di preavviso, definiti dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoratori del comparto Funzioni Locali, sottoscritto in data 09.05.2006, che variano a seconda dell’anzianità di servizio.

A rigore dell’art. 12, comma 1, del citato C.C.N.L. «in tutti i casi in cui il […] contratto prevede la risoluzione del rapporto con preavviso o con corresponsione dell’indennità sostitutiva dello stesso, i relativi termini sono fissati come segue: a) due mesi per dipendenti con anzianità di servizio fino a cinque anni; b) tre mesi per dipendenti con anzianità di servizio fino a dieci anni; c) quattro mesi per dipendenti con anzianità di servizio oltre dieci anni».

Il secondo comma stabilisce, poi, che «in caso di dimissioni del dipendente i termini di cui al comma 1 sono ridotti alla metà».

Tali margini temporali, come sottolineato dal comma 3 del citato art. 12,  decorrono dal primo o dal sedicesimo giorno di ciascun mese.

«La parte che risolve il rapporto di lavoro senza l’osservanza dei termini di cui ai commi 1 e 2 è tenuta a corrispondere all’altra parte un’indennità pari all’importo della retribuzione spettante per il periodo di mancato preavviso. L’amministrazione ha diritto di trattenere su quanto eventualmente dovuto al dipendente, un importo corrispondente alla retribuzione per il periodo di preavviso da questi non dato, senza pregiudizio per l’esercizio di altre azioni dirette al recupero del credito», così stabilisce l’art. 12, comma 4, del C.C.N.L. funzioni locali sottoscritto del 09.05.2006.

L’obbligazione di pagamento dell’indennità sostitutiva non è, tuttavia, alternativa all’onere di dare il preavviso: rappresenta semplicemente una sorta di risarcimento per il comportamento della parte inadempiente.

Sul calcolo di tale indennità sostitutiva del preavviso si sofferma il comma 9 del cennato art. 12 che richiama la necessità di computare «la retribuzione di cui all’art. 10, comma 2, lett. c)[5]; l’assegno per il nucleo familiare, ove spettante; il rateo della tredicesima mensilità maturato […]; l’indennità di comparto […]; le altre voci retributive già considerate utili ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto di lavoro […]».

Menzione a parte meritano i dipendenti a tempo determinato, per i quali, a mente dell’art. 61, comma 4, del C.C.N.L. funzioni locali sottoscritto il 16.11.2022, «[…] il termine di preavviso è fissato in un giorno per ogni periodo di lavoro di 15 giorni contrattualmente stabilito e, comunque, non può superare i 30 giorni, nelle ipotesi di durata dello stesso superiore all’anno. In caso di dimissioni del dipendente, i termini sono ridotti alla metà, con arrotondamento all’unità superiore dell’eventuale frazione di unità derivante dal computo».

«In presenza di rapporto a tempo parziale verticale non si riducono i termini previsti […] per il preavviso che vanno calcolati con riferimento ai periodi effettivamente lavorati»[6].

«L’amministrazione può opporsi alla risoluzione del rapporto per l’ipotesi che non sia ancora decorso il termine di preavviso ovvero qualora non sia ancora concluso il procedimento disciplinare cui il dipendente dimissionario sia sottoposto, purché instaurato prima della presentazione della istanza di recesso»[7].

Infine, l’art. 55 bis del D.Lgs. n. 165/2001, al comma 9, chiarisce che «la cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare salvo che per l’infrazione commessa sia prevista la sanzione  del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio. In tal caso le  determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro».

In argomento appare utile anche richiamare l’art. 55, comma 1, del D.Lsg. n. 55/2001 secondo cui «in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma  dell’articolo 54[8], il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso».

Questa disposizione si applica anche al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità e nel  caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

Il comma 4 del citato articolo 55 specifica, poi, che «la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta  di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore  adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’articolo 54, comma 9, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del  Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida è  sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro».

 

  1. La dibattuta applicazione dell’indennità di mancato preavviso

 

Frequentemente, per evidenti motivi di contingenza legati alla data di presa servizio nel nuovo Ente e quindi non direttamente riconducibili alla propria responsabilità, il dipendente si trova nella materiale impossibilità di poter osservare il termine di preavviso di cui all’art. 12, commi 1 e 2, del C.C.N.L. comparto Funzioni Locali del 09.05.2006.

Ed è così che, nella nota delle dimissioni, molti lavoratori avanzano formale istanza affinché possa essere valutata positivamente, da parte dell’Ente, la rinuncia all’indennità di mancato preavviso a seguito di dimissioni presentate per la sola, esclusiva, opportunità di ricoprire un più alto ruolo presso altra Amministrazione dello Stato in esito a pubblico concorso.

Sul punto è dirimente richiamare la dichiarazione congiunta n. 2 allegata al C.C.N.L. comparto Funzioni Locali, sottoscritto il 05.10.2001, a mente della quale «[…] gli Enti possono valutare positivamente e con disponibilità, ove non ostino particolari esigenze di servizio, la possibilità di rinunciare al preavviso, nell’ambito delle flessibilità secondo quanto previsto dall’art.39 del C.C.N.L. del 06.07.1995, come sostituito dall’art.7 del C.C.N.L. del 13.05.1996, qualora il dipendente abbia presentato le proprie dimissioni per assumere servizio presso altro ente o amministrazione a seguito di concorso pubblico e la data di nuova assunzione non sia conciliabile con il vincolo temporale del preavviso».

In argomento l’A.R.A.N., Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, ha precisato che «[…] proprio perché essa rappresenta solo un mero auspicio delle parti negoziali ad un determinato comportamento del datore di lavoro pubblico, senza alcun profilo di precettività o vincolatività (ogni valutazione è rimessa sempre al singolo ente: “Le parti ritengono che gli enti possono valutare …”), si ritiene che essa, essendo legata sostanzialmente alla disciplina del preavviso possa ritenersi ancora attuale, pure in presenza della nuova regolamentazione dell’istituto del preavviso, contenuta nell’art.12 del CCNL del 9.5.2006. Infatti, questa nulla ha innovato in ordine allo specifico punto della possibile rinuncia da parte del datore di lavoro al preavviso, cui la dichiarazione congiunta si collega, sia pure solo nei termini sopra descritti»[9].

La questione è, però, dibattuta. Molti enti invocano, per il mancato accoglimento, specifiche esigenze di servizio ancorate alla cronica carenza di personale, considerato che le dimissioni, giocoforza, arrecano comunque disagi nell’organizzazione degli uffici. Altre amministrazioni, dal canto loro, nell’ottica di mantenere un trattamento uniforme verso i dipendenti, tengono conto delle prassi[10] relative a casi analoghi di dimissioni con mancato preavviso proprio per non aggravare inutilmente il percorso professionale verso la nuova amministrazione, avvalendosi di quanto previsto dalla dichiarazione congiunta n. 2 allegata al C.C.N.L. Locali del 05.10.2001 e, ove applicabile, anche del comma 5 dell’art. 12 del C.C.N.L. del 09.05.2006 a tenore del quale «è in facoltà della parte che riceve la comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro di risolvere il rapporto stesso, sia all’inizio, sia durante il periodo di preavviso, con il consenso dell'altra parte. In tal caso non si applica il comma 4 [11]». In questo caso nulla viene richiesto al dipendente.

L’assegnazione delle ferie, come stabilisce il comma 6 del menzionato art. 12, «non può avvenire durante il periodo di preavviso». Sulla questione è bene anche precisare che la mancata fruizione, prima della risoluzione del rapporto di lavoro, non dà diritto all’eventuale monetizzazione[12] delle stesse, nemmeno nel caso di quelle maturate e non fruite per ragioni di servizio[13]. Tale soluzione non è praticabile per le precise prescrizioni contenute all’art. 5, comma 8, del Decreto-Legge n. 95/2012[14]: «le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale […] delle amministrazioni pubbliche […] sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile. […]».

Secondo consolidati orientamenti applicativi dell’ARAN per le diverse ipotesi di assenza dal lavoro (malattia, ecc.) si applica in via analogica il principio privatistico per cui le stesse sospendono il decorso del preavviso. E ciò trova la sua spiegazione nella circostanza che fino alla scadenza del periodo di preavviso il rapporto è ancora giuridicamente attivo e, quindi, gli istituti ad esso attinenti trovano ancora applicazione.

 

  1. Il diritto alla conservazione del posto fino al superamento del periodo di prova

 

Il dipendente[15] a tempo indeterminato vincitore di concorso, o comunque assunto a seguito di scorrimento[16] di graduatoria, durante il periodo di prova «ha diritto alla conservazione del posto, senza retribuzione, presso l’ente di provenienza per un arco temporale pari alla durata del periodo di prova formalmente prevista dalle disposizioni contrattuali applicate nell’amministrazione di destinazione», secondo quanto stabilito dall’art. 25, comma 10, del C.C.N.L. comparto Funzioni Locali sottoscritto in data 16.11.2022.

Resta inteso, sempre in relazione a quanto previsto dalla richiamata norma contrattuale, che «in caso di mancato superamento della prova o per recesso di una delle parti, il dipendente stesso rientra, a domanda, nell’Area, profilo professionale e differenziale economico di professionalità di provenienza».

Si tratta, in sostanza, di una riammissione in servizio che ha la caratteristica di essere obbligatoria e non discrezionale; il posto precedentemente ricoperto dal dipendente deve essere considerato vacante, ma non disponibile, per tutto il periodo nel quale è prevista la conservazione.

Di conseguenza, nel proprio atto determinativo, il dirigente dell’area risorse umane o il responsabile di servizio preposto[17], prenderà atto delle dimissioni volontarie rassegnate dal dipendente, specificando in maniera puntuale la decorrenza e indicando anche l’ultimo giorno di lavoro[18],  precisando che il lavoratore, in applicazione del citato art. 25, comma 10, conserverà il proprio posto di lavoro presso l’Ente, senza retribuzione, per l’arco temporale pari alla durata del periodo di prova previsto dalle disposizioni contrattuali applicate nell’amministrazione di destinazione.

Il particolare beneficio alla conservazione del posto presso l’Ente di provenienza non spetta, però, al dipendente che receda durante il periodo di prova. A chiarirlo è il comma 11 del C.C.N.L. funzioni locali sottoscritto il 16.11.2022: «la disciplina del comma 10 non si applica al dipendente a tempo indeterminato, vincitore di concorso, che non abbia ancora superato il periodo di prova nell’ente di appartenenza».

 

  1. L’opposta ipotesi della rinuncia alla chiamata nel nuovo ente e il timore del depennamento

 

Una dei grandi dubbi che assale i vincitori e gli idonei in nuovi concorsi, qualora la scelta di accettare non è del tutto dominante, è quella di capire se una eventuale rinuncia arrechi pregiudizi alla propria posizione in graduatoria.

Sul punto, recentemente, si sono pronunciati i giudici della prima sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo i quali, nella sentenza n. 125 del 12 aprile 2022, hanno evidenziato che il depennamento dalla graduatoria ha conseguenze pregiudizievoli per l’interesse del candidato «[…] perché fa conseguire alla sua rinuncia all’assunzione l’impedimento all’accesso a impieghi presso la stessa o altre amministrazioni nei tre anni di validità della graduatoria. Va aggiunto, inoltre, che l’essere vincitore di concorso notoriamente può costituire titolo valutabile in altre procedure concorsuali che il depennamento dalla graduatoria impedirebbe di documentare con conseguente ulteriore pregiudizio dell’interesse della ricorrente alla valorizzazione del suo curriculum».

In conseguenza l’eventuale misura assunta della cancellazione dalla graduatoria in caso di rinuncia al posto da ricoprire, ove la lex specialis nulla preveda in merito, «[…] è illegittima in quanto atipica, perché né la legge, né il bando di concorso la prevedono come conseguenza della rinuncia all’assunzione - come invece è espressamente stabilito in altri comparti[19] del pubblico impiego […]»[20].

Anche nella ipotesi in cui il bando preveda la decadenza dal diritto all’assunzione alla formale rinuncia all’impiego o in seguito alla mancata presa di servizio, questa non potrà mai riguardare  l’iscrizione nella graduatoria.

Come evidenziato dai giudici del TAR Abruzzo nella sentenza in commento «occorre chiarire che la decadenza dal diritto all’assunzione deve essere correttamente intesa ai sensi dell’art. 1326[21] c.c. come inefficacia della eventuale accettazione della proposta di assunzione (rivolta dall’amministrazione al vincitore) conseguente all’inutile decorso del termine stabilito per la presa di servizio e dunque la mancata tempestiva adesione alla proposta di assunzione consente di coprire il posto riservato al vincitore della selezione mediante scorrimento[22] della graduatoria. Ne consegue che la decadenza del rinunciatario dal diritto all’assunzione prevista dal bando è circoscritta alla prima proposta di assunzione per i posti messi a concorso, non alle successive che, ove si rendano disponibili ulteriori posti dello stesso profilo, l’amministrazione potrà formulare previo scorrimento della graduatoria, nella quale dunque il vincitore rinunciatario ha interesse e titolo a permanere».

 

  1. Conclusioni

 

Come argomentato nelle pagine che precedono, le dimissioni volontarie del lavoratore, costituendo un negozio unilaterale recettizio, hanno una efficacia immediata e non sono subordinate all’accoglimento da parte dell’Ente. Per tale motivo l’atto ha un effetto immediato e diviene, con ciò, irrevocabile.

In favore del dipendente che lascia la propria posizione lavorativa consolidata, per affacciarsi ad una nuova realtà, viene riconosciuto il diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro, senza retribuzione, per un arco temporale pari alla durata del periodo di prova formalmente prevista dalle disposizioni contrattuali applicate nell’amministrazione di destinazione. Una sorta di paracadute nel caso in cui il nuovo lavoro non dovesse convincere del tutto. Del resto, richiamando un vecchio adagio popolare, «chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non quel che trova». Il dipendente, infatti, si allontana da un ambiente lavorativo che conosce in profondità ben consapevole di non avere piena cognizione di ciò che lo attenderà.

In capo al dipendente che si dimette grava, però, l’onere di osservare i termini di preavviso al datore di lavoro. In caso contrario dovrà essere corrisposta una indennità sostitutiva che sarà trattenuta dell’Ente sull’ultima retribuzione dovuta.

Molto spesso, per evidenti motivi di contingenza non direttamente riconducibili alla responsabilità del dipendente, perché legati esclusivamente opportunità di assumere servizio in più alto ruolo presso altra Amministrazione dello Stato, essendo la data della nuova assunzione non conciliabile con il vincolo temporale del preavviso, il dipendente si è trova nella materiale impossibilità di poter osservare il termine di preavviso cui all’art. 12, commi 1 e 2, del C.C.N.L. comparto Funzioni Locali del 09.05.2006.

Sul punto viene in aiuto la dichiarazione congiunta n. 2 allegata al C.C.N.L. comparto Funzioni Locali del 05 ottobre 2001, secondo cui gli Enti possono valutare positivamente - e con disponibilità, ove non ostino particolari esigenze di servizio - la possibilità di rinunciare al preavviso, nell’ambito delle flessibilità riconosciute dalle norme, qualora il dipendente abbia presentato le dimissioni proprio per assumere servizio presso altra amministrazione in esito a pubblico concorso e quando la data della nuova assunzione diviene inconciliabile con i vincoli temporale previsti .

Anche l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, in argomento, ha precisato che proprio perché tale disposizione contrattuale rappresenta solo un auspicio ad un determinato comportamento del datore di lavoro pubblico, senza alcun profilo di precettività o vincolatività, ogni valutazione è rimessa al singolo ente.

La vexata questio non appare del tutto sopita perché da un lato molti enti propendono per il mancato accoglimento, invocando specifiche esigenze di servizio legate alla cronica  carenza di personale e i conseguenti disagi. Dall’altro, diverse amministrazioni, nell’ottica di mantenere un trattamento uniforme verso i dipendenti, tengono conto delle prassi relative a casi analoghi di dimissioni con mancato preavviso avvalendosi di quanto previsto dalla citata dichiarazione congiunta n. 2 allegata al C.C.N.L. Locali del 05.10.2001 e, ove applicabili, anche di altre norme contrattuali.

 

 

* Abilitato all’esercizio della professione di Avvocato, Perfezionato in Amministrazione e Finanza degli Enti Locali presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Responsabile del procedimento di Ente Locale.

[1] Per approfondimenti sul tema delle autonomie locali si rimanda a: CARINGELLA F., Manuale ragionato di Diritto Amministrativo, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2019 - CARPINO R., Testo unico degli Enti locali commentato, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna (Rn), 2018 - CHIEPPA R. e GIOVAGNOLI R., Manuale di Diritto Amministrativo, Giuffrè Editore, Milano, 2011 - DE MARZIO G. e TOMEI R., Commentario al Testo Unico sugli Enti Locali, Cedam, Padova, 2002 - VANDELLI L., Il Sistema delle Autonomie Locali, Il Mulino, Bologna, 2021.

[2] TENORE V. (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, EPC Editore, Roma, 2020.

[3] Cfr., ex multis, Corte di Cassazione, sezione lavoro, 14 febbraio 2017, sentenza n. 3860.

[4] L’art. 26, comma 1, del C.C.N.L. funzioni locali sottoscritto il 16.11.2022, in relazione alla ricostituzione del rapporto di lavoro, così stabilisce: «il dipendente il cui rapporto di lavoro si sia interrotto per effetto di dimissioni può richiedere, entro 5 anni dalla data delle dimissioni stesse, la ricostituzione del rapporto di lavoro. In caso di accoglimento della richiesta, il dipendente è ricollocato nella medesima posizione rivestita, secondo il sistema di classificazione applicato nell’ente, al momento delle dimissioni». Il successivo comma 3 chiarisce che «per effetto della ricostituzione del rapporto di lavoro, al lavoratore è attribuito il trattamento economico corrispondente alla categoria/area, al profilo ed alla posizione economica rivestita al momento della interruzione del rapporto di lavoro, con esclusione della retribuzione individuale di anzianità e di ogni altro assegno personale, anche a carattere continuativo e non riassorbibile». Come previsto dal comma 4, altresì, «[…] la ricostituzione del rapporto di lavoro è subordinata alla disponibilità del corrispondente posto nella dotazione organica dell’ente».

[5] «Retribuzione individuale mensile […] costituita dalla retribuzione base mensile […], dalla retribuzione individuale di anzianità, dalla retribuzione di posizione nonché da altri eventuali assegni personali a carattere continuativo e non riassorbibile».

[6] Art. 62, comma 9, del C.C.N.L. funzioni locali sottoscritto il 16.11.2022.

[7] TENORE V. op. cit.

[8] «Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento opera in connessione con  lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore  di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d) di esito negativo della prova; resta  fermo il divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività  dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio  1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l’ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività dell’azienda di cui al comma 3, lettera b). Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo. È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui agli articoli 27-bis e 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5. L’inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge  24 novembre 1981, n. 689. Inoltre, ove rilevata nei due anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, o di analoghe certificazioni previste dalle regioni e dalle province autonome nei rispettivi ordinamenti, impedisce al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale, il divieto opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ai sensi dell’articolo 31, terzo comma, lettera d), della Legge n. 184/1983 e successive modificazioni, ovvero della comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta   di abbinamento».

[9] Orientamento applicativo A.R.A.N. reso in data 11.02.2014 e identificato con la sigla RAL_1678.

[10] Si vedranno gli atti d’ufficio, lo statuto e il vigente regolamento sull’ordinamento generale degli uffici e dei servizi.

[11] «La parte che risolve il rapporto di lavoro senza l’osservanza dei termini di cui ai commi 1 e 2 è tenuta a corrispondere all’altra parte un’indennità pari all’importo della retribuzione spettante per il periodo di mancato preavviso. L’amministrazione ha diritto di trattenere su quanto eventualmente dovuto al dipendente, un importo corrispondente alla retribuzione per il periodo di preavviso da questi non dato, senza pregiudizio per l’esercizio di altre azioni dirette al recupero del credito».

[12] Sul punto il Dipartimento della Funzione Pubblica, Ufficio per l’organizzazione ed il lavoro pubblico, con parere n. DFP-0076251-P del 26.11.2020 ha evidenziato che «[…] risulterebbero escluse dal divieto di pagamento di trattamenti economici sostitutivi solo quelle cause estintive del rapporto di lavoro indipendenti sia dalla volontà del dipendente che dalla capacità organizzativa del datore di lavoro». Il divieto imposto dall’articolo 5, comma 8, del decreto-legge n. 95/2012 è inserito «[…] in un testo normativo recante misure di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica, tende a limitare le ipotesi demonetizzazione delle ferie, soprattutto allorquando la mancata fruizione sia dipesa dall’assenza di programmazione e di controlli da parte delle amministrazioni, anche relativamente al mancato rispetto delle clausole previste dalla disciplina negoziale sul tema del riporto delle ferie non fruite nell’annualità successiva».

[13] Al riguardo il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica citato alla nota che precede evidenzia che «[…] non si ritiene applicabile l’ipotesi di monetizzazione del periodo di ferie non utilizzato, non potendosi assentire deroghe non previste dalla legge, neanche laddove si tratti di amministrazioni di minore dimensione organizzativa […]».

[14] Convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 135/2012.

[15] Per approfondimenti sul tema del pubblico impiego privatizzato si rimanda a: BUSICO L. e TENORE V., La disciplina giuridica dei concorsi nel pubblico impiego, Giuffrè, Milano, 2006 - TENORE V. (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, EPC Editore, Roma, 2020 - FIORILLO L., Il diritto del lavoro nel pubblico impiego, Piccin, Padova, 2019 - GALANTINO L. (continuato da M. La Notte), Diritto del lavoro pubblico, Giappichelli, Torino, 2019.

[16] Per un approfondimento sul tema si rimanda a: IORIO P., Lo scorrimento delle graduatorie quale eccezionale all’indizione di nuovi concorsi pubblici. Norme afferenti e interpretazione del c.d. diritto vivente, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2022 e IORIO P., La vexata quaestio della compatibilità dei profili part-time per le assunzioni a tempo pieno attraverso l’attingimento da graduatorie, in Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, pubblicato in data 30.12.2022.

[17] Il riferimento è agli Enti privi di figure dirigenziali.

[18] Ai sensi del comma 7 dell’art. 12 del CCNL del 09.05.2006 «il periodo di preavviso è computato nell’anzianità a tutti gli effetti».

[19] Il riferimento è, a mero titolo di esempio, all’art. 1, comma 109, lettera a), della Legge n. 107/2015 (che disciplina l’accesso ai ruoli a tempo indeterminato del personale docente secondo) a tenore del quale «la rinuncia all’assunzione nonché la mancata accettazione in assenza di una valida e motivata giustificazione comportano la cancellazione dalla graduatoria di merito».

[20] Cfr. TAR Abruzzo, sez. I, 12 aprile 2022, sentenza n. 125.

[21] «Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi. Il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte. Qualora il  proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa. Un’accettazione  non conforme alla proposta equivale a nuova proposta».

[22] Per un approfondimento sul tema si rimanda a IORIO P., Lo scorrimento delle graduatorie quale eccezionale all’indizione di nuovi concorsi pubblici. Norme afferenti e interpretazione del c.d. diritto vivente, in Osservatorio sulle fonti, ISSN 2038-5633, n. 1/2022.