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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

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La Corte Costituzionale e la legittimità delle procedure concorsuali riservate a posti di docente nella scuola secondaria nelle ipotesi di norme-provvedimento: i presupposti del rinvio pregiudiziale alla luce dell’evoluzione dell’orientamento del Giudice delle Leggi.

Di Nicola Mancinelli
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La Corte Costituzionale e la legittimità delle procedure concorsuali riservate a posti di docente nella scuola secondaria nelle ipotesi di norme-provvedimento: i presupposti del rinvio pregiudiziale alla luce dell’evoluzione dell’orientamento del Giudice delle Leggi

(sentenza 5 aprile 2022, n. 89)

 

Di NICOLA MANCINELLI

 

 

SOMMARIO: 1. Introduzione: il sistema di reclutamento del personale docente della scuola secondaria, ai sensi del d.lgs. n. 59/2017, e la disciplina transitoria di cui all’art. 17: requisiti, quote e modalità di svolgimento delle procedure concorsuali riservate. 2. La disciplina transitoria introdotta dall’art. 1 decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 2019, n. 159: art. 1, comma 18 ter e delimitazione delle modalità di partecipazione per gli aspiranti al reclutamento sui posti di sostegno. 3. L’iter giudiziario relativo alla procedura bandita ai sensi dell’art. 1 decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126: l’ordinanza di remissione del Consiglio di Stato n. 604 del 09 febbraio 2021 e le ipotesi di illegittimità prospettate. 4. La pronunzia della Corte Costituzionale n. 89-2022: accesso riservato, applicazione del principio di uguaglianza in senso diacronico e presupposti del rinvio pregiudiziale nell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità.  5. Considerazioni conclusive.

 

 

 

  1. Introduzione: il sistema di reclutamento del personale docente della scuola secondaria, ai sensi del d.lgs. n. 59/2017, e la disciplina transitoria di cui all’art. 17: requisiti, quote e modalità di svolgimento delle procedure concorsuali riservate

 

Con la sentenza qui in commento la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art 1, comma 18-ter, del decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 (Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 2019, n. 159, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 32, 34 e 113 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza 09 febbraio 2021, n. 604, e non fondate le questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 1, comma 18-ter, del d.l. n. 126 del 2019, come convertito, contestualmente eccepite, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., con la predetta pronuncia.

 

Con l'entrata in vigore, il 31 maggio 2017, del Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, recante «Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107», è stato introdotto un nuovo sistema di formazione iniziale e di reclutamento dei docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Il d.lgs. ad oggi prevede (è, infatti, in corso l’esame parlamentare per la conversione del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, che reca significative novità in merito) un percorso ordinario per la formazione iniziale ed il reclutamento denominato FIT (acronimo per Formazione Inserimento e Tirocinio).

Il predetto intervento ha inteso, in estrema sintesi, innovare il sistema di reclutamento degli insegnanti nella scuola secondaria, prevedendo, in buona sostanza, che a regime si possa essere assunti superando un concorso per titoli ed esami, bandito tendenzialmente ogni due anni (ogni anno secondo la previsione/intenzione manifestata dal legislatore già nel 2021, giusta quanto previsto, ad esempio, dal d.l. 28 marzo 2021, n. 73, conv. con legge 23 luglio 2021, n. 106). A tale concorso ai sensi dell’art. 5 comma 1, sono ammessi i candidati in possesso congiunto di “laurea magistrale o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso” (lettera a) e di “24 crediti formativi universitari o accademici …” detti CFU/CFA, “acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra curricolare nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche” dei quali, “almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche” (lettera b).

Per quanto invece riguarda gli insegnanti tecnico pratici – ITP, ai sensi dell’art. 5 comma 2 al concorso ordinario sono ammessi i candidati in possesso congiunto di “laurea, oppure diploma dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica di primo livello, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso” (lettera a) e di 24 CFU/CFA come sopra conseguiti (lettera b).

In entrambi i casi, superato il concorso, era originariamente contemplata l’ammissione ad un percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente, detto “percorso FIT”, all’esito del quale veniva perfezionata l’assunzione a tempo indeterminato.

Nel decreto risulta prevista, ad ineludibile complemento del regime ordinario e salvaguardia delle posizioni di legittimo affidamento maturate in costanza del previgente regime, una fase transitoria con un concorso riservato ai docenti già abilitati per la costituzione di una graduatoria di merito regionale ad esaurimento. I docenti inclusi in queste graduatorie venivano individuati sul 100% dei posti rimasti liberi dopo le assunzioni dal concorso bandito nell'anno 2016 e dalle graduatorie da esaurimento per gli anni scolastici 2018/2109 e 2019/2020, mentre per gli anni successivi era contemplata una riduzione di tale percentuale a beneficio dei docenti non abilitati, iscritti in III fascia delle GI, che vantassero almeno tre anni di servizio e dei vincitori del concorso ordinario a bandirsi, viceversa e principalmente, per i soggetti sprovvisti sia di titolo abilitante che di requisiti di servizio consistente per la classe di concorso di interesse.

Il sistema delineato dal regime ordinario e dalla predetta normativa transitoria prevedeva, allora, attraverso il superamento di un concorso per titoli ed esami diversamente articolati, l’ammissione ad un percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente, detto “percorso FIT”, superato il quale si viene assunti a tempo indeterminato.

In particolare, il legislatore prescriveva l'avvio dei suddetti concorsi a partire dal 2018, con cadenza biennale, su tutti i posti vacanti e disponibili nel terzo e quarto anno scolastico successivo a quello nel quale vengono espletati.

Avrebbero potuto parteciparvi tutti i docenti in possesso dei titoli di studio richiesti e di almeno 24 crediti in settori formativi antropo-psico-pedagogici e nelle metodologie e tecniche didattiche (definiti nel dettaglio con apposito decreto ministeriale). Il concorso prevede due prove scritte e una prova orale.

La procedura, oggetto del rinvio pregiudiziale poi definito con sentenza Corte Cost. n. 130-2019[1], è riconducibile, giustappunto, alla fase transitoria contemplata per i docenti già abilitati.

La fase transitoria contemplava le assunzioni, ai sensi degli artt. 399 ss. del D.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 e s.m.i., dalle GAE (Graduatorie ad esaurimento) e dalle graduatorie di merito del concorso ordinario bandito con D.D.G. 23 febbraio 2016, n. 106, alle quali si aggiungono le assunzioni da una nuova graduatoria dei docenti abilitati e da un concorso riservato per chi ha maturato 3 anni di servizio negli ultimi 8 anni, oltre che dal concorso ordinario.

Le assunzioni avvenivano, nel primigenio disegno del legislatore, al 50% dalle GAE e i restanti posti risultavano assegnati al concorso 2016. Fino alla scadenza del concorso (triennio) era previsto che avessero diritto all’assunzione anche coloro che, seppur non utilmente collocati nella graduatoria di merito ai fini dell'immissione in ruolo, avessero comunque superato tutte le prove (cosiddetti idonei non vincitori). I vincitori, in ogni caso, mantenevano il diritto all’assunzione anche dopo la scadenza naturale delle graduatorie.

Qualora fossero residuati posti non coperti si sarebbe attinto alle nuove graduatorie degli abilitati ed ai nuovi concorsi (riservato e ordinario) con quote percentuali che diminuiscono nel tempo.

La graduatoria regionale di merito della procedura concorsuale riservata agli abilitati iscritti nella II fascia GI (graduatorie d’istituto e circolo istituite con regolamento portato dal D.M. 13 giugno 2007, n. 131) veniva costituita all'esito della sola prova orale senza sbarramento. Gli assunti da questa graduatoria erano assegnati direttamente al terzo anno del percorso FIT (supplenza annuale) e, in caso di valutazione positiva, assunti a tempo indeterminato l’anno successivo.

Questa graduatoria provvedeva a coprire il 100% dei posti rimasti (per esaurimento delle GAE e del concorso 2016), nel 2018/2019 e nel 2019/2020. Negli anni successivi la percentuale decresceva fino al 20% e la quota restante (oltre ai posti eventualmente residuati per esaurimento della stessa) era assegnata ai nuovi concorsi riservati e ordinari.

Al concorso riservato ai docenti precari non abilitati sarebbe spettato, invece, al netto dei posti riservati alle GAE, GM, GMRE (graduatorie di merito regionali), il 100% dei posti disponibili per le immissioni in ruolo nel 2020/2021, il 60% nel 2021/2022 e negli anni successivi quote decrescenti fino al 20%. Il concorso riservato, a bandirsi per la prima volta nel corrente anno 2018, con successiva cadenza biennale, prevede solo una delle due previste prove scritte e la prova orale, con partecipazione garantita agli aspiranti, non abilitati che abbiano maturato, come visto alla data di scadenza, almeno 3 anni di servizio (180 gg.) negli ultimi 8 anni, senza necessità di dover produrre i 24 crediti nei settori antropo-psico-pedagogici e nelle metodologie didattiche.

Gli assunti da questo concorso sarebbero stati, altresì, esonerati dal secondo anno del percorso FIT, atteso che, all'esito del superamento delle prove concorsuali propriamente dette, avrebbero conseguito titolo abilitante all'insegnamento e, conseguentemente, si troveranno nell'obbligo di frequentare il terzo anno del percorso di formazione (supplenza annuale) e, in caso di valutazione positiva, assunti a tempo indeterminato l’anno scolastico successivo.

In estrema sintesi, pertanto, la fase transitoria (art. 17 cit.) contemplava le assunzioni ai sensi degli artt. 399 ss. T.U.P.I. (D.lgs. 297/94 e s.m.i.) dalle GAE e dal concorso 2016, alle quali si aggiungevano le assunzioni da una nuova graduatoria dei docenti abilitati (art. 17 comma 2, lett. b) e da un concorso riservato per chi avesse maturato (art. 17 comma 2, lett. c), oltre che dal concorso ordinario FIT (art. 17 comma 2, lett. d).

La delega esercitata dal legislatore con il decreto legislativo 59/2017, quale poi attuata in fase esecutiva sul piano amministrativo dal d.d.g. n. 85/2018 poi impugnato, provvedeva ad individuare, quindi, un regime ordinario (passando dal concorso ordinario per i soli soggetti in possesso di abilitazione al concorso ordinario-FIT aperto a tutti gli aspiranti docenti provvisti di idoneo titolo di studio, prescindendo dal possesso dell'abilitazione), aperto a tutti i docenti in possesso dei titoli di studio richiesti e di complessivamente 60 crediti in settori formativi antropo-psico-pedagogici e nelle metodologie e tecniche didattiche,  ed un regime transitorio atto a opportunamente salvaguardare il legittimo affidamento di quei soggetti che:

  1. avessero speso anni e risorse economiche per il conseguimento di titolo abilitante, quando considerato imprescindibile per la partecipazione al concorso pubblico per l'assunzione in ruolo (art. 17 co. 2 lett. b). Gli assunti da questa graduatoria sarebbero stati (originariamente, visto il successivo intervento del decreto-legge n. 126/19, che ha ridotto la durata del percorso formativo) assegnati direttamente al terzo anno del percorso FIT (supplenza annuale) e, in caso di valutazione positiva, assunti a tempo indeterminato l’anno successivo.
  2. o, comunque, fossero stati ripetutamente utilizzati dall'Amministrazione per la copertura delle supplenze resesi necessarie, sebbene in difetto di abilitazione (3 anni di servizio negli ultimi 8 anni di cui all’art. 17 co. 2 lett. c), senza necessità di dover produrre i 24 crediti nei settori antropo-psico-pedagogici e nelle metodologie didattiche in virtù dell’esperienza professionale maturata sul “campo”.

 

 

  1. La disciplina transitoria introdotta dall’art. 1 decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 2019, n. 159: art. 1, comma 18-ter e delimitazione delle modalità di partecipazione per gli aspiranti al reclutamento sui posti di sostegno.

 

Con il Decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126, all’art. 1 è stata autorizzata, “contestualmente al concorso ordinario per titoli ed esami di cui all'articolo 17, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, entro il 2019, una procedura straordinaria per titoli ed esami per docenti della scuola secondaria di primo e di secondo grado, finalizzata all'immissione in ruolo [..]”.

Il quinto comma, lett. a) b) e c), dell’art. 1 prevede che la partecipazione è riservata ai soggetti anche di ruolo che, congiuntamente “tra l'anno scolastico 2008/2009 e l'anno scolastico 2019/2020, hanno svolto, su posto comune o di sostegno, almeno tre annualità di servizio, anche non consecutive, valutabili come tali ai sensi dell'articolo 11, comma 14, della legge 3 maggio 1999, n. 124; hanno svolto almeno un anno di servizio, tra quelli di cui alla lettera a), nella specifica classe di concorso o nella tipologia di posto per la quale si concorre; posseggono, per la classe di concorso richiesta, il titolo di studio di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, fermo restando quanto previsto all'articolo 22, comma 2, del predetto decreto. Per la partecipazione ai posti di sostegno è richiesto l'ulteriore requisito del possesso della relativa specializzazione. Il servizio svolto su posto di sostegno in assenza di specializzazione è considerato valido ai fini della partecipazione alla procedura straordinaria per la classe di concorso, fermo restando quanto previsto alla lettera b). I soggetti che raggiungono le tre annualità di servizio prescritte unicamente in virtu' del servizio svolto nell'anno scolastico 2019/2020 partecipano con riserva alla procedura straordinaria di cui al comma 1. La riserva è sciolta negativamente qualora il servizio relativo all'anno scolastico 2019/2020 non soddisfi le condizioni di cui al predetto articolo 11, comma 14, entro il 30 giugno 2020”.

In particolare, per la partecipazione ai posti di sostegno, l’art. 1, comma 5 lett. c) si premura di disporre “l'ulteriore requisito del possesso della relativa specializzazione. Il servizio svolto su posto di sostegno in assenza di specializzazione è considerato valido ai fini della partecipazione alla procedura straordinaria per la classe di concorso, fermo restando quanto previsto alla lettera b). [..]”.

Su tale prescrizione si innesta il successivo art. 1 comma 18-ter, oggetto del rinvio pregiudiziale poi definito con sentenza Corte Cost. n. 89/2022 qui in commento, disponendo: “Sono ammessi con riserva al concorso ordinario e alla procedura straordinaria di cui al comma 1, nonché ai concorsi ordinari per titoli ed esami per la scuola dell'infanzia e per la scuola primaria, banditi negli anni 2019 e 2020 per i relativi posti di sostegno, i soggetti iscritti ai percorsi di specializzazione all’insegnamento di sostegno avviati entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 

Tale è che i decreti attuativi della citata previsione (DD.DD. 23 aprile 2020, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 34 del 28 aprile 2020, recanti, il n. 510, «Procedura straordinaria, per titoli ed esami, per l’immissione in ruolo di personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune e di sostegno», il n. 498, «Concorso ordinario, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni e di sostegno della scuola dell'infanzia e primaria» ed il n. 499, «Concorso ordinario, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento del personale docente per posti comuni e di sostegno nella scuola secondaria di primo e secondo grado») prevedono all’art. 2 (requisiti di ammissione) l’esclusione dalla partecipazione alle singole, distinte procedure per i docenti che non abbiano maturato i requisiti richiesti dalle rispettive norme-provvedimento (D.lgs. n. 59/2017 e d.l. n. 126/19, sulle quali si innesta, come dianzi anticipato, l’ulteriore previsione speciale e derogatoria portata da quest’ultimo, all’art. 1 comma 18-ter, valevole ed applicabile, giustappunto, su tutte le procedure, di reclutamento ordinario, come per il caso dei concorsi per la scuola primaria/infanzia e la secondaria, e straordinario, limitato alla scuola secondaria).

L’accennata clausola, dunque, risulta essere clausola derogativa generale al principio di possesso dei requisiti di partecipazione alla data di scadenza del bando concorsuale e non espressamente limitata, per tabulas, alla sola procedura autorizzata in contemporanea alla selezione ordinaria per il medesimo grado e ruolo.

Pare, tuttavia, essere stato ritenuto di nullo rilievo dal Giudice a quo, in sede di rimessione, l’eterogeneità dei tre ricorsi riuniti in grado di appello cautelare, dei quali uno soltanto risultava proposto avverso l’esclusione dalla procedura straordinaria di immissione in ruolo sulla scuola secondaria prevista dall’art. 1 decreto-legge n. 126/19, giacché le ragioni dell’eccepita illegittimità costituzionale dell’art. 1 co. 18-ter si sono appuntate esclusivamente sulla ravvista indebita restrizione della platea di partecipanti alla procedura straordinaria poi effettivamente bandita con D.D. n. 510/2020 (su cui si avrà modo di tornare infra, alla luce delle motivazioni del Giudice delle Leggi).

Residua, quale dato di partenza dell’esame della sentenza cui ci si accinge, che una norma dichiaratamente “espansiva” delle modalità di accesso alle selezioni concorsuali (non tanto e solo ordinarie, ma soprattutto) riservate, nell’ambito dunque di un regime ex se straordinario, siccome già ricognitivo di una peculiarità de facto (lo status di precarietà derivante dal pregresso servizio a tempo determinato non inferiore a tre annualità sulle ultime dieci, di cui una almeno sulla classe di concorso/materia, ovvero posto sostegno nel caso di specie, di puntuale interesse), sia stata, viceversa, ritenuta quale illegittimamente discriminatoria quanto a favor partecipationis.

In buona sostanza, il limite cronologico fissato dall’articolo 1, comma 18-ter, pare corrispondere, nelle intenzioni del legislatore quali divisate dal Giudice ad quem, alla funzione di individuare la categoria di soggetti a cui la disposizione – di natura eccezionale per le varie ragioni finora accennate – si riferisce.

Essa, perciò, afferma, ai fini dell’ammissione con riserva alla procedura concorsuale straordinaria, che la partecipazione dei soggetti abilitandi, non ancora abilitati al termine di scadenza della presentazione della domanda di partecipazione, su sostegno è preservata nel caso in cui i relativi corsi di specializzazione risultino non tanto banditi, quanto effettivamente attivati precedentemente alla data di entrata in vigore della prescrizione poi.

Orbene, il legislatore compie una valutazione a monte, in base alla quale la posizione dei soggetti sprovvisti del titolo principale (specializzazione/abilitazione su sostegno) per l’accesso alla selezione per i posti d’interesse può essere tutelata sub condicione di un affidamento legittimamente ingenerato dalla fruizione dei percorsi formativi (TFA sostegno) in essere al momento dell’intervento normativo.

A questo proposito, varrà la pena riannodare brevemente i fili del giudizio amministrativo che ha condotto al rinvio pregiudiziale (§3), avendo cura, al contempo, di evidenziare le difformità del percorso argomentativo svolto in occasione del rinvio precedente, quale utile termine di raffronto con l’oggetto principale di queste note.

 

 

  1. L’iter giudiziario relativo alla procedura bandita ai sensi dell’art. 1 decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126: l’ordinanza di remissione del Consiglio di Stato n. 604 del 09 febbraio 2021 e le ipotesi di illegittimità prospettate

 

Con l’ordinanza in oggetto il Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, ha rimesso al Giudice delle Leggi la questione di legittimità costituzionale sull’art. 1, co. 18-ter del DL126/2019, nei limiti di sua manifesta non infondatezza «rispetto alla preclusione che tal norma pone alla possibilità di partecipazione, peraltro con riserva, al concorso bandito dal DDG n. 510/2020,che tal disposizione ha ovviamente replicato tal quale di soggetti che si trovano al momento dell’indizione della procedura straordinaria nella medesima situazione di altri abilitandi ammessi ma con l’unica differenza che il loro ciclo di abilitazione è stato avviato il 12 febbraio 2020 ( D.M. n. 95 del 2020 ), in data successiva alla data di conversione del decreto legge n. 126 del 2020 ( 29 dicembre 2019), ma comunque precedente l’indizione del concorso straordinario (decreto 23 aprile 2020 n. 510)» (Cons. St., ordinanza n. 604/21)[2].

Al riguardo va preliminarmente rilevato che solo 21 ricorrenti sono interessati al concorso straordinario (ricorso n. 8728/2020) ex D.D. n. 510/20, mentre n. 15 ricorrenti risultano ammessi al concorso ordinario su scuola infanzia e primaria ex DD 498/20 (ricorso n. 8733/2020) e gli altri 33 al concorso ordinario su scuola secondaria ex DD 499/20 (ricorso n. 8729/2020).

In particolare il Collegio, pur riconoscendo «per un verso, come ogni concorso, qual che sia la sua natura, fissi una propria dimensione temporale circa il possesso dei requisiti d’ammissione, per cui è fisiologico il fatto che taluni aspiranti non facciano comunque in tempo a divenire candidati, senza che ciò, di per sé solo, implichi un intento discriminatorio», non ha ritenuto condivisibile l’idea che la regula iuris configurata dalla previsione limite già contenuta nella norma-provvedimento sia di stretta interpretazione e non consenta di avallare una lettura costituzionalmente orientata in grazia della quale «l’agevolazione de qua non è una mera deroga al possesso della specializzazione qual requisito d’ammissione al concorso stesso, bensì un regime differenziato d'ausilio per consentire, grazie all’ammissione degli specializzandi o abilitandi, il ravvicinamento tra il tempo della loro specializzazione e quello dell’assunzione in ruolo di essi» e, conseguentemente, «detta agevolazione vale certo per i destinatari, ma è posta pure nell’interesse generale al reclutamento di docenti muniti, o in via di raggiungimento, della specializzazione sul sostegno —qualifica, questa, che dà effettività al diritto allo studio degli studenti diversamente abili—, tant’è che tutti i cicli di TFA/S son preordinati ad assicurare un definito, ma costante gettito di docenti specializzati da immettere nei ruoli in tempi i più brevi possibili».

Ne deriverebbe, di tal guisa, l’impossibilità di predicare la domanda attorea nei termini «di un’indebita dilatazione anche a favore di soggetti che sono, al momento del bando (in realtà, del termine di legge), ben lungi dall’essere ammessi ai corsi TFA/S riguardando invece proprio soggetti ammessi a detti corsi».

In buona sostanza, la sopravvenienza di circostanze impreviste e/o imprevedibili, quali la perdurante congiuntura epidemiologica, ha reso persuaso il Giudice a quo della ricorrenza del «difetto di ragionevolezza e d’imparzialità, che gli appellanti imputano al termine apposto per legge», che «si ravvisa non tanto in quest’ultimo in sé, quanto nella sua rigidità, aggravata per il non aver il legislatore previsto un rimedio perequativo nel caso, tutt’altro che infrequente, di mancato rispetto, pur se fortuito, della scansione annuale nell’attivazione dei corsi TFA, neppure in sede di normativa emergenziale conseguente alla pandemia di COVID19, quantunque quest’ultima abbia imposto lo slittamento sia del 5° ciclo di TFA che del concorso straordinario».

 

Di tal guisa, «cioè a causa della mera sfasatura temporale tra l’avvio postergato del 5° ciclo di TFA, rispetto ai tempi programmati di esso, e la regola sull’indizione del concorso straordinario, peraltro rinviato al 15 febbraio 2021», in assenza di tutela interinale si produrrebbe, a parere della Corte remittente, «quella nociva mora judicii che il giudizio cautelare deve evitare, specie se, come nel caso in esame, occorra apprestare una rapida piena tutela prima della decisione sul merito, in relazione al ristretto e inderogabile termine di partecipazione a tal procedura selettiva».

Ciò, atteso che «in caso di legge provvedimento che preveda un’ammissione con riserva di alcuni soggetti, concretamente individuati, il legislatore, per assicurare insieme il rispetto dei principi di uguaglianza, di ragionevolezza e, del pari, di buon andamento dell’amministrazione, avrebbe dovuto fare riferimento non alla data di conversione in legge del decreto ma all’attivazione della procedura abilitativa c.d. TFA in data antecedente a quella di indizione della procedura concorsuale straordinaria».

 

Pare subito potersi individuare un approccio, anche semantico, diverso rispetto alla vertenza che aveva generato il precedente della sentenza n. 130-2019[3].

La disparità di trattamento assumerebbe i tratti dell’irragionevole discriminazione, infatti, a cagione del carattere indebito della prestazione - il conseguimento dell’abilitazione/specializzazione sostegno entro un termine piuttosto che un altro - richiesta in termini di condizione previa[4].

 

Viepiù, il Supremo Consesso intende richiamare il rischio di una controproducente debordazione del legislatore nel dettagliare il perimetro di applicazione di norme in materia di reclutamento che, verosimilmente e pur rispondendo alla nobile intenzione di prevenire censure e “blindare” gli esiti delle procedure quanto alla generale opposizione alle disposizioni di lex specialis concretamente a presidio della singola procedura amministrativa, presterebbero il fianco alla puntuale critica di una cristallizzazione della realtà giuridica a fortiori.

In altre parole, pare potersi arguire dalle argomentazioni prima ricordate che l’adozione di norme-provvedimento appaia al Supremo Consesso come una soluzione sconsigliabile, atteso che, non potendo tener conto dei possibili eventi medio tempore a prodursi tra l’entrata in vigore della disposizione già direttamente precettiva e l’emanazione del bando amministrativo, esporrebbe la procedura stessa a plurime ragioni successive di annullamento.

Emerge, invero, una sorta di retro-pensiero del Collegio che, per entrambe le occasioni, ha manifestato un certo disagio a fronte di norme che prescindono dall’attività valutativa dell’Amministrazione, verosimilmente invocata proprio per rispondere – pur nell’invaso creato dalla norma autorizzativa di rango primario – alle specifiche “esigenze di comparto” della platea di destinatari, e delegano a priori al Legislatore stesso la comparazione prima e definitiva (chiusa, verrebbe da dire, e non aperta garantita dall’eventuale contradittorio procedimentale, di natura precipuamente amministrativa) degli interessi in gioco.

 

Cionondimeno, e al riguardo risultano a chi scrive condivisibili i rilievi del Giudice delle Leggi, non sono altrettanto scrutinate le ragioni specifiche alla base della scelta operata dal legislatore, con il risultato che la remissione sembrerebbe figlia, maggiormente poi nel caso risolto dalla sentenza n. 89-2022[5] che in quello oggetto della pronuncia n. 130-19, come si avrà modo di dirsi, di un pregiudizio metodologico prima ancora che di un necessitato (e perciò ammissibile) vaglio di rispondenza ai limiti di legittimità di tale forma di normazione.

Illuminante appare il passaggio con il quale il Giudice a quo, nell’ordinanza n. 604/21, afferma essere stato violato l’art. 113 Cost. perché la disposizione censurata, «legificando i bandi», avrebbe sottratto «senza motivazione alcuna alla tutela giurisdizionale le posizioni degli istanti lasciando al giudice amministrativo – per assicurare tutela – solo ed esclusivamente la strada della rimessione della norma al giudice delle leggi».

 

Quanto ai presupposti de facto, resterebbe sottratta ad una pregiudiziale censura di “metodo” l’innegabile, odierna tendenza del legislatore a provvedere puntualmente alla definizione della disciplina concorsuale in luogo dell’Amministrazione, allorché solo si osservi il dedalo di posizioni alternativamente vantate dai docenti aspiranti al ruolo in base a titoli ovvero età od anche maggiore utilizzazione quale “precario”, tale che sembra difficilmente stigmatizzabile la scelta del legislatore di approntare procedure effettivamente “cucite” sulle peculiari caratteristiche dei diversi beneficiari.

Così come quest’ultima pretensione, come proveniente dalle diverse tipologie di candidati al ruolo (abilitati, per i quali si è provveduto con la precedente procedura bandita nel 2018 ed oggetto della pronuncia Corte Cost. n. 130-2019 e, per quanto oggi in rilievo, precari storici con almeno 36 mesi di servizio pregresso), deve necessariamente confrontarsi con la cura dell’interesse pubblico ad una “selezione” della provvista di personale.

Più volte successivamente (tra le tante, si vedano le più recenti sentenze n. 90, n. 62, n. 51, n. 30 del 2012, n. 299 del 2011, n. 62 del 2018, n. 130 del 2019 e n. 205 del 2020) [6]la Corte ha posto in rilievo che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97 Cost., deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle[7].

Ricordato, in particolare, che la disciplina dell’abilitazione «si basa sullo stretto collegamento tra titolo di studio posseduto, servizio di insegnamento prestato e superamento di prove di esame, sempre nel contesto del medesimo ambito disciplinare. L’insegnamento prestato non costituisce pertanto una generica e comune esperienza didattica da far valere in ogni settore disciplinare, ma uno specifico elemento di qualificazione professionale per impartire l’insegnamento corrispondente al posto di ruolo cui si intende accedere»[8], viene esclusa l’irragionevolezza della scelta operata dal legislatore per i casi in cui l’accesso ad una selezione concorsuale viene circoscritta al possesso di determinati requisiti culturali o di servizio alla luce della non omogeneità delle situazioni poste a raffronto[9].

 

La predeterminazione puntuale dei titoli di accesso con riferimento a categorie preindividuate di beneficiari trova il suo adeguato controbilanciamento, nella ricordata giurisprudenza della Corte, nella “ragionevole” esigenza di selezionare – in modo efficiente e con la dovuta tempestività – i docenti da destinare all’insegnamento precipuamente richiesto (cfr. Corte Cost, n. 130-2019)[10].

 

Non sfugge, invero, ai fini della pretesa ammissione con riserva alla procedura concorsuale straordinaria, che la posizione dei ricorrenti, abilitandi su sostegno per corsi di specializzazione non tanto banditi, quanto effettivamente attivati successivamente non solo al termine stabilito dalla norma censurata, bensì al termine di scadenza della presentazione della domanda di partecipazione, non sia ictu oculi assimilabile a quella dei soggetti abilitandi in forza di corsi già attivati precedentemente al detto termine.

 

I primi, a tutta evidenza, al momento della pubblicazione del bando della procedura in attuazione del disposto della norma-provvedimento (aprile 2020), non stavano frequentando i corsi di specializzazione sul sostegno, sì attivati dal D.M. 95/20, ma concretamente disciplinati solo successivamente con D.I. 07 agosto 2020, n. 90, in attuazione delle disposizioni di cui al d.l. n. 22/2020 e dei Decreti MUR 11 marzo 2020, n. 176 e 28 aprile 2020, n. 41, entrambi concernenti rinvio delle prove preselettive di accesso al percorso di specializzazione sul  sostegno (noto come TFA sostegno) per il cd. V Ciclo.

Tale disciplina è intervenuta posteriormente anche alle modifiche della procedura selettiva d’interesse, come introdotte dal D.D. 10 luglio 2020, n. 783.

Nel caso in esame, allora, gli interventi normativi appena ricordati hanno consentito all’amministrazione di adeguare le fasi delle procedure considerate (reclutamento straordinario di nuovo personale docente, da un lato, selezione dei docenti aspiranti alla specializzazione sul sostegno, dall’altro)  alle esigenze dell’emergenza epidemiologica frattanto prodottasi, ma senza che ciò abbia comportato una reviviscenza delle fasi ormai concluse della procedura concorsuale (con particolare riferimento alla portata precettiva del relativo bando di concorso in tema di requisiti d’accesso).

Trattandosi di posizioni evidentemente differenziate (gli uni - abilitandi già frequentanti i corsi di specializzazione al momento della conversione del D.L. n. 126/19 - e gli altri meri aspiranti all’iscrizione al TFA sostegno V ciclo, visto che gli interventi normativi succitati hanno comportato la riapertura dei termini per le domande di partecipazione ai corsi attivati con D.M. n. 95/2020), gli stessi interventi normativi successivi alla disciplina poi contestata nel merito plasticamente restituiscono, in prima battuta e diversamente da quanto rilevato dall’ordinanza di rimessione, l’inconfigurabilità della disparità di trattamento dedotta, utile a consentire una declaratoria di illegittimità costituzionale ai fini dell’ammissione con riserva dei ricorrenti alla selezione riservata ex D.D. n. 510/20.

 

È, d'altra parte, la stessa riduttiva disamina della valenza della clausola derogatoria portata dall'articolo 1, comma 18-ter, ai soli fini della partecipazione alla predetta procedura straordinaria che restituisce, in qualche modo, l’autoimposto, ma non per questo affatto strumentale e tautologico quanto alle conclusioni, limite di scrutinio degli effetti e della reale ratio legis, circoscritta forzosamente dal rimettente al contesto della selezione riservata, quando ben avrebbe dovuto e potuto essere valutata in ragione dell’efficacia generale riconosciuta con riguardo alle procedure ordinarie e, dunque, con sostanziale uniformità di disciplina ed esiti.

Paradossalmente, invece, nel tentativo di anticipare gli esiti del giudizio di legittimità il Giudice a quo sembrerebbe aver fornito alla Corte maggiori argomenti per una pronuncia che, nella cognizione delle opposte ragioni, disattende, nella forma e nel metodo, l’approccio ermeneutico adottato, viepiù in ragione della precedente pronuncia qui a raffronto.

 

Sulla scorta del portato giurisprudenziale chiaramente confermato dal Giudice delle Leggi, come esemplificato dalle conclusioni appena rassegnate, non avrebbe potuto legittimamente predicarsi, siccome affermato dal Giudice remittente, un’irragionevole restrizione della platea di beneficiari dell’offerta di stabilizzazione contenuta in assenza di omogeneità delle categorie di aspiranti sia sul piano dell’affidamento derivante dalla condizione de facto dedotta che dell’effettiva legittimazione passiva ai benefici della norma derogatoria.

Non pare, infatti, trascurabile la più volte ricordata circostanza per la quale l’art. 1, co. 18-ter, d.l. n. 126/19 non trova la propria ratio nella necessità di “assorbire il precariato storico”, diversamente da quanto postulato nell’ordinanza di rimessione, bensì risponde all’esigenza di tutelare una platea ben differenziata di potenziali candidati a tutte le procedure concorsuali, ordinarie e straordinarie, a bandirsi in concomitanza, in deroga, principalmente ed in via diretta al presidio organizzativo che fissa alla data di scadenza della presentazione della domanda di partecipazione indicata dalla lex specialis il termine ultimo per il conseguimento dei requisiti prescritti quali titoli d’accesso.

Se può darsi per incontestata la natura della disposizione censurata quale legge-provvedimento, in considerazione del suo contenuto particolare, nonché del suo limitato ambito soggettivo di applicazione, «destinato ad operare in favore di una platea di destinatari ben individuata, gli iscritti al quarto ciclo TFA» [11], il rigoroso scrutinio cui sarebbe dovuta andare soggetta avrebbe dovuto comportare la «ricostruzione del suo contenuto, della ratio che l’ispira e delle modalità della sua attuazione (tra le ultime, sentenze n. 49 del 2021 e n. 116 del 2020)»[12].

 

Pertanto, all’esito di raffronto con la disciplina generale in tema di reclutamento del personale docente, non residua dubbio alcuno che la disciplina «introdotta con il d.l. n. 126 del 2019, come convertito, manifesta caratteristiche marcatamente derogatorie, introducendo una disciplina concorsuale speciale e agevolativa. E si è anche evidenziato come la disposizione censurata (art. 1, comma 18-ter) inserisca regole ulteriormente derogatorie e di agevolazione, rivolte al reclutamento di personale docente per i soli posti di sostegno, ampliando la platea dei partecipanti al concorso agli iscritti al quarto ciclo TFA sostegno»[13].

 

Quel che non risulta cogliere il Giudice a quo, e qui si innesta il secondo errore dianzi denunciato, è proprio l’assenza di una ratio restrittiva del favor partecipationis in sé, atteso che «la disposizione in esame ne determina un significativo ampliamento, ammettendo a partecipare – in via eccezionale, sebbene con riserva – anche soggetti non ancora in possesso del requisito della specializzazione per il ruolo di insegnanti di sostegno, ma in procinto di conseguirlo»[14].

Dal canto suo, invero, la Corte non nasconde un certo disagio, quasi, nel ricordare gli esiti interpretativi cui è nel frattempo pervenuta la giurisprudenza costituzionale, in particolare partendo dalla sentenza n. 130-2019.

Come già accennato, si è di fronte, per le modalità con cui sono restituite le motivazioni del Giudice delle Leggi, ad un errore “di metodo” originario, allorché il Collegio rimettente non pone tanto in discussione l’indizione di un concorso interamente riservato «e, dunque, potenzialmente in contrasto con il principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97, quarto comma, Cost.», bensì si preoccupa di dolersi «che il momento di maturazione del requisito derogatorio di ammissione al concorso sia stato individuato dal legislatore nella data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (29 dicembre 2019), anziché nella data di scadenza dei termini per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso stesso»[15] (Corte Cost., n. 89-2022).

Orientandosi verso una generalmente ammissibile, per quanto non puntualmente disaminata, deroga al principio del pubblico concorso ex art. 97 Cost.[16], il Giudice remittente ha trascurato la preliminare attività di inserzione sistemica della norma-provvedimento nel quadro vigente del reclutamento ordinario applicabile al caso di specie, dandone per scontata la legittimità in quanto rivolta a beneficiare “i precari”, ben oltre i consueti canoni ordinamentali (ammissione risolutivamente condizionata al perfezionamento del titolo d’accesso in corso di conseguimento, previsto a pena di esclusione), ma censurandone la legittimità nella misura in cui non ha ulteriormente esondato dal perimetro dell’ordinaria (e pacificamente condivisa) disciplina reclutativo-concorsuale in materia di lavoro pubblico, estendendone l’efficacia anche a soggetti palesemente in condizioni non sovrapponibili[17] ovvero, e più gravemente, nemmeno astrattamente contemplabili dal legislatore, né con un giudizio prognostico-predittivo minimamente esigibile al momento storico dato[18], né in conformità al presidio costituito dalla certezza del diritto, come riassunto dal principio per cui  tempus regit actum.

 

Orbene, sul punto, pare possibile obiettare, alla luce dei successivi passaggi in motivazione, che il Collegio remittente abbia inopinatamente malinteso i limiti della tutela dell’affidamento dei soggetti abilitandi al TFA V ciclo, obliterando la sua stessa giurisprudenza, a mente della quale, l’affidamento «è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività»[19].

Non solo, ma presupponendo un’attività amministrativa di tipo necessariamente procedimentale, esso viene in rilievo esclusivamente ove sia incolpevole, ossia fondato su una situazione di apparenza costituita dall’amministrazione con il provvedimento, o con il suo comportamento correlato al pubblico potere, e in cui il privato abbia senza colpa confidato.

Nel caso di specie latita, epperò, qualsivoglia spendita di “pubblico potere” in sede amministrativa, tale che, vertendosi di norma-provvedimento, non v’è, in sostanza, provvedimento amministrativo o condotta che potesse anche solo lontanamente lasciar insorgere un affidamento sul conseguimento definitivo di un determinato bene della vita, “falsando” la percezione in merito del privato: non ricorre, infatti, «l’affidamento consolidatosi – dopo un certo periodo di tempo – in capo al privato come conseguenza di un atto favorevole (….)» (si veda, al riguardo, A.P., n. 19 /2021), presidiato dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990, né l’affidamento riposto dal privato nella condotta procedimentale dell’amministrazione, rispetto all’adozione del provvedimento richiesto (su cui si veda, viceversa, Corte di cassazione, SS.UU. civili, ordinanza n. 8236/2020).

Parimenti, non risultano diversamente evocabili i doveri comportamentali e gli obblighi di protezione posti a carico di entrambe le parti del rapporto nel precipuo contesto del procedimento amministrativo (sulla cui positivizzazione ad opera del comma 2-bis dell’art. 1 della legge n. 241/1990 si permette di rinviare, in nota, alle esaustive e condivisibili conclusioni portate da Adunanza Plenaria, n. 20 del 2021)[20], nella misura in cui, anche a voler tacere dell’assenza del contesto procedimentale inevitabilmente comportata dallo strumento di regolamentazione prescelto, che individua a monte ed a latere della partecipazione procedimentale l’interesse privato da contemperare con quello pubblico oggetto precipuo dell’intervento normativo e di costì la platea dei destinatari, la norma-provvedimento censurata si pone, in ogni caso ed ex se, come eccezione (sia pur consentita) ad un «principio generale della legislazione sui concorsi pubblici», tale per cui la disamina del Giudice a quo risulta carente del necessario approfondimento sulle ragioni di tale scelta, che si radica non tanto e solo nella necessità “di assorbire i precari storici” – ché, altrimenti, la deroga al possesso del requisito della specializzazione e l’ammissione con riserva di conseguimento dello stesso sarebbe stata limitata dal legislatore alla sola ipotesi del concorso straordinario – ma di garantire un’adeguata provvista di personale specializzato in ragione della peculiarità delle funzioni di docenza ad espletarsi.

E, d’altra parte, lo stesso Giudice delle Leggi aveva recentemente rammentato che «la scelta di fissare il possesso dei requisiti di ammissione alla data di scadenza della presentazione delle domande, pur assurgendo a principio generale della legislazione sui concorsi pubblici […] non costituisce una scelta costituzionalmente obbligata»[21], atteso che, «nella sua discrezionalità, «il legislatore può […] indicare una data diversa e anteriore, con riferimento a requisiti posti in deroga a quelli ordinari, entro i limiti della non manifesta irragionevolezza e della uniformità di trattamento tra categorie omogenee di candidati»[22].

Compito del Giudice remittente avrebbe dovuto essere, dunque, valutare la ragionevolezza di una siffatta previsione di favore, in quanto esclusivamente riferita «a soggetti che abbiano comunque già acquisito un bagaglio di competenze tale da far ritenere altamente probabile un positivo scioglimento della riserva in tempi ravvicinati»[23] in costanza di presupposti integranti la ratio legis (ossia, come ricorda la stessa Corte, l’esigenza di superare nel più breve tempo possibile il cosiddetto precariato storico – nonché quella di dotare tempestivamente gli alunni con disabilità di insegnanti di sostegno professionalmente titolati) che «costituiscono adeguata giustificazione della previsione che limita la categoria dei partecipanti a coloro che siano in possesso di un determinato requisito – fissato in via derogatoria – al momento di entrata in vigore della legge, anziché a quello di scadenza del termine di presentazione delle domande. Ciò, soprattutto in presenza di concorsi, come quello in esame, già connotati «da evidenti e marcati tratti di specialità»[24].

 

 

  1. La pronunzia della Corte Costituzionale n. 89-2022: accesso riservato, applicazione del principio di uguaglianza in senso diacronico e presupposti del rinvio pregiudiziale nell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità

 

Come anticipato della parte motiva al §3, il Giudice delle Leggi ha inteso sgomberare immediatamente il campo da dubbi concernenti l’eventuale lesione del principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3.

E lo ha fatto, sotto un duplice profilo.

In primo luogo, ha provveduto a respingere le eccezioni di lesività, quanto al favor partecipationis, definendo infondate le doglianze con le quali si lamentava, in relazione all’esclusione dei ricorrenti dalla partecipazione al predetto “concorso riservato”, la violazione del primo come dei princìpi – ad esso correlati - del merito, del pubblico concorso e, in definitiva, dell’esigenza di buon andamento dell’amministrazione perseguibile attraverso la scelta del miglior candidato.

In proposito, appaiono condivisibili, proprio sulla scorta delle osservazioni da chi scrive condivisi alla precorrente narrativa (in particolare, sub §§2-3), i rilievi restituiti sulla carenza di alcuna illegittima pretermissione ovvero attenuazione delle suddette regole e garanzie.

Ciò discende, giustappunto, dalla evidenziata natura di concorso “riservato” della procedura in esame, la quale giustifica, in coerenza con i pronunciamenti del giudice delle leggi, deroghe al principio del pubblico concorso.

Se, infatti, la procedura in rilievo si giustifica laddove accordi un valore preferenziale a determinati titoli piuttosto che ad altri in dipendenza di particolare motivazioni cristallizzate al tempo della scelta operata a monte dal Legislatore, così restringendo la platea dei partecipanti, e, perciò stesso, acconsenta a rimuovere, parzialmente, tale restrizione ammettendo, in deroga alla regula iuris generale, quei soggetti che non sono ancora nella piena disponibilità del requisito richiesto ma sì già nella condizione di poterlo positivamente conseguire senza incidere sulla selezione sul piano del buon andamento dell’amministrazione, allora non può ragionevolmente postularsi la doverosità dell’estensione “analogica” della predetta deroga ad altri aspiranti la cui condizione non è esattamente sovrapponibile alla fattispecie codificata dalla norma-provvedimento.

In altre parole, allorché la scelta, pienamente legittima secondo il Giudice delle Leggi, è privilegiare titoli che comprovano il possesso di maggiori e certificate competenze ed esperienza professionale nel concreto esercizio della delicata funzione di docente, l’estensione di una disposizione di per sé derogatoria contraddirebbe ed annullerebbe de facto tale scelta di valore, in assenza di elementi senz’altro rilevanti ai fini del perseguimento ottimale dell’interesse pubblico[25].

La limitazione alla partecipazione risulta, dunque, circoscritta a soggetti muniti di particolari titoli di formazione professionali, sicché la finalità di tutela del merito e del buon andamento dell’amministrazione risulta per tale via utilmente perseguita.

È, infatti, evidente che esigenze di buon andamento e di equilibrio di bilancio impediscono una generalizzata estensione della deroga prevista al possesso del requisito della specializzazione sul sostegno. L’ulteriore estensione - nei sensi divisati dalla pronuncia di remissione - alla partecipazione in deroga al concorso finirebbe paradossalmente proprio per frustrare la ratio legis individuata dal Giudice remittente, che, invece, sarebbe proprio quella di risolvere in tempi adeguati il problema del precariato nella scuola statale, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili. 

Sebbene, dunque, la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico sia rigorosamente limitata, in determinati casi le deroghe devono essere considerate legittime; e tali sono laddove le “eccezioni” siano funzionali alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie necessità di interesse pubblico idonee a giustificarle, come è avvenuto nel caso di specie in cui il legislatore ha disegnato un piano di reclutamento straordinario, riservato ad una peculiare categoria di destinatari, parallelamente al canale di reclutamento ordinario.

 

Ma anche in tale ipotesi, tuttavia, non sfugge alla Corte che la disamina condotta in sede di rinvio difetta della debita valutazione della lesione del principio di eguaglianza, ove opportunamente ricondotta ad un piano diacronico, come «giudizio di relazione (necessariamente dinamico), in cui la disamina di conformità a tale parametro deve incentrarsi sul perché una determinata disciplina operi quella specifica distinzione»[26]; più in particolare: «il parametro della eguaglianza, non esprime la concettualizzazione di una categoria astratta, statisticamente elaborata in funzione di un valore immanente dal quale l’ordinamento non può prescindere, ma definisce l’essenza di un giudizio di relazione che, come tale, assume un risalto necessariamente dinamico (….)»[27]. Quanto sopra, a maggior ragione in tema di requisiti di accesso a procedure di reclutamento non aperte, ma riservate.

Se, pertanto, il giudizio di uguaglianza postula l’omogeneità delle situazioni messe a confronto, non può essere invocato quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee, che differiscono tra loro per aspetti distintivi particolari[28].

Sicché, secondo la giurisprudenza costituzionale, non contrasta con il principio in esame un trattamento differenziato applicato persino alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, giacché «il succedersi nel tempo di fatti e atti può di per sé rendere legittima l’applicazione di una determinata disciplina rispetto ad altra e l’elemento temporale può essere legittimo criterio di discrimine»[29].

La medesima Corte costituzionale ha ulteriormente precisato che le restrizioni dei soggetti legittimati a partecipare al concorso possono eccezionalmente considerarsi ragionevoli in presenza di «particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell’amministrazione»[30].

 

Al riguardo, evidente, a scorrere le motivazioni della Corte, sarebbe l’errore in cui risulterebbe incorso il Consiglio di Stato quanto alla dedotta violazione del principio di uguaglianza: «Alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 126 del 2019 (29 dicembre 2019), risultava in via di (avanzato) svolgimento un solo ciclo TFA, il quarto, e la disposizione censurata, come si visto, è esattamente indirizzata a favorire la partecipazione al concorso straordinario, sebbene con riserva, anche (ma solo) degli iscritti a tale ciclo. Il quarto ciclo TFA era stato attivato, infatti, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 8 febbraio 2019, n. 92 (Disposizioni concernenti le procedure di specializzazione sul sostegno di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249 e successive modificazioni). In seguito, il decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 21 febbraio 2019 aveva fissato le date di svolgimento dei test preliminari di accesso, individuandole nel 28 e 29 marzo 2019 e stabilendo che i corsi del ciclo si sarebbero dovuti concludere entro il mese di febbraio 2020. Su richiesta della Conferenza dei rettori delle università italiane, il decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 27 febbraio 2019, n. 158, aveva posticipato le date di svolgimento dei test preliminari al 15 e 16 aprile 2019, e aveva fissato il termine finale per la conclusione dei corsi al 20 marzo 2020. Infine, per il sopravvenire dell’emergenza pandemica, che ha impedito di concludere il quarto ciclo entro il termine finale programmato, con decreto del Ministro dell’università e della ricerca 11 marzo 2020, n. 176, il termine del tirocinio è stato differito al 31 maggio 2020, data comunque utile per consentire il definitivo conseguimento del titolo entro il 15 luglio 2020, giorno fissato per lo scioglimento della riserva» (Corte Cost., n. 89-2022).

 

Come ben evidenziato dalla Corte, non può revocarsi in dubbio l’eterogeneità, ratione temporis, delle condizioni di partenza dei due gruppi di aspiranti sia alla specializzazione che alla stabilizzazione in via straordinaria: «Ben diversa è, invece, la situazione dei ricorrenti nei giudizi a quibus, i quali, al momento della proposizione delle istanze cautelari in primo grado, neppure risultavano ammessi ad un ciclo TFA. Infatti, il quinto corso di specializzazione risulta avviato solo con decreto del Ministro dell’università e della ricerca 12 febbraio 2020, n. 92, dunque in data successiva a quella di entrata in vigore della disposizione censurata. Il decreto da ultimo citato aveva anche fissato le date di svolgimento dei test preliminari di accesso (2 e 3 aprile 2020), stabilendo, altresì, che i corsi del ciclo si sarebbero dovuti concludere entro il 31 maggio 2021, termine di gran lunga successivo a quello fissato dalla disposizione censurata per lo scioglimento in senso positivo della riserva (15 luglio 2020). Il già citato d.m. n. 176 del 2020, in considerazione della sopravvenuta emergenza pandemica, aveva inoltre posticipato al 18 e 19 maggio 2020 le date di svolgimento dei test preliminari di ammissione al quinto ciclo, e aveva fissato il nuovo termine finale per la conclusione dei corsi al 15 giugno 2021. Ancora, per effetto della sospensione delle attività di frequenza didattica, disposta da vari decreti adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri nella fase acuta dell’emergenza pandemica, il decreto del Ministro dell’università e della ricerca 28 aprile 2020, n. 41, aveva ulteriormente rinviato le date di svolgimento dei test preliminari di accesso al quinto ciclo, fissandole al 29 settembre e 1° ottobre 2020 e differendo anche il termine finale per la conclusione del ciclo al 16 luglio 2021: non già al 16 luglio 2020, come invece ritenuto nell’ordinanza di rimessione. Sulla base dei provvedimenti che hanno disciplinato avvio e svolgimento del quinto ciclo TFA, è dunque evidente che gli aspiranti alla frequentazione dello stesso non avrebbero potuto in alcun modo essere contemplati dalla disposizione censurata, per la semplice ragione che il corso sarebbe stato autorizzato, secondo il programma originario, solo nel febbraio del 2020, e sarebbe terminato in data certamente non utile per l’assunzione in servizio a partire dal 1° settembre 2020, data di avvio dell’anno scolastico 2020/2021. In realtà, prendendo a riferimento la data di entrata in vigore della disposizione censurata (29 dicembre 2019), i suddetti aspiranti, al momento della indizione delle procedure concorsuali (entro il 30 aprile 2020, in base all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 126 del 2019, come convertito) non avrebbero verosimilmente neppure completato la fase preliminare di ammissione al corso, fissata per le date del 2 e 3 aprile 2020, cui sarebbero dovute seguire le prove scritte e quella orale. Invece, sempre con riferimento alla data del 29 dicembre 2019, i frequentanti del quarto ciclo TFA erano ormai in procinto di concludere il corso di specializzazione, avendo quindi presumibilmente già acquisito gran parte delle competenze richieste per partecipare al concorso per il reclutamento degli insegnanti di sostegno. Solo per costoro, dunque, era ragionevolmente possibile fissare una data per lo scioglimento in senso positivo della riserva entro un termine utile per l’assunzione a partire dal 1° settembre 2020»[31].

 

Secondo il Giudice delle Leggi, «A differenza di quanto ritenuto dal rimettente, nemmeno rende assimilabili le due situazioni poste a confronto l’ulteriore circostanza che, a causa del sopravvenire imprevedibile dell’emergenza pandemica, sia stata differita la data di concreto avvio del concorso straordinario. Vero, infatti, che il decreto dipartimentale n. 783 dell’8 luglio 2020 – a ciò autorizzato dall’art. 2, comma 04, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22 (Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato, nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica), convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2020, n. 41 – aveva posticipato al 10 agosto 2020 il termine finale per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso straordinario di cui al d.l. n.126 del 2019, come convertito. Tuttavia, analoghi rinvii hanno evidentemente coinvolto, oltre alle procedure concorsuali, tutti i corsi di tirocinio, e anche le date per i test preliminari di accesso al quinto ciclo TFA erano già state rinviate al 29 settembre e 1° ottobre 2020, in forza del citato d.m. n. 41 del 2020. In definitiva, anche alla nuova, effettiva, data di avvio del concorso straordinario, gli appellanti nei giudizi a quibus continuavano ad essere meri aspiranti alla frequentazione del quinto ciclo TFA»[32].

E ciò, anche a voler tacere dell’evidente dissociazione, operata dal Collegio remittente, dei pretesi vizi denunciati dai soggetti che si qualificano lesi dalla presunta scelta omissiva (del legislatore e non dell’amministrazione) insita nella norma impugnata, con un’impostazione di fondo verosimilmente non coerente con la struttura del processo amministrativo che, quale processo di parti, risulta essere ancorato ad un interesse legittimo appartenente ad un privato, rispetto al quale occorre provare le proprie ragioni (seppure con ogni temperamento del principio dispositivo riconducibile al metodo acquisitivo), ed in cui gli effetti caducatori chiesti al G.A. devono essere proporzionati rispetto ai vizi denunciati.

 

Al contrario, coerentemente con quanto già diffusamente disaminato sub §3, non ricorre una vera e propria “sovrapposizione”[33] delle procedure concorsuali con lo svolgimento del quinto ciclo TFA sostegno, quanto piuttosto di un mero differimento di tutte procedure in esame a causa della pandemia.

L’eccezionalità della norma derogatoria oggetto di censure di legittimità prescinde dal (e preesiste al) momento congiunturale rappresentato dalla pandemia e nulla ha a che vedere con il differimento del TFA sostegno V ciclo[34].

Anche successivamente all’irrompere dell’emergenza pandemica, in definitiva, «il legislatore ha ritenuto di mantenere la scelta ab origine operata con la norma censurata, confermando una valutazione del tutto ragionevole, in linea con il principio di uguaglianza, che impone l’adozione di discipline differenti per situazioni oggettivamente diverse (da ultimo, sentenza n. 172 del 2021) e che tali si sono mantenute nel corso del tempo»[35].

 

Residua, dunque, l’evidenza che, dinanzi ad una procedura (a maggior ragione) riservata, la delimitazione della platea di beneficiari, non potrebbe farsi questione di “legittimo affidamento”, giustappunto perché già derogatoria del canone del pubblico concorso, né, alla luce della ratio legis volta a garantire la provvista di personale a reclutarsi per l’a.s. 2020/21, gli aspiranti al TFA sostegno V ciclo avrebbero potuto ben pensare di conseguire il titolo[36].

 

Alcun rilievo può, allora, assumere l’ulteriore argomento che la disposizione censurata, «legificando i bandi», avrebbe sottratto «senza motivazione alcuna alla tutela giurisdizionale le posizioni degli istanti lasciando al giudice amministrativo – per assicurare tutela – solo ed esclusivamente la strada della rimessione della norma al giudice delle leggi».

A questo specifico riguardo, la Corte risulta, invero, addirittura tranchant: «Evocando la lesione dell’art. 113 Cost., il giudice a quo non approfondisce il contenuto e la ratio del provvedimento d’urgenza in cui è inserita la disposizione censurata, e ritiene apoditticamente viziata per carenza di motivazione la scelta di quest’ultima di «legificare i bandi» (recte: di sottrarre all’amministrazione la scelta in ordine al momento entro il quale accertare il possesso del requisito derogatorio di ammissione al concorso). A ben vedere, la lamentata carenza affligge non già la disposizione censurata, ma gli argomenti che dovrebbero sorreggere la non manifesta infondatezza della questione, che dev’essere perciò dichiarata inammissibile»[37].

 

 

  1. Considerazioni conclusive

 

Dalla disamina condotta non sembra potersi dubitare che la tendenza dell’intervento legislativo a derogare al principio del pubblico concorso, onde perseguire politiche perequative, venga sostanzialmente ricondotta dalla Corte Costituzionale - e, in tal modo, giustificata - ad un motivato bilanciamento tra il principio meritocratico che tutela i soggetti muniti di titoli per concorrere alle selezioni pubbliche e l’interesse pubblico ad avvalersi, secondo schemi e moduli improntati alla massima semplificazione della procedura selettiva, di personale in parte già in possesso di un’esperienza di servizio alle dipendenze dell’amministrazione.

Come puntualmente rinvenibile dagli esiti cui giunge la sentenza in commento, in continuità con la giurisprudenza costituzionale antecedente (tra cui, ad esempio, Corte Cost.  n. 130-2019 e n. 205/2020), il Giudice delle Leggi non ritiene il principio del favor partecipationis quale apoditticamente cristallizzato nei formalistici termini di apertura indiscriminata (e, a volte, ingiustificata) delle selezioni pubbliche ai soggetti meramente provvisti di titolo di studio.

Nel ragionamento sviluppato dalla Corte nelle citate sentenze, infatti, il principio costituzionale del pubblico concorso non è incompatibile con la possibilità, mediante singoli e settoriali interventi legislativi, di consolidare le pregresse esperienze lavorative maturate all’interno della stessa amministrazione, purché tale consolidamento sia svolto in modo rigoroso ed effettivamente funzionale all’esigenza dell’amministrazione.

Così opinando, la tutela del “buon andamento” non ne risulta, né potrebbe esserlo, negativamente condizionata, giacché la valutazione declinata su criteri sì omogenei (id est, l’identità dei titoli di accesso), ma poco rispondenti alla peculiarità delle funzioni pubbliche cui si è chiamati, ben può essere inopinatamente foriera, all’inverso, di una compressione della selezione meritocratica, nei termini di un appiattimento della verifica dei requisiti effettivamente richiesti, giustificato quasi sempre con le esigenze correlate ai “grandi numeri” in termini di partecipazione e con il bisogno di garantire la continuità del servizio sotteso mediante una celere provvista di personale.

Non solo, ma se la deroga al pubblico concorso può anche comportare la variazione sulle regole generali relative alla determinazione dei requisiti per la partecipazione alle selezioni pubbliche, in ottica di una valorizzazione delle esperienze maturate all’interno della pubblica amministrazione, tali esperienze devono rispondere in maniera puntuale all’interesse pubblico perseguito, garantendo che la tutela assicurata a determinate categorie di aspiranti/candidati risulti congrua e proporzionale sia rispetto all’ipotizzabile sacrificio del favor partecipationis che all’estensione di quest’ultimo (nell’ipotesi della disposta ammissione con riserva, a certune e non altre condizioni, dei soggetti sprovvisti di specializzazione sul sostegno).

 

In questo modo, rientra nella piena discrezionalità del legislatore non solo delimitare precisamente la platea dei destinatari, quanto e più indicare una data diversa e anteriore per la maturazione dei requisiti utili per la partecipazione al concorso, purché tale discrezionalità rispetti i limiti “della non manifesta irragionevolezza e della uniformità di trattamento tra categorie omogenee di candidati”.

Ma, anche sul piano della conformità al canone di cui all’art. 3 Cost., la Corte detta regole d’ingaggio che disancorano la verifica cui sono chiamati, prima, il legislatore, poi, il Giudice, da una sovrapposizione acritica ed astratta delle ipotesi di disparità eventualmente ricorrenti, insistendo marcatamente per una valutazione fattuale ed “in concreto” della sussistenza di motivazioni ragionevoli alla base della diversità di trattamento operata tra categorie che sembrano, ictu oculi, omogenee, ma tali non sono ad uno sguardo meno formalistico e prevenuto.

L’orientamento che sembra avallare la Corte costituisce una reazione ed un invito a che la cura dell’interesse pubblico all’efficienza, celerità ed efficacia dell’azione amministrativa non possa aprioristicamente prescindere da una comparazione delle esperienze e delle professionalità, ma, soprattutto, della funzionalità di entrambe al concreto beneficio che si intenderebbe assicurare alla collettività, non da ultimo attraverso una maggior rilevanza accordata al parallelo e, da un certo punto, coincidente interesse privato di alcune categorie piuttosto che altre.

Se, in una visione asfitticamente ricognitiva dei titoli in rilievo, alcuno può legittimamente dubitare dell’elevatissima formazione dei dottori di ricerca, così come dell’assoluta identità di titoli tra gli aspiranti alla specializzazione sul sostegno del IV o del V ciclo TFA, ciò che la Corte ribadisce è che l’effettiva conformità del diritto ai valori ed al tessuto vivente della carta costituzionale non debba essere concepita in termini stagnanti di mera sovrapposizione di categorie generalmente catalogabili e, per ciò solo, così esclusivamente comparabili, ma debba risolversi più compiutamente in una sostanziale disamina della ricorrenza di motivi giustificanti, ratione temporis, una legittima differenziazione di strumenti di tutela dell’interesse privato arrivato a confrontarsi con quello pubblico, purché e nella misura in cui il primo resti servente, su un piano di legittimità costituzionale, al secondo.

 

[1] Con sentenza 28 maggio 2019, n. 130, la Corte costituzionale risolveva le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2, lettera b), e 3, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, sollevate con rinvio pregiudiziale dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 5134/2018, dichiarandole inammissibili, in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma, e 97, terzo comma, della Costituzione e non fondate, in riferimento all’art. 3 Cost. ed all’esclusione dei dottori di ricerca in base alla loro mancata equiparazione ai soggetti provvisti di abilitazione all’insegnamento.

In particolare, il Giudice delle Leggi riconosceva che «In considerazione della finalità della procedura concorsuale, volta a selezionare le migliori e più adeguate capacità rispetto all’insegnamento, ciò che rileva è l’avere svolto un’attività di formazione orientata alla funzione docente, che abbia come specifico riferimento la fase evolutiva della personalità dei discenti. Tale funzione esige la capacità di trasmettere conoscenze attraverso il continuo contatto con gli allievi, anche sulla base di specifiche competenze psico-pedagogiche. È in vista dell’assunzione di tali rilevantissime responsabilità, affidate dall’ordinamento ai docenti della scuola secondaria, che le attività formative indicate costituiscono un fondamento “ontologicamente diverso”, rispetto a quello che caratterizza il percorso e il fine del titolo di dottorato».

[2] Con l’ordinanza in epigrafe, il Consiglio di Stato ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata «questione di legittimità costituzionale dell’art 1, co. 18-quater del DL 126/2010, nella parte in cui pone una data fissa (senza avere riguardo al fatto che il corso abilitante legittimante la partecipazione sia stato comunque avviato prima dell’indizione del concorso straordinario ed al fatto che l’ammissione al corso abilitante sia avvenuta in data utile per la presentazione della domanda al concorso straordinario ) per l’ammissione degli specializzandi TFA/S al concorso riservato, per titoli ed esami previsto dalla medesima disposizione ed altresì nella parte in cui pone una data fissa pure per il conseguimento della abilitazione (senza considerare chi comunque consegua l’abilitazione in tempo utile per l’ammissione in servizio) e da quelle racchiuse nei commi precedenti, per violazione degli artt. 2, 3, 32, 34 e 97 e 113 della Costituzione; ritenuto in definitiva che l’ assetto normativo descritto è violativo dell’art. 3 Cost. ed in particolare dei principi di ragionevolezza che deve assistere ogni legge provvedimento ( nella specie giustificata ove ammette gli specializzandi ma non ove limita tale ammissione con un troppo rigido sbarramento temporale che non ha alcuna sua autonoma giustificazione a fronte della adozione delle diverse soluzioni divisate innanzi ) e del principio di uguaglianza ( ove discrimina fra soggetti che sono in situazioni del tutto similari tranne che per il profilo temporale ) nonché degli artt. 2, 32 e 34 Cost. ossia dei diritti fondamentali alla salute ed all’istruzione ( ove restringe irragionevolmente la platea dei partecipanti alla selezione con possibile compromissione di tali valori evidentemente rilevanti nello svolgimento dell’insegnamento di sostegno a persone con disabilità ) ed in ultimo degli artt. 97 Cost. ( perché, pur in assenza di una attività riservata all’amministrazione, compromette con disposizioni di eccessivo dettaglio gli stessi interessi che la disposizione si propone di tutelare restringendo senza motivo la platea dei soggetti ammessi al concorso straordinario per soluzioni distoniche rispetto a quelle che – in assenza della norma – l’amministrazione avrebbe potuto tranquillamente adottare nella sua ordinaria attività di indizione dei concorsi ) e 113 Cost. perché –legificando i bandi– sottrae senza motivazione alcuna alla tutela giurisdizionale le posizioni degli istanti lasciando al giudice amministrativo –per assicurare tutela– solo ed esclusivamente la strada della rimessione della norma al giudice delle leggi».

[3] Si veda in proposito quanto sub nota 1.

[4] In proposito va correttamente rimarcato che già le S.S.I.S., e così pure gli analoghi percorsi formativi universitari previsti dalle successive leggi, disciplinanti le modalità ordinarie di formazione iniziale abilitante e di accesso ai ruoli del personale docente (dall' art. 5 della “legge Moratti”, l. 28 marzo 2003, n. 53, con il correlato decreto legislativo attuativo 17 ottobre 2005, n. 227, all' art. 1, comma 416 l. 24 dicembre 2007, n. 244 fino alla legge 13 luglio 2015, n. 107, con il correlato decreto attuativo 13 aprile 2017, n. 59), hanno previsto l’accesso programmato alle attività di formazione, commisurato ad un "fabbisogno" di docenti, pur individuato con un certo margine aggiuntivo di  flessibilità, riferito all'organico "di diritto" prevedibile in un determinato periodo.

Ne consegue che, sia con il previgente sistema della formazione universitaria previa al reclutamento che con il nuovo ordinamento, che abbina in via ordinaria reclutamento e formazione, la possibilità di conseguire l’abilitazione è sempre stata strettamente subordinata al superamento della selezione per percorsi a numero chiuso, essendo l'abilitazione (od anche la successiva specializzazione sui posti di sostegno agli alunni con disabilità) legata strettamente al contingente di docenti da poter immettere nei ruoli.

Di talché, vertendosi, in ogni caso, sia per la fase attinente la formazione preliminare al reclutamento, sia per quella successiva inerente il reclutamento in senso proprio, di meccanismo normativo necessariamente congegnato in modalità di accesso programmato, anche solo la regolamentazione prevista per l’esclusivo conseguimento dell’abilitazione, qualora stabilita in termini di prerequisito/presupposto al concorso ordinario, doveva essere declinata in termini di contingentamento funzionale al numero di posti effettivamente a coprirsi con l'immissione in ruolo, restando assoggettata alla disciplina in tema di regime autorizzatorio in materia di assunzioni di cui alla l. 27 dicembre 1997, n. 449 s.m.i., art. 39, comma 3 bis.

Vale a dire, la determinazione dei posti a disposizione per gli aspiranti abilitandi è stata comprensibilmente ancorata al fabbisogno di docenti in rapporto alle cattedre/posti effettivamente vacanti e disponibili nei limiti della copertura di spesa autorizzata dal M.E.F..

 

[5] In proposito, si rinvia a §1, 1° cpv.

[6] Tra le tante, si vedano le più recenti sentenze n. 90, n. 62, n. 51, n. 30 del 2012, n. 299 del 2011, n. 62 del 2018, n. 130 del 2019 e n. 205 del 2020.

[7]Altre decisioni esplicitano quale sia la natura delle “peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico”: la sent. 195 del 2010, riferendosi a precedenti pronunzie in materia sembra sintetizzare tali esigenze. In primo luogo, esse debbono essere “ricollegabili alle peculiarità delle «funzioni» che il personale da reclutare è chiamato a svolgere (sentenza n. 293 del 2009)”; “devono riferirsi a specifiche necessità «funzionali» dell’amministrazione (sentenze n. 215 del 2009 e 363 del 2006)”; “devono essere desumibili dalle «funzioni» svolte dal personale reclutato (sentenze n. 81 del 2006)”. Si precisa, da un lato, che da tali esigenze esulano gli interessi dei dipendenti beneficiari della deroga, e, d’altro lato, che “La finalità di perequare trattamenti normativi e retributivi dei dipendenti in servizio risponde ad un interesse strumentale dell’amministrazione e prescinde dalla natura delle funzioni attribuite a tali dipendenti”: tale finalità non giustifica il mancato rispetto del concorso pubblico.

[8] Corte Cost., sentenza n. 343-1999.

[9] Se è indubbio, infatti, che il concorso pubblico o “aperto” rivesta la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione (tra le molte, le ricordate sentenze n. 34 del 2004, n. 194 del 2002 e n. 1 del 1999), nel caso di specie non si ricade in tale ipotesi,  la cui legittimità riposa sulla ratio stessa della disciplina adottata, nella sua transitorietà perfettamente coerente con l’ordinamento giuridico in tema di reclutamento del personale docente previsto dal legislatore ed alla necessità di riassorbimento del precariato generato sotto la previgente normativa propedeutica all'entrata a regime del nuovo sistema.

[10] In proposito, si veda il passaggio della sentenza riportato sub nota 1, 2° cpv.

[11] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2.

[12] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2 cit..

[13] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2 ult. cit..

[14] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2.

[15] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2.

[16] Sul punto giovi ricordare quanto affermato da Corte Cost., n. 130-2019: «Leggi di questo tipo (norme-provvedimento ndr) non sono di per sé contrarie alla Costituzione, la quale non contiene alcuna riserva agli organi amministrativi degli atti a contenuto particolare e concreto, ma devono sottostare «ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio» (sentenza n. 275 del 2013)». Affinché siffatto potenziale pregiudizio risulti effettivamente prevenuto, tuttavia, il Giudice delle leggi e la letteratura dottrinaria a commento delle sentenze rese, tra l’altro, a tale riguardo hanno puntualizzato che il principio del pubblico concorso di cui all’art.97 Cost. può ritenersi rispettato «ove l’accesso al pubblico impiego avvenga per mezzo di una procedura aperta, alla quale possa partecipare il maggior numero possibile di cittadini. La stessa deve essere, inoltre, di tipo comparativo, ossia volta a selezionare i migliori fra gli aspiranti. Infine, deve trattarsi di una procedura congrua, che consenta di verificare la professionalità necessaria a svolgere le mansioni caratteristiche, per tipologia e livello, del posto di ruolo da ricoprire (sono richiamate le sentenze n. 225 del 2010 e n. 293 del 2009). Il merito deve costituire il criterio ispiratore della disciplina del reclutamento del personale docente e una disposizione che impedisca di realizzare la più ampia partecipazione possibile al concorso, in condizioni di effettiva parità, si porrebbe in contraddizione con tale criterio (sono richiamate le sentenze n. 41 del 2011 e n. 251 del 2017). Le eccezioni alla regola del pubblico concorso, oltre che rigorose e limitate, devono comunque prevedere adeguati accorgimenti idonei a garantire la professionalità del personale assunto (sentenza n. 149 del 2010) e rispondere ad una «specifica necessità funzionale dell’amministrazione, ovvero a «peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico» (sentenza n. 293 del 2009)»» (Corte Cost., n. 130-2019, e richiami ivi operati).

[17] L’ordinanza di rimessione, preso atto di quella che ritiene un’anticipazione del termine ordinario riconosciuto, per principio ordinamentale invalso, pel necessario possesso dei requisiti di accesso ad un pubblico concorso (entro e non oltre il dies ad quem di presentazione della relativa domanda di partecipazione), arriva a configurare la previsione in norma-provvedimento relativa agli abilitandi al TFA sostegno IV ciclo, come puntualmente colto dalla Corte, come una “violazione” di «una regola generale in tema di concorsi, stabilita dalle norme che disciplinano l’accesso ai pubblici impieghi (sono richiamati l’art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato», e l’art. 2, comma 7, del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, recante «Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi»)» (Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2., penultimo cpv).

[18] Come ricostruito nella sentenza in commento, sostiene il Giudice a quo che, «una volta derogata la regola generale prima richiamata, il legislatore avrebbe dovuto orientarsi non già verso una disposizione che àncora rigidamente il criterio di ammissione al concorso ad una data fissa, bensì in direzione di una disciplina elastica, in grado di “assorbire” e ricomprendere ragionevolmente situazioni nel tempo mutevoli e imprevedibili, ivi comprese quelle dei tirocinanti del quinto ciclo TFA» (Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2., ultimo cpv).

[19] Cons. Stato, VI, 13 agosto 2020, n. 5011.

[20]  A.P., n. 20/2021: «La disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo – forma tipica di esercizio della funzione amministrativa – non è più contraddistinto dall’assoluta unilateralità del potere, ma è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo. Per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste dalla legge sul procedimento del 7 agosto 1990, n. 241. Concepito in questi termini il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata; tale dovere comportamentale si rivolge sia all’amministrazione sia ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento, qualificando in termini giuridici una relazione che è e resta pubblicistica, sia pure nell’ottica di un diritto pubblico in cui l’autoritatività dell’agire amministrativo dà vita e si inserisce nel corso di un rapporto in cui doveri comportamentali e obblighi di protezione sono posti a carico di tutte le parti. E non sembra, in tale contesto, che i princìpi che regolano il rapporto siano espressione di autonome situazioni soggettive autonome, se non avulse, dalla posizione delle parti; si deve piuttosto ritenere che si tratti di doveri imposti alle parti, e in primis all’amministrazione, a salvaguardia delle situazioni soggettive coinvolte, che, in quanto afferenti a quel rapporto, non mutano la loro natura e la loro consistenza».

[21] Corte Cost., n. 275-2020, come richiamata in Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2, pag. 14, 2° cpv.

[22] Corte Cost., n. 275-2020, come richiamata in Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2, pag. 14, 2° cpv.

[23] Corte Cost., n. 275-2020, come richiamata in Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2, pag. 14, 3° cpv.

[24] Nello stesso senso, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 13 febbraio 2020, n. 1163, come richiamato in Corte Cost., n. 89-2022.

[25] Acquisito il dato fattuale dello status della funzione docente quale “professione regolamentata” disciplinata, per quanto riguarda il diritto comunitario, ai sensi della direttiva 2005/36/CE[25], recepita dal D.Lgs. 206/2007, con la quale, il legislatore europeo ha riconosciuto agli Stati membri il diritto di subordinare l’esercizio di una determinata professione al possesso di specifiche qualifiche professionali, il combinato disposto della norma europea con l’articolo 97, comma 3 della Costituzione (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”) legittima, altresì, particolari riserve nelle procedure di accesso ai concorsi, subordinandole al possesso di particolari titoli.

[26] Corte Cost., 89-1996.

[27] Corte Cost., n. 89-1996.

[28] Sul punto si confronti con quanto portato da Corte Cost. sentenza n. 171 del 1982 e n. 100 del 1976.

I limiti tracciati dalla giurisprudenza costituzionale all’ammissibilità di tali procedure, siccome disciplinate dalle leggi-provvedimento, sono, come accennato, i principi di ragionevolezza e non arbitrarietà, perché è vero che la norma non deve essere in contrasto con i precetti costituzionali, ma è anche vero che nel caso delle leggi provvedimento deve essere giustificato il mezzo utilizzato. Il giudizio sulla ricorrenza della ragionevolezza e non arbitrarietà si estrinseca, allora, nella sostanziale ponderazione di tutti gli interessi in gioco e la disamina non può ridursi ad una logica meccanica e meramente deduttiva, comportando, viceversa, una valutazione concreta del bilanciamento di tutti gli interessi costituzionalmente tutelati.

Avuto riguardo ai contenuti specifici, alle finalità e agli obiettivi dichiarati dal legislatore, il giudizio di comparazione tra la congruità dello strumento utilizzato e il fine concreto da perseguire, avrebbe consentito di respingere, verosimilmente, le censure di irragionevolezza e arbitrarietà delle scelte del legislatore, considerata la consistenza egli elementi di fatto posti alla base della scelta.

Diversamente, i termini dell’iter logico-argomentativo adottati dal Collegio remittente sembrano ridursi ad un’apodittica posizione di illegittimità congenita della procedura contestata, atteso che nell’ordinanza de qua non è rinvenibile qualsivoglia valutazione sui motivi di ammissibilità della stessa, avuto riguardo agli interessi complessivi involti dalla novella legislativa e, in particolare, a quelli differenziati riconducibili ai docenti abilitandi al TFA IV ciclo.

 

[29] Corte Cost., n. 276-2005)

[30] In proposito, cfr. Corte Cost., n. 373-2002.

In particolare, riguardo alla professione insegnante, l’ordinamento italiano ha previsto che la partecipazione alle procedure di reclutamento fosse subordinata al possesso di determinati requisiti o titoli: in particolare, la cd. “abilitazione”.

Come puntualmente ricostruito, ad esempio, nella sentenza Corte Cost. n. 130-2019, sovente l’esame di abilitazione e l’esame di concorso hanno rappresentato due momenti distinti, fintanto che è risultata tradotta in atto la volontà del legislatore di prevedere che l’abilitazione fosse conseguita non in grazia del superamento di una prova di esame, ma attraverso la frequenza di appositi percorsi universitari a rimarcare l’autonoma dignità tautologica dell’esame di abilitazione ex se.

[31] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.1, pag. 12, 2° cpv ss.

[32] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.1, pag. 13, 1° cpv.

[33] Viepiù, obietta condivisibilmente la Corte, non «trova fondamento l’invocazione del rimettente in favore di una scelta legislativa non rigida, ma aperta a ricomprendere situazioni in ulteriore evoluzione, come quella degli aspiranti frequentatori del quinto ciclo TFA. A sostegno della ragionevolezza della scelta legislativa soccorre la circostanza, già chiarita, che la posizione degli iscritti al quarto ciclo TFA era del tutto differente rispetto a quella di coloro che – sia al momento dell’entrata in vigore della disposizione censurata, sia all’atto della indizione del concorso straordinario – erano appunto da considerare solo meri “aspiranti” all’iscrizione al previsto (ma non ancora autorizzato) quinto ciclo e che, dunque, non potevano verosimilmente vantare alcuna consistente competenza specialistica» (Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2, pag. 14, 5° cpv).

Né «si è in presenza di una vera e propria “sovrapposizione” delle procedure concorsuali con lo svolgimento del quinto ciclo TFA, piuttosto di una dilazione dei termini che, a causa della pandemia, ha interessato tutte le procedure in esame. In ogni caso, tale asserita “sovrapposizione” era ben presente al legislatore al momento di entrata in vigore della disposizione censurata, come risulta palese dalla ricostruzione in precedenza illustrata (punto 3.1.). Ab origine, infatti, il quinto ciclo TFA si sarebbe dovuto svolgere a partire da una data molto probabilmente successiva al 30 aprile del 2020 (termine per l’indizione del concorso), per concludersi entro il mese di maggio dell’anno 2021 e, dunque, addirittura ben oltre la fine programmata delle procedure concorsuali. Del resto, lo stesso legislatore, pur intervenendo – in piena emergenza pandemica – con l’art. 2 del d.l. n. 22 del 2020, come convertito, per disciplinare diversamente la prova scritta del concorso straordinario (commi da 01 a 03) e, quel che più conta, per autorizzare l’amministrazione a modificare il relativo bando ai fini della posticipazione del termine per la presentazione delle domande di partecipazione (comma 04), non ha affatto previsto in quella sede l’estensione, agli aspiranti frequentatori del quinto ciclo TFA, della legittimazione eccezionale a partecipare con riserva alle procedure concorsuali straordinarie di reclutamento. Si è, invece, limitato a stabilire, per costoro, una diversa agevolazione, consistente – al ricorrere di certe condizioni di pregressa esperienza lavorativa – nell’accesso facilitato al corso di specializzazione (art. 2, comma 08, d.l. n. 22 del 2020, come convertito). Anche successivamente all’irrompere dell’emergenza pandemica, in definitiva, il legislatore ha ritenuto di mantenere la scelta ab origine operata con la norma censurata, confermando una valutazione del tutto ragionevole, in linea con il principio di uguaglianza, che impone l’adozione di discipline differenti per situazioni oggettivamente diverse (da ultimo, sentenza n. 172 del 2021) e che tali si sono mantenute nel corso del tempo» (Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2, pag. 15, 4° cpv ss.).

[34] Ciò è tanto vero che «lo stesso legislatore, pur intervenendo – in piena emergenza pandemica – con l’art. 2 del d.l. n. 22 del 2020, come convertito, per disciplinare diversamente la prova scritta del concorso straordinario (commi da 01 a 03) e, quel che più conta, per autorizzare l’amministrazione a modificare il relativo bando ai fini della posticipazione del termine per la presentazione delle domande di partecipazione (comma 04), non ha affatto previsto in quella sede l’estensione, agli aspiranti frequentatori del quinto ciclo TFA, della legittimazione eccezionale a partecipare con riserva alle procedure concorsuali straordinarie di reclutamento. Si è, invece, limitato a stabilire, per costoro, una diversa agevolazione, consistente – al ricorrere di certe condizioni di pregressa esperienza lavorativa – nell’accesso facilitato al corso di specializzazione (art. 2, comma 08, d.l. n. 22 del 2020, come convertito)» (Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2, pag. 15, 5° cpv).

[35] Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.2, pag. 15, 6° cpv.

[36] «Negli aspiranti all’iscrizione al quinto ciclo TFA non si sarebbe mai potuta ingenerare alcuna ragionevole aspettativa di ammissione alle procedure concorsuali bandite ai sensi dell’art. l, comma l, del d.l. n. 126 del 2019, come convertito, per due ragioni: perché tali procedure risultavano, sin dall’inizio, esclusivamente rivolte a una ben definita platea di aspiranti, che ricomprende i soggetti già iscritti al quarto ciclo, ormai prossimi al conseguimento della specializzazione; e perché gli aspiranti alla frequentazione del quinto ciclo TFA mai avrebbero potuto concludere il percorso di specializzazione in tempo utile per la partecipazione ad un concorso programmato per favorire il reclutamento già a partire dall’anno scolastico 2020/2021. Risolutivo, del resto, è il principio, desumibile dalla costante giurisprudenza costituzionale, per cui un affidamento tutelabile non può riposare sull’aspettativa di partecipare a un concorso interamente riservato e, dunque, bandito in deroga alla regola del concorso pubblico ex art. 97, quarto comma, Cost. (sentenze n. 133 del 2020 e n. 110 del 2017)» (Corte Cost., n. 89-2022, punto 3.3., pag. 15, 8° cpv).

[37] Corte Cost., n. 89-2022, punto 4.2, ult. cpv).